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Francesco Demundo. Il soggetto è nell’oggetto, l’o...

Francesco Demundo. Il soggetto è nell’oggetto, l’oggetto è nel soggetto

Sabato 16 febbraio 2019, alle ore 18.00, nello spazio espositivo del mini mu (a Trieste, all’interno del comprensorio del parco di san Giovanni, via E.Weiss n. 15) si terrà l’apertura della mostra di Francesco Demundo. Il titolo della mostra è: “Il soggetto è nell’oggetto, l’oggetto è nel soggetto”. L’ambivalenza della frase, il suo rispecchiarsi su sé stessa, rimanda alla filosofia zen di Taisen Deshimaru, dove il tutto è “uno” e l’uno sta nel tutto. Il che potrebbe essere tradotto nella formulazione della sapienza occidentale: Dio sta dappertutto e in nessun luogo.

Da un punto di vista linguistico le opere di Demundo rinviano alla grande avventura Dada di inizio Novecento: il suo soffermarsi sull’oggetto, sul recupero, sul ready-made modificato (o rettificato) è uno di questi segni evidenti. Nell’entrare in questo flusso di coscienza sperimentale si vede che molte cose prima impensabili al pensiero egemone sono poi diventate possibili. In primis le regole del caos e del gioco che hanno fermato ogni perplessità, ogni dubbio, ogni interrogazione. In questo modo, la testimonianza di Marcel Duchamp che ha saputo spostare l’ago della bilancia dal fare al pensare, ha lasciato tracce profonde che hanno poi sfiorato anche le sponde della pop art (pensiamo agli assemblaggi e ai combine-paintings di Rauschenberg e Johns), mentre oggi, toccano i fantasmagorici teatri della realtà di Demundo. Ecco perché ci viene da chiosare che tra Dada e Zen ci sia una sottile linea di congiunzione, una specie di filo rosso che unisce questi mondi all’apparenza distanti: mondi fatti per soffermarsi sul mondo e sul suo essere. In particolare un elemento stilistico unirà tra loro queste opere: saranno tutte ricoperte da pezzi di giornale, in modo da essere mimetizzate e allo stesso tempo riconoscibili (come nei rivestimenti di Christo là dove cita e ingigantisce un’opera precedente di Man Ray). Infatti, i pezzi di giornali applicati a mo’ di coperta, non saranno spunto per una lettura o per cercare frasi sintomatiche, ma sottointenderanno solo una tecnica che diverrà ineluttabile presenza dell’essere, dell’essere qui e ora, senza possibilità di vero giudizio. D’altronde, la tecnica del collage, iniziata già in ambito cubista, con bene altre motivazioni, fin dal suo apparire si è configurata come la tecnica più radicale dell’inizio secolo, pari come portata all’uso della fotocopiatrice nell’ambito della progettazione grafica prima dell’avvento del computer.

È nella tattilità dei materiali impiegati che si constata come in tempi di devastazione delle speranze, di annunci apocalittici e di cronache d’incombente catastrofe, queste opere possono configurarsi come testimonianza e argine della storia. Nel recupero del relitto, dello scarto, e nella casualità di questi incontri, non c’è un vero godimento estetico, ma un muro e un limite da intendere come coscienza divorante di abisso e precipizio. Il messaggio dell’autore non è dentro le cose, è nelle cose, e ambiguamente le occupa e le respinge.

La serata, realizzata con la collaborazione dell’Associazione Juliet e di Girardi Spumanti, proseguirà fino al 15 marzo, con orario di visita il lun / mer / ven dalle 16.00 alle 18.00.

Per ulteriori info: 333 2611573.


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