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La storia dell’arte alla Biennale di Venezia 2017

La storia dell’arte è presente nell’arte contemporanea? In che percentuale? In questa Biennale lo è in maniera massiccia. Sia la storia che la storia dell’arte vengono richiamate da svariate opere che si riferiscono a periodi, ai modi di presentare il discorso critico, alla documentazione storica ecc. e da li si parte o per inventarsi storie incredibili o per fare un discorso sul presente. E non solo nella bella Biennale (l’idea dei 9 Padiglioni è senz’altro ottima così come il coinvolgimento degli artisti in video, pranzi, e interventi e il Padiglione Italia è uno dei migliori visti fin’ora) ma anche con l’impresa di Damien Hirst che per grandiosità, potenza, genialità polverizza qualunque concorrente con il suo Liberto Amotan e il relitto da cui riemerge la sua straordinaria collezione di arte tra Grecia, Roma, Egitto e i Maia. Ma questo lavoro di pura invenzione è l’altra faccia del discorso che caratterizza gli altri progetti basati sul vero. A Oriente come a Occidente. E anche il titolo del Festival della Fotografia di Reggio Emilia di quest’anno Fotografia Europea. Mappe del tempo. Memoria, archivi, futuro. Ci riporta alla storia e alla sua conservazione. Insomma: Il trarre ispirazione dalla storia paga. E lo troviamo sia nelle  partecipazioni nazionali, che sono sempre un modo di informarci sulle tendenze artistiche nei vari paesi del mondo che nei padiglioni.

La Cina conferma il  legame con la tradizione, di cui abbiamo parlato nell’articolo del numero precedente di Juliet, con l’uso delle ombre e del ricamo, il Cile con le maschere Mapuche, La Lettonia con il demenziale esoterismo di Mikelis Fisers,  che inserisce i suoi alieni in spazi storici, ma anche l’Iraq con Archaic (the terror of History and the shapes of time, intitola il suo intervento Roger Cook), e Miralda e Rabascal che scavano nelle tradizioni popolari e Zai Kuning per Singapore con Dapunta Hyang: Transmission of Knowledge” e tanti altri fino a Frank Walter  The last universal  man 1926-2009 di Antigua che si inventa un albero genealogico che parte dal ‘500, con una lunga discendenza, dal “500, Leonardo da Vinci compreso,  per superare il suo problema di essere nero e trattato da nero avendo genitori contemporaneamente schiavi e schiavisti. Per non parlare dell’italiano Roberto Cuoghi che si rifà alla storia di Cristo e alla sua rappresentazione.

Per la Russia,  il curatore, Semyon Mikhailovsky dice che era partito con l’idea di presentare dei giovani ma visto il lavoro di Grisha Bruskin (nato nel 1945 vive tra Russia e Stati Uniti e le cui opere fanno parte delle collezioni del MOMA di New York e del Centre Pompidou di Parigi, ) non ha avuto dubbi e così abbiamo il Theatrum Orbis MMXVII. Un termine che fa riferimento a una pietra miliare della cartografia europea, il famoso atlante pubblicato ad Anversa nel 1570 da Abraham Ortelius, raffigurante il globo all’epoca delle grandi scoperte geografiche. Ziggurat, piramidi, il minareto di Sakkara, il Cremlino, il Compasso, la moschea in adobe, il colonnato di Palmira insieme a droni e terroristi ecc. La sua installazione si chiama “Smena dekoratsij” (cambiamento di scenario). Come ha spiegato l’artista, si tratta di una “metafora del nuovo ordine mondiale”, con i suoi confini sfumati, le migrazioni e le nuove relazioni che si sviluppano nella nostra società. “Il mio progetto si concentra sul concetto di modernità che è cambiato oggi e che continua a mutare: da Palmira a New York fino a Mosca, un nuovo ordine mondiale in cui il terrorismo ha cambiato la nostra mentalità e la nostra coscienza”, ha detto Grisha Bruskin in un’intervista a RIA Novosti. Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, docenti all’Università di Venezia che affiancano Semion Michailovskij come curatori del padiglione russo per la Biennale 2017, sono i due studiosi italiani, cui si devono già importanti iniziative tra cui la mostra Grisha Bruskin. La collezione di un archeologo che si è tenuta nel 2015 come evento collaterale della Biennale Arte. Quindi, sempre, un discorso sul passato che diventa un discorso sul potere, parte dall’antichità con l’aquila bicefala che domina su una massa di manichini e attraversa anche la letteratura con citazioni e scritte sul colonnato di Palmira, (what is contemporary, mytologies, orientalism, God is not cast down, bifore images, ecc.) per arrivare a carri armati, antenne, cannoni e la musica  e il video che ci riportano a un oggi terribile.

