Quella di Reverie, artista originaria di Vinci che vive attualmente a Milano, è una pratica metamorfica all’interno della quale i confini tra dimensioni intimamente oniriche, fisiche e mnemoniche diventano sempre più labili. Disegni, sculture, fotografie e segni grafici rivelano una connotazione gestuale, propria delle azioni performative con cui spesso vengono generati e che caratterizzano la ricerca dell’artista.
Edoardo Durante: Osservando la tua pratica quotidiana è evidente come non esista una vera e propria scissione tra il concetto di arte e quello vita; le tue opere sono principalmente di natura sociale e collettiva, rimane importante anche il filone intimista, un movimento che scaturisce dall’interno, che si apre nei confronti del mondo esterno. Parlaci del tuo processo, che spesso trae spunto da dolorose fonti di sofferenza…
Reverie: Non esiste un confine tra Arte e Vita ma, allo stesso tempo, è presente una netta linea di separazione tra le mie opere intimiste e quelle che potremmo definire “sociali”. Un aspetto fondamentale della mia pratica è proprio la creazione di lavori in cui la performance è un momento sostanziale, pur non rappresentando mai il vero climax. Sono solita descrivere il mio processo attraverso l’immagine della perla e dell’ostrica. L’opera nasce rompendo l’equilibrio della conchiglia e, sedimentandosi, da granello di sabbia diventa perla. Ha una sua estetica, un suo corpo e un suo peso nel mondo. Così l’opera mi parla. Mi dice che vuole nascere e io la realizzo. Le do voce. Ogni mio lavoro nasce dallo studio approfondito e dalla scrittura: prima di arrivare al momento di condivisione attraverso la performance, creo numerose opere che raccontano, come capitoli di un libro, questo nuovo modo di operare; a seguito dell’azione, che per me è un momento di vita vera da vivere simultaneamente al pubblico, creo delle opere di sintesi. Non tutto ciò che concepisco per le performance diventa infatti un’opera. Come il mio corpo, anche gli elementi costruiti come abiti, gabbie, proiezioni e file sonori, sono strumenti del mio lavoro. Così nascono le opere che definisco “collettive”: supportano un procedere comune e condiviso. Non avrei mai potuto mettermi sullo stesso piano del pubblico se non mi fossi messa a nudo, e così sono nati i lavori intimisti: il librosogni, una raccolta senza filtri e censure di sogni e incubi di un intero anno, e gli Oggetti da sogno, opere in ceramica che nascono da personali visioni oniriche. Il Terzo oggetto da sogno, ad esempio, un utero color smeraldo che per l’occhio esterno può arrivare a rappresentare la bellezza della vita, mentre è nato da incubi di abusi subiti e dalla sofferenza dell’essere figlio o di non poter procreare. Queste sono le specifiche relative al mio ciclo appena concluso, ovvero quello dedicato all’onirico.
Quale rapporto ritieni sussista tra il tuo corpo, protagonista indiscusso delle tue performance, e le opere che spesso realizzi durante quest’ultime?
Vedo il mio corpo come una sorta di megafono. Come accennato precedentemente, io stessa mi ritengo uno strumento utilizzato per veicolare e amplificare un messaggio, indagare un aspetto del presente e sviscerarlo in maniera partecipata. Il nuovo ciclo di opere intitolato Ritualità quotidiana viene presentato al pubblico per la prima volta negli spazi espositivi di Cassina Projects con la mostra “Chimera”: qui si terrà una performance, Primo rito quotidiano, immaginata embrionalmente otto anni fa. A differenza di altre performance che ho realizzato in precedenza, questo lavoro ha una durata relativamente breve, pari a un’ora e mezza circa. La voce non fa parte del processo performativo ma il mio corpo è come un grido che squarcia il silenzio: nuda e del tutto bianca, con i capelli tesi fino a raggiungere le travi del soffitto, come un ragno – massima figura della madre – per liberarmi dovrò tagliare i miei stessi capelli. Per quanto possa sembrare un’azione di annullamento della femminilità, in realtà diventa un simbolo di rinascita collettiva, un vero e proprio rito esorcizzato attraverso un solo corpo. Il giorno successivo, otto reliquiari in argento custodiranno altrettante ciocche dei miei capelli.
