Fateme Pakdel. Monologue.

“La mente ama l’ignoto. Ama le immagini il cui significato è sconosciuto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto” – diceva René Magritte – e questa suggestione ben si addice a introdurre il lavoro di Fateme Pakdel, attualmente in mostra a Tehran negli spazi di Vista Art Gallery. Se negli ultimi anni il mercato internazionale ha accolto con crescente entusiasmo il lavoro di artisti mediorientali impegnati a scandagliare la complessa situazione socio-politica dei loro Paesi d’origine, la giovane artista iraniana, discostandosi dalle tendenze che imperversano nelle fiere più blasonate, propone una pittura apparentemente intimista che rifiuta di far leva su facili strumentalizzazioni estetiche. Il lavoro di Pakdel, che nel 2016 ha ultimato la formazione accademica all’Art and Architecture Faculty of Islamic Azad University, è infatti incentrato su un consapevole umanesimo contemporaneo che interiorizza le sollecitazioni di un mondo globalizzato sempre più culturalmente centrifugo per fonderle con gli strati più profondi dell’essere dove il tempo e i confini geografici assumono contorni labili e indefiniti.

Le protagoniste dei suoi quadri sono singole figure femminili, realizzate con diversi gradi di definizione realistica, che emergono da fondali astratti in cui la pittura fluisce libera da ogni contorno e referente oggettivo. Il taglio fotografico dell’immagine suggerisce che l’opera nasce dal rilevamento di situazioni quotidiane, a prima vista insignificanti, che lo sguardo empatico dell’artista trasforma in varchi d’accesso alle più segrete pieghe dell’animo. Se la mente umana tenta di difendersi dal dolore e dal caos del mondo attraverso meccanismi di rimozione che reprimono i traumi nel limbo dell’inconscio, la pittura di Pakdel agisce in direzione opposta utilizzando le medesime modalità di cancellazione per arrivare al cuore del problema e svelarne le implicazioni nascoste.

Ogni figura, se da un lato appare accuratamente identificata da particolari dettagliati che ne determinano l’individualità, appare d’altro canto privata di tratti somatici fondamentali (come organi vitali, occhi o capelli) per indirizzare l’osservatore a riconoscere in queste incoerenze figurative altrettanti indizi del concetto rimosso. A questo modo i soggetti diventano paradigmatici di condizioni esistenziali che da sempre influiscono sulle azioni e i sentimenti umani (come solitudine, attesa, calma, disorientamento o rabbia) e vengono ritratti con disarmante sincerità perpetuando sulla tela l’irripetibile essenza di un attimo fugace che invita all’immedesimazione.

Se l’immaginazione ha un ruolo importante, anche se spesso non manifesto, nel colmare le lacune delle nostre percezioni e nel dirigere le nostre scelte, in pittura è ciò che permette di far affiorare l’invisibile attribuendo una forma e un colore appropriato a entità di natura immateriale. Così nei dipinti di Pakdel gli elementi figurativi che rendono riconoscibili i soggetti funzionano come aree di transizione che connettono la sfera razionale, a cui appartiene l’ordine superficiale e regolamentato delle cose, all’intimità della sfera privata in cui le impressioni suscitate dalla realtà esterna si amplificano in un impenetrabile amalgama biologico e psichico. Il più autentico significato dell’opera quindi è affidato al linguaggio della pura pittura che esplode, sgocciola e grida dal piano di fondo come se fosse la voce dei personaggi ritratti e la diretta emanazione della loro ribellione interiore alle ripetute censure e cancellazioni che la vita impone. Il gesto dell’artista, che nel disegno è preciso e sapientemente mimetico, asseconda l’irruzione di queste istanze forse troppo a lungo trattenute senza per questo lasciarsi sopraffare dall’istintività e perdere il controllo dell’insieme.

La mostra Monologue presenta 11 protagoniste femminili che si appropriano dello spazio della tela con tutta l’intensità della loro urgenza esistenziale: sono sole con se stesse, avvolte dai loro ricordi, circuite dalle proprie insicurezze e debolezze, orgogliose della loro forza. Alcune guardano lo spettatore con fierezza, altre si nascondono negli strati di colore che le proteggono, altre ancora non hanno né occhi né volti ed esistono solo come leggiadre silhouette o come ombre pensose. Non possiamo sapere (e forse non è poi così importante) se si riferiscano a persone precise o se siano proiezioni mentali dell’artista in dialogo con le proprie esperienze di vita, ma certamente nel loro insieme costituiscono un variegato affresco universale delle più ineffabili componenti emotive che accomunano il genere umano nel suo confronto con gli accadimenti della vita.

La presenza di pochi scarni dettagli oggettuali e somatici che rimandano alla nostra contemporaneità inoltre, anziché offrire dei punti fermi per interpretare in modo aneddotico l’immagine, ne intensificano il mistero inducendoci a leggere tra le righe di ciò che ci è dato vedere per esplorare noi stessi e gli altri in cerca di ulteriori interrogativi senza pretendere che ci siano risposte definitive. Riprendendo in conclusione la citazione iniziale di Magritte quindi, il fascino dalla pittura di Fateme Pakdel sta proprio qui, nella sua spontanea capacità di evocare l’ignoto in situazioni abituali ammaliando lo sguardo con visioni il cui esatto significato è sconosciuto, ma che per qualche sotterranea affinità suscitano il nostro incondizionato senso di appartenenza.

Info:

Fateme Pakdel. Monologue.
private viewing: 19 ottobre 2017
public opening: 20 – 25 ottobre 2017
Vista Art Gallery
No.11, Twelfth street, Miremad Ave. Tehran

Fateme Pakdel, Stronger, painting, acrylic, 90 x 60 cm

Fateme Pakdel, Drowned, paintin, acrylic, 120 x 90 cm

Fateme Pakdel, Untitled, painting, acrylic, 150 x 150 cm

Fateme Pakdel, Winter Sleep, painting, acrylic, 150 x 150 cm

Fateme Pakdel, Untitled, painting, acrylic, 150 x 150 cm


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