Nel caso del Padiglione Cinese l’affondo nella tradizione e nel suo perpetuarsi senza soluzione di continuità è già nel titolo Continuum – Generation by Generation. La missione è catturare l’energia del BU XI per stabilire un ponte di vitalità tra il il fare arte degli antichi fino ai giorni nostri. E questo passa attraverso due artisti che usano tecniche tradizionali e due che usano le nuove tecnologie. La maestra del ricamo di Suzhou, Yao Huifen che riproduce lo “Skeleton Fantasy Show” e prende parte alla realizzazione dell’opera “The Forgotten Sea” di Tang Nannan. Wu Jian’an e il maestro di ombre cinesi Wang Tianwen che creano dei lavori basati sulle “Twelve Images of Water Surging” di Ma Yuan e su immagini di paesaggi montuosi e marittimi. Ed è Qiu Zhijie il curatore e artista che progetta la mostra sui concetti di eternità e di identità.

Nel padiglione nazionale dell’Iraq il progetto espositivo Arcaico, coordinato da Francis Alÿs e curato da Tamara Chalabi e Paolo Colombo, prevede la presentazione di sculture, reperti archeologici, giochi e altri manufatti risalenti a 7mila anni fa e provenienti dal National Museum of Iraq che ha subito numerose traversie dalla guerra del Golfo in poi. Alcune delle opere trafugate e poi recuperate sono ora in mostra e dialogano con le opere degli 8 artisti moderni e contemporanei iracheni.

Per Singapore, l’installazione di Zai Kuning esplora una delle narrazioni meno conosciute dell’Asia sudorientale, quella di Dapunta Hyang, il primo re di Malay, che un tempo era un potente impero: un sovrano egemone che esercitava un’immensa influenza politica, economica e militare nel sud-est dell’Asia. Eppure, nonostante la sua preminenza nell’antico mondo malese, Dapunta Hyang è stato dimenticato, svanendo nel tempo con l’arrivo dell’Islam e dei governanti successivi. Zai Kuning è il primo artista contemporaneo che con 20 anni di ricerca ha riportato in vita questo personaggio e la sua nave colossale, la orang laut, la popolazione originaria di Singapore, i loro modi di vita, le loro abitudini ancestrali e le convinzioni informate dall’animismo, gli artisti di mak yong, una tradizione operistica pre-islamica con radici indù-buddiste ora portata avanti solo da pochi maestri.

Il percorso di Cuoghi è nella storia. Si parte da L’imitazione di Cristo, il testo il cui titolo è preso dal libro del mistico ispiratore dei Rosacroce Tommaso da Kempis (1380 ca.- 1471), e si attraversa la scienza con le sue varie soluzioni al problema della conservazione del corpo umano dagli egizi a oggi, usando corpi composti con una sostanza gelatinosa chiamata agar-agar sottoposti a asciugatura con il natron, un sale già usato dagli Egizi per le mummificazioni, alla liofilizzazione attraverso una macchina, e così via.

È interessante il nesso che si può trovare tra le muffe e i batteri che aggrediscono il corpo di Cristo nelle sue varianti, in Cuoghi e i coralli e le incrostazioni fittizie sui reperti di Hirsh. Solo che in Cuoghi la storia è una sola, in Hirsh c’è una storia e mille storie: ci sono lingotti con iscrizioni greche, cinesi, maya e romane, elmetti, spade e vasi dai materiali più disparati: bronzo, vetro, alluminio, silicone, acciaio, oro, marmo, giada, argento, malachite, smeraldi e lapislazzuli, ci sono copie museali ricostruite immaginando gli originali prima dell’affondamento. Ci sono una statua egizia col volto di Kate Moss, un’altra con un tatuaggio che ricorda Rihanna, un’altra ancora con un piercing al capezzolo e l’aspetto di Pharrell Williams, e una statua corrosa e incrostata di coralli che ricorda uno dei famosi cani di Jeff Koons, tra i modelli di Hirst. E c’è anche una statua che raffigura Cif Amotan insieme a un suo amico: e sono evidentemente lo stesso Hirst e Topolino. La simulazione video e fotografica delle spedizioni subacquee per il recupero dei reperti. Le teche museali con monete e monili e mille altre cose. Per non parlare delle geniali didascalie in perfetto stile critico che moltiplicano l’effetto straniante per cui, per esempio, sui fianchi del tricefalo Cerberus “sono visibili tre iscrizioni: una in geroglifico egizio, una in copto formale e una in graffito copto”.

Teatrum Orbis

Teatrum Orbis

Padiglione Cina

Padiglione Cina

Padiglione Malesia


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