READING

That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in I...

That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine

A quasi un anno dal suo insediamento alla direzione del MAMbo, Lorenzo Balbi presenta nella Sala delle Ciminiere la sua prima grande mostra istituzionale, un progetto ambizioso in cui convergono l’intenzione di ridefinire (anche architettonicamente) il museo come finestra privilegiata sui linguaggi artistici della contemporaneità recepiti nel momento stesso del loro farsi e la volontà di potenziare il suo ruolo di centro propulsivo della produzione artistica. Per accentuare l’osmosi tra la città e il museo è stata aperta una vetrata ad arco, prima oscurata, che permette di vedere dall’esterno le attività espositive, ponendo il museo come ideale continuazione dei portici che lo connettono al tessuto urbano, mentre due nuove aperture all’interno marcano il collegamento tra la collezione permanente e l’area dedicata alle mostre temporanee.

That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine (il titolo richiama i versi di Arte e Confini in cui Bruno Munari nel 1971 anticipava la fluidità intellettuale della contemporaneità) è una mostra che riunisce i lavori di 56 artisti e collettivi nati a partire dal 1980 e accomunati da un’italianità variamente intesa come cittadinanza, provenienza, formazione o affinità culturale. Appare chiaro fin da subito che, mentre l’applicazione rigorosa del criterio anagrafico individua come preciso campo di indagine la creatività della generazione Millennials, la varietà delle possibili combinazioni tra luogo di nascita, di studio e di lavoro restituisce il concetto di provenienza in una prospettiva aperta e magmatica che suscita interrogativi piuttosto che certezze. Per rendere questa panoramica il più attinente possibile alla sensibilità degli artisti coinvolti (la cui selezione, sottolinea il curatore, ha voluto essere una campionatura senza alcuna pretesa di esaustività) non è stato imposto alcun vincolo di mezzi espressivi e a ciascuno è stato chiesto di proporre un lavoro che rappresentasse al meglio le caratteristiche della propria poetica. Il risultato è una polifonica orchestrazione di voci e punti di vista differenti che nella giustapposizione riescono a diventare corali: se lo spunto identitario italiano suggerito dal titolo, in cui forse i protagonisti non riescono più a riconoscersi, scivola nell’indeterminazione di un pensiero latente, alcune linee condivise di ricerca, linguaggio, ispirazione e poetica appaiono chiaramente delineate.

Anzitutto domina l’interesse a documentare le dinamiche del presente e a ipotizzare una loro più autentica contestualizzazione storica e sociale a prescindere dalle sistematizzazioni della comunicazione ufficiale: emblematico a questo proposito è il lavoro di Orestis Mavroudis, un montaggio video di tutte le sedute del parlamento greco dall’inizio ufficiale crisi nel 2010 (l’opera si concluderà il 20 agosto prossimo, giorno nel quale scadrà il piano europeo di bailout nei confronti del Paese insolvente) da cui l’artista ha estrapolato solo le sequenze in cui gli esponenti delle varie frange politiche applaudono per generare una surreale interpretazione performativa dei rapporti di forza sottesi alle tematiche economiche e sociali all’ordine del giorno.

La tradizione come veicolo di connessione tra passato e presente e come prezioso bagaglio esperienziale da riattualizzare è al centro del progetto di Elena Mazzi, che nel 2015 ha coinvolto gli abitanti di Guilmi, un piccolissimo paese in provincia di Chieti, nella riscoperta del proprio ancestrale universo magico ripristinando antichi rituali finalizzati alla cura delle persone e degli animali. Ribaltando la prospettiva antropocentrica di queste pratiche, l’artista ha sperimentato la loro efficacia taumaturgica sulle ferite reali e metaforiche della società contemporanea, applicando ad esempio il tradizionale rimedio a base di olio, lana e penne di gallina per la risipola (una malattia della pelle oggi debellata) alla frana che circonda il paese isolandolo dal resto della regione che nessuna amministrazione si è ancora incaricata di rimuovere per un preciso calcolo di convenienze politiche.

