Mona Hatoum a Berlino

Mona Hatoum è nata in una famiglia palestinese, a Beirut, Libano, nel 1952 e dal 1975 vive a Londra. La sua carriera artistica inizia negli anni Ottanta realizzando video e performance. Successivamente ha iniziato a realizzare installazioni di grandi dimensioni, mirando a coinvolgere lo spettatore e provocando sensazioni miste di desiderio e repulsione, fascino e paura. Si tratta di lavori realizzati anche con materiali di recupero o basati su oggetti di uso quotidiano, riassemblati e ingranditi (come sedie, lettini, utensili da cucina) che prendono nuova vita, si trasformano fino a diventare corpi minacciosi, sconcertanti e alieni dalla nostra conoscenza primaria.

Queste installazioni, sculture o interventi site-specific vogliono avere un minimo di valenza estetica e non rispondono, per scelta, a un linguaggio autoreferenziale: ciò vuole dire che spesso si fa fatica a riconoscere o a legare un suo lavoro al suo nome, sebbene vogliono essere potenti nel messaggio trasmesso. Se cerchiamo delle ascendenze, in maniera molto leggera, potremmo parlare di post-minimalismo e di environment, ma in realtà non tutte le sue opere rispondono a questa tipologia. Per esempio, la grattugia ingrandita a mo’ di paravento da interni (“Greater Divide” del 2002), più che rispondere a un’istanza minimalista sembra avere i connotati di un’opera neo-pop, alla maniera del piccone gigante realizzato da Oldenburg per Documenta 7, nel 1982.

Il lavoro di Mona Hatoum non vuole essere solo poetico (cioè estetico), ma sottintende una ben precisa valenza politica: in qualche modo la terra martoriata da cui l’autrice proviene le è rimasta appiccicata alla pelle e trasuda in ogni opera fino a caricarla di un forte significato simbolico e di tensioni che accolgono e respingono allo stesso tempo. Pensiamo ad esempio che perfino per la tazzina progettata per illy-Art-Collection, nel 2021 e presentata nelle giornate di Frieze di quell’anno, l’autrice ha recuperato il pattern della kefiah, proponendolo come segno di fratellanza e di interconnessione. Come dire, le radici non si tradiscono o rimangono nel fondo, magari in silenzio, ma sempre in attesa di poter riemergere o di tornare a nuova vita.

I temi ricorrenti sono quelli della violenza, dell’oppressione, della vulnerabilità, inizialmente con una particolare attenzione alle questioni di genere; in seguito, l’orizzonte di indagine si è allargato e la sua denuncia si è rivolta a istanze collettive, civili, di convivenza tra i popoli, tanto che oggi è considerata una delle artiste più importanti a livello mondiale proprio a causa dell’impegno che trasuda da ogni sua opera.

Del suo curriculum, di tutto rispetto, ricordiamo le partecipazioni alla Biennale di Venezia (nel 1995 e 2005), a Documenta, Kassel (nel 2002 e 2017); e le più recenti personali a livello museale: Centre Pompidou, Paris (2015); Tate Modern, London (2016); IVAM, Valencia (2021); Magasin III Museum for Contemporary Art, Frihamnen (2022).

Ora, a Berlino, il lavoro di Mona Hatoum, grazie a un perfetto progetto sinergico, viene presentato in tre sedi istituzionali: alla Kesselhaus (KINDL, Zentrum für zeitgenössische Kunst), alla Neuer Berliner Kunstverein, al Georg Kolbe Museum. Questo tre mostre sono firmate, rispettivamente, da Kathrin Becker, Marius Babias e Julia Wallner.

In particolare, al Neuer Berliner Kunstverein sono state esposte delle opere installative di grande effetto e molto coinvolgenti; ricordiamo “Home” del 1999 e “Mobile Home II” del 2006.

Invece, per il Kolbe Museum, l’autrice ha realizzato l’opera “Electrified (variable V)” e ha esposto opere di repertorio, come “Remains of the day” del 2016-18 e “Inside Out” del 2019.

Infine, per KINDL, l’artista ha realizzato un’imponente installazione, sfruttando l’enorme altezza dello spazio dell’ex centrale termica: si tratta di una struttura a griglia, che ricorda le putrelle di un edificio in fase di costruzione: una specie di ossatura che dà anche un senso di provvisorietà e di disequilibrio. Un’ossatura non ortogonale ma che, secondo un’ottica perfettamente decostruzionista, potrebbe essere stata mutuata dall’architettura di Frank O.Gehry. Il lavoro è un evidente riferimento ai tempi sconvolgenti che stiamo vivendo, alla situazione precaria e di crollo che in maniera inaspettata, ad un momento all’altro, può avvolgerci e coinvolgerci. Oggi siamo da una parte del confine e la nostra casa è intatta, mentre domani possiamo trovarci dall’altra parte della barricata e la nostra casa è distrutta. Insomma, un’opera potente, di sicuro effetto e di certo attualissima.

Questa iniziativa è accompagnata da una lussuosa pubblicazione edita da Verlag der Buchhandlung Walther und Franz König di Colonia, con testi di Marius Babias, Kathrin Becker e Julia Wallner, che sono anche i rispettivi curatori delle tre mostre.

Anna G. Pochtlin

Info:

Mona Hatoum. All of a quiver

15/09/2022 – 13/11/2022
Neuer Berliner Kunstverein
nbk.org/de

15/09/2022 – 08/01/2023
Georg Kolbe Museum, Berlin
georg-kolbe-museum.de

18/09/2022 – 14/05/2023
KINDL – Center for Contemporary Art, Berlin
www.kindl-berlin.com

Mona Hatoum, All of a quiver, 2022, aluminium square tubes, steel hinges, electric motor and cable, 862 x 385 x 290 cm, installation view, KINDL - Centre for Contemporary Art, Kesselhaus. Photo: Jens Ziehe, 2022, courtesy KINDLMona Hatoum, All of a quiver, 2022, aluminium square tubes, steel hinges, electric motor and cable, 862 x 385 x 290 cm, installation view, KINDL – Centre for Contemporary Art, Kesselhaus. Photo: Jens Ziehe, 2022, courtesy KINDL

Mona Hatoum, Mobile Home II, 2006. Vista parziale della mostra al Neuer Berliner Kunstverein (n.b.k.), 2022. © Photo: n.b.k. / Jens Ziehe

Mona Hatoum, Home, 1999. Vista parziale della mostra al Neuer Berliner Kunstverein (n.b.k.), 2022. © Photo: n.b.k. / Jens Ziehe

Mona Hatoum, 3-D Cities, 2008-2010. Printed maps and wood, dimensions variable. © Mona Hatoum, photo © Florian Kleinefenn, courtesy Galerie Chantal Crousel, Paris

Mona Hatoum, Shift, 2012, wool, 1,2 x 150 x 260 cm. © Mona Hatoum, photo © Murat Germen, courtesy Arter, Istanbul


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