In occasione della mostra “Chimera” negli spazi espositivi di Cassina Projects, e della performance Primo rito quotidiano presenterai un nuovo ciclo di opere realizzate attraverso una fusione metamorfica di elementi in stretto dialogo tra di loro. In che modo componenti tecnologiche e anatomiche trovano un punto di contatto?
Chi è Chimera? Una creatura che si è fatta da sola. Si dice che nel presente non esistano più i riti. Non è assolutamente vero. Anche in questo tempo viviamo in uno spazio cerimoniale in cui circolano segni oggettivi. Qual è la verità del corpo umano di oggi che in questa mostra definisco come “Chimera”? Ciascuna opera porta come titolo l’organo o l’apparato che rappresenta: si tratta di un’identificazione per similitudine o per contrasto e assenza, come gli organi fantasma. Si potrebbe definire una metamorfosi per addizione, secondo cui ogni vivente necessita della costruzione di una forma propria, che non può essere considerata spontanea, parafrasando le parole di Emanuele Coccia. Il sistema nervoso diventa così un cavo elettrico piegato come un cappio e immerso in un bagno di rame, l’apparato riproduttore è rappresentato da una carrozzina vintage anni Cinquanta contenente una stella marina viva, le gambe sono una coda in resina e pelle di serpente agganciate a un motore esausto, il piede è un calco in bronzo sormontato dal carapace di una Caretta Caretta. Si crea quindi l’assurdità per cui, nell’iperattività dell’oggi, esperiamo una nuova staticità, corriamo senza muoverci. L’abuso, nel mio lavoro, diventa celebrazione dell’eccesso in ogni sua forma, a contrastare un’immobilità data dalla perdita di contatto con ciò che, nell’ordine digitale, è reale. L’alienazione del sé passa dall’incapacità di creare o riconoscere una relazione con l’esterno, sia questa una parte del corpo o un oggetto. Senza investimento nell’Alterità, il mondo perde il corpo, apparendoci come irreale. Così, come il mondo, anche l’individuo si ritrova disincarnato, derealizzato. È questa l’alienazione di cui parlo nei miei lavori. Se lo status quo sembra ammettere sempre meno la vulnerabilità, questa viene elevata a elemento centrale nella mia pratica. Diviene ferita, confine tra sentire e insensibilità. In questo modo, credo, ammettersi fragile davanti all’Altro possa essere il modo per creare relazioni in un mondo iper-connesso.
Schermi e riflessi, lasciano poco spazio a una riflessioneautentica, che possa andare alla ricerca di una profondità contro la smania di apparenza. Chimera è un monstrum/mostro, nel senso che ammonisce, mostra, riflette le derive del mondo contemporaneo. Se l’opera Occhio si presenta come un bozzolo illuminato, dove dal mio telefono viene riprodotto in loop un video che raccoglie le foto della mia quotidianità nell’ultimo anno; in Apparato lacrimale, invece, cerco di unire in forma scultorea sacco e dotto lacrimale, che vengono fissati e, di conseguenza impossibilitati nello svolgere la loro funzione. Voce dello sciame mostra l’animale del futuro prossimo, un drone legato a un giogo, mentre Ombra nella sua linearità riflette come noi esseri umani oggi ci vediamo nel mondo: un corpo umano bidimensionale formato da flora, fauna e digitale. Ho cercato la quintessenza del corpo dell’oggi, unendone parti o rappresentandone dei simboli arrivando così a un’attuale chimera: ho trasformato una placenta in bronzo, ho disegnato temi di critica attuali come vignette sopra zoccoli di cavalli deceduti, ho unito un drone a un giogo antico, ho inserito l’elettricità nell’immobilità; nel mondo contemporaneo che racconto in maniera critica non c’è scissione, e questo è un aspetto apparentemente positivo che può diventare mostruoso. Ma la “Chimera” non è un mostro, non è un’utopia, e solo realtà. È solo vita.
Edoardo Durante
Info:
Reverie, Chimera
21/04/2023 – 1/06/2023
Cassina Projects
Via Mecenate, 76/45, Milano
Edoardo Durante è un giovane curatore attento al panorama artistico contemporaneo, che ha sviluppato un particolare interesse nei confronti della video e digital art e delle pratiche che intrecciano scienza, arte e tecnologia. È laureato in Conservazione dei Beni Culturali e specializzato in Visual Cultures e Pratiche Curatoriali presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
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