Il paesaggio come campo semantico e terreno di scontro ideologico è il punto di partenza della serie di serigrafie su vetri di sicurezza in cui Elisa Caldana scheda alcune strutture architettoniche urbane originariamente progettate per essere relazionali la cui funzione è stata negata da sopravvenienze politiche, come le panchine di piazza Risorgimento a Pordenone, soprannominata piazza Tirana perché punto di ritrovo della comunità albanese locale, arbitrariamente riconvertite in assurde sculture moderniste per renderle inaccessibili nel tentativo di arginare l’aggregazione  degli immigrati.

Anche Margherita Moscardini rilegge le sopravvivenze storiche nel paesaggio contemporaneo in 9 film (6 dei quali prodotti per la mostra) che documentano ciò che resta delle fortificazioni dell’Atlantic Wall, una linea difensiva costruita dal Terzo Reich lungo la Costa Atlantica. L’artista rilegge questi ruderi come sculture astratte che continuano a caratterizzare in modo indelebile il contesto ambientale richiamando al tempo stesso la proliferazione di muri e barriere con cui i governi si oppongono alle nuove ondate migratorie degli ultimi anni.

Violenza e guerra sono una condizione esistenziale tragicamente radicata nella percezione del nostro presente, a cui gli artisti più criticamente consapevoli non possono rimanere indifferenti. Così Carlo Gabriele Tribbioli decide di partire per la Liberia per una ricognizione sul campo in cerca della più spaventosa essenza della guerra, indagata come motore primordiale dell’essere e come ineluttabile dinamica che governa la struttura dell’universo. Analogamente crudo il lavoro di Filippo Bisagni, che mette in relazione la sorprendente affinità iconografica tra una serie di scatti che documentano le torture sui detenuti nel carcere di Abu Ghraib da parte dell’esercito degli Stati Uniti e della CIA e alcune inquadrature tratte da Salò o le 120 giornate di Sodoma, film-testamento in cui Pasolini condanna l’autoritarismo volgare e meschino dei mezzi di comunicazione di massa in una farsesca parodia della Repubblica di Salò.

L’atmosfera si raffredda e diventa sensualmente artificiale in un nucleo di opere ispirate alle nuove inquietudini e suggestioni generate dall’onnipresenza della realtà virtuale, come gli autoritratti di Irene Fenara che rimandano l’immagine frontale dell’artista registrata da diverse videocamere di sorveglianza le cui riprese vengono ossessivamente messe in rete su siti internet dedicati. Il paesaggio virtuale della rete e, in generale gli errori e gli imprevisti generati da tecnologie immateriali geneticamente predisposte per essere perfette, sono l’interesse principale di Emilio Vavarella, che presenta una sistematica ricognizione delle panoramiche di Google Street View alla ricerca delle manifestazioni dei problemi tecnici del suo algoritmo. L’esito è un affascinante mosaico di screenshot (rigorosamente stampati in formato 13/9 o suoi derivati come il monitor utilizzato dall’artista per la sua esplorazione) in cui le incongruenze visive create dai buchi neri del sistema si succedono in un flusso coerente di analogie cromatiche e formali che sembrano postulare l’esistenza di una nuova estetica digitale autogenerativa. Le grandi narrazioni pubblicitarie veicolate dalla rete sono invece il fulcro del lavoro del collettivo IOCOSE, che formalizza la sua ricerca critica sulla retorica del marketing attraverso un video di unboxing che illustra le caratteristiche di irriconoscibili prodotti tecnologici che poi vengono letteralmente “lanciati” dagli artisti in un campo innevato decretandone la definitiva omologazione e demistificazione.

Le potenzialità creative dei nuovi media sono scandagliate dal duo Cool Couple, che propone un irriverente torneo di PES all’interno del museo: sfruttando la possibilità offerta dal gioco per la Playstation di modificare la fisionomia dei giocatori, gli artisti hanno creato 20 squadre di calcio (con tanto di magliette e scudetti customizzati), ognuna associata a un movimento artistico dal Rinascimento ai giorni nostri, le cui formazioni rispecchiano il ruolo e il carattere degli artisti afferenti ai vari gruppi. L’intento è rilevare la competitività che anima il sistema dell’arte e che condiziona la valutazione economica delle opere e ironizzare sull’inefficacia di molte manifestazioni artistiche nel suscitare partecipazione se paragonate all’entusiasmo calcistico. Al calcio come catalizzatore universale di emozioni forti e condivise immediatamente monetizzate e quotate in borsa si riferisce anche il lavoro di Angelo Licciardello & Francesco Tagliavia, un arazzo che immortala la disperazione dei giocatori della Nazionale Italiana alla fine della partita Italia – Svezia che ha decretato la definitiva esclusione degli Azzurri dal Campionato Mondiale 2018. Quest’emblema del fallimento è causticamente incorniciato dai marchi degli sponsor che avevano già investito ingenti quantità di denaro nell’immagine della squadra perdente.

Un certo filone di artisti privilegia invece interventi concettuali che si mimetizzano nei materiali a cui vengono applicati, come le marmorizzazioni di Caterina Morigi o le fusioni in cui Elia Cantori condensa processi mentali e proprietà fisiche della materia. Alcuni, come il  kosovaro Petrit Halilaj italiano per formazione che nonostante la giovane età ha già all’attivo una partecipazione alla Biennale Veneziana e una personale all’Hangar Bicocca, introiettano materiali e oggetti prelevati dal reale per creare narrazioni intime e auto rappresentative. In altri casi l’oggetto diventa elemento dissacratorio, aneddoto e caso esemplare, come la tenda realizzata da Roberto Fassone con 13 brandelli di lenzuola da lui utilizzati per una passeggiata nelle strade di Roma in cui si fece accompagnare da 13 persone travestite da fantasmi per dare un’idea di cosa succederebbe se tutti i morti fossero presenti sulla terra (recenti studi sostengono che nel pianeta siano vissute 107 miliardi di persone e che quindi per ognuno di noi ci siano 13 trapassati).

Quello descritto è solo un possibile percorso di lettura di una mostra densa di problematiche e spunti che offre un’embrionale ricognizione dei linguaggi artistici più contemporanei:  se volerne ipotizzare gli sviluppi è ancora prematuro, vista la rapidità dei cambiamenti epocali che stiamo attraversando, si delinea chiaramente la vocazione alla progettualità degli artisti coinvolti, rappresentanti di una generazione concreta che guarda la realtà, aspira al museo e non si lascia facilmente attrarre da divagazioni utopiche.

Info:

That’s IT! Sull’ultima generazione di artisti in Italia e a un metro e ottanta dal confine
a cura di Lorenzo Balbi
22 giugno – 11 novembre 2018
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Via Don Minzoni 14 Bologna

Marco Giordano, Come fare un buco nell’acqua, 2018, installation, courtesy of the artist, installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo

That’s IT! On the newest generation of artists in Italy and one meter eighty from the border. Installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo

Elena Mazzi, Avanzi, 2015, 9 color photographic prints (recto) and 9 texts on forex (verso), artist’s book courtesy of the artist and Ex Elettrofonica, Rome project realized for GuilmiArtProject 2015

That’s IT! On the newest generation of artists in Italy and one meter eighty from the border. Installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo

Filippo Bisagni, 120 giornate ad Abu Ghraib, 2018, 9 photographic diptychs, courtesy of the artist

Irene Fenara, Self portraits from surveilliance cameras, 2018, color print on Hahnemühle paper

Emilio Vavarella, The Google Trilogy – 1. Report a Problem, 2012, photographic prints on paper and aluminium, courtesy of the artist and GALLLERIAPIÙ

That’s IT! On the newest generation of artists in Italy and one meter eighty from the border. Installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo

Petrit Halilaj, Moth series, 2017,  wooden frame made by the artist, killim carpet from Kosovo, black ink on paper, metal pins courtesy of the artist and ChertLüdde, Berlin

That’s IT! On the newest generation of artists in Italy and one meter eighty from the border. Installation view at MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna photo E&B Photo


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.