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Il frammento come strumento. Maria Teresa Alvez – ...

Il frammento come strumento. Maria Teresa Alvez – Øystein Aasan e Piero Gilardi

Una delle conseguenze più significative dell’onnipresente moltiplicazione dell’immagine nell’era mediale è la frantumazione della realtà in una miriade di testimonianze visive livellate dal web, medium mass-mediatico sempre più populista e incapace di produrre affidabili gerarchie di senso. Nell’illusoria democrazia intellettuale sdoganata da internet, in cui qualsiasi opinione sembra aver diritto e opportunità di audience, diventa sempre più difficile risalire al dato reale epurando le informazioni a cui si ha libero e illimitato accesso da adulterazioni ideologiche, depistaggi semantici e finzioni fini a sé stesse. Se le verità univoche sono ormai sorpassate dalla consapevolezza che il mondo è la somma di una moltitudine di parzialità contrapposte, l’unica via percorribile sembra l’elaborazione delle possibili narrazioni che scaturiscono dall’analisi e dal collegamento dei frammentari indizi che gli archivi (digitali e non) ci offrono per ragionare su quale identità possa assumere la nostra società globalizzata. Questo procedimento traspone strumenti e metodi mutuati dall’archeologia, disciplina finalizzata alla ricostruzione di un tutto ipotetico ma plausibile a partire da reperti incompleti e deteriorati, nella ricerca di un nuovo tipo di obiettività con cui approcciare la complessa aleatorietà del presente.

Queste riflessioni costituiscono il background concettuale della mostra Il frammento come strumento, per un’archeologia dell’effimero alla galleria Enrico Astuni, che riunisce tre importanti progetti installativi di Maria Teresa Alvez, Øystein Aasan e Piero Gilardi accomunati da un approccio che adotta la nozione di reperto come punto di partenza di un dialogo aperto sui condizionamenti culturali insiti in ogni interpretazione del reale. Consci del fatto che nessuno sguardo è neutro e nessun archivio innocente, i tre artisti mettono in atto diverse strategie di “archeologia immaginativa” per indagare il tema del monumento nella contemporaneità e la sua nuova possibile funzione di innescare una riflessione dialogica che includa anche gli aspetti sommersi della storia occultati o ignorati dalle culture dominanti.

Maria Teresa Alvez (San Paolo, 1961, vive e lavora a Berlino) dall’inizio degli anni Novanta ha concentrato la sua ricerca sulla connessione tra il commercio intercontinentale e il paesaggio costantemente modificato dal transito di uomini e sementi mescolate alla terra trasportata come zavorra nelle navi da carico. La nascita apparentemente inspiegabile di flora esotica o infestante in regioni molto lontane dall’habitat originario è per lei una potente rappresentazione della vocazione umana alla contaminazione e alla mobilità in aperta opposizione al colonialismo eurocentrico che da sempre ha aperto le frontiere alle merci provenienti da altri Paesi continuando a negare un’analoga libertà di circolazione alle persone. L’installazione Wake Guangzhou è formata da una serie di pannelli di legno, la cui disposizione zigzagante richiama il tracciato del fiume Pearl nel Liwan District in Cina, che presenta fotografie, disegni e appunti scritti a mano con cui l’artista racconta i risultati delle sue ricerche d’archivio sul porto commerciale di Guangzhou. Il lavoro ripercorre in forma narrativa la contestualizzazione storica e poetica del prelievo, da lei effettuato nel 2008, di un consistente campione di terra da Huangui Iu, una strada nell’ex quartiere mercantile di Liwan, unica area della città in cui anticamente gli stranieri potevano risiedere. Il terriccio raccolto è stato collocato nel locale Museo d’Arte Contemporanea in condizioni ottimali per favorire il germogliare dei semi, depositatisi nel corso degli anni come conseguenza dell’incessante passaggio di treni, automobili, persone, vento e pioggia, e le piante che ne sono scaturite diventano inconfutabile testimonianza dello scambio identitario che costituisce l’humus dell’attuale popolazione.

La pratica di Øystein Aasan (Kristiansand, Norvegia, 1977), presente in mostra con una struttura/piattaforma che indaga l’eredità del Modernismo nella contemporaneità e le connessioni tra architettura, ideologia e cronaca, utilizza libri, collage, scultura e pittura per affrontare il tema della memoria e della storicizzazione delle varie modalità di comprensione dell’immagine da parte dello spettatore. L’installazione Display Unit (counter image) consiste in una struttura architettonica in legno progettata per far convivere i quadri collage della serie Houses for Displaced, basati sull’associazione di modelli ispirati al progetto di un villaggio realizzato nel 1961 per accogliere gli arabi sfollati dopo la guerra israelo-araba del 1948 con immagini di archivio in bianco e nero di monumenti modernisti o di templi antichi, e le sculture della serie Heaven che proseguono le riflessioni di Brancusi sulla destrutturazione del piedistallo in scultura. Questi dispositivi di visualizzazione escludono esplicitamente ogni lettura narrativa o sequenziale permettendo all’artista di combinare dettagli prelevati da differenti contesti culturali che evocano messaggi apparentemente eterogenei o contraddittori. L’unità che si ricrea nel rapporto fisico e ottico tra l’opera e lo spettatore dimostra che tutto può essere confrontato con qualsiasi cosa e che le immagini celano infinite stratificazioni di senso perché incarnano sempre letture parziali di una realtà più ampia che si può solo intuire ipotizzando connessioni tra i suoi frammenti visibili.

I Tappeti Natura in poliuretano espanso di Piero Gilardi (Torino, 1942) suggeriscono invece lussureggianti ambienti che richiedono di essere abitati in modo emozionale e ludico: la sua succosa rappresentazione di una natura ingigantita e sgargiante, accuratamente mimetica quanto esasperatamente artificiale, esprime la necessità di creare una nuova coscienza bioetica in grado di ripensare il concetto di naturale nell’era mass-mediatica e industrializzata. Nel suo caso il frammento non assume più, come nei lavori dei due artisti precedenti, il valore di un indizio da ricondurre alla matrice originaria per avere la chiave d’accesso ai significati in esso racchiusi, ma un’epifania che nel suo stesso apparire manifesta la totalità utopica che intende risvegliare e rendere immanente. La spontanea immediatezza delle sue creazioni vuole inoltre rileggere i concetti di interazione, virtuale e condivisione da una prospettiva concretamente partecipativa esplicitando la necessità di un serio dibattito critico sulle possibili modalità di fruizione dell’arte e della vita ora che la recente rivoluzione tecnologica ha cambiato in modo irreversibile il nostro approccio al mondo.

Il frammento come strumento. Per un’archeologia dell’effimero.
Maria Teresa Alvez – Øystein Aasan e Piero Gilardi.
a cura di Lorenzo Bruni
6 luglio – 28 ottobre 2017
Galleria Enrico Astuni
Via Iacopo Barozzi 3, Bologna

Galleria Enrico AstuniPiero Gilardi, Scoglio Bretone, 2001

Veduta parziale della mostra Il frammento come strumento. Per un’archeologia dell’effimero, Bologna, Galleria Enrico Astuni, 2017. Ph. Michele Sereni A terra, centrale: Øystein Aasan, Display Unit (counter image), 2017. Ph. Michele Sereni

Maria Thereza Alves, Wake Guangzhou: The History of the Earth, 2008/2017 (veduta parziale dell’installazione)

Veduta parziale della mostra Il frammento come strumento. Per un’archeologia dell’effimero, Bologna, Galleria Enrico Astuni, 2017. Ph. Michele Sereni A terra, centrale: Piero Gilardi,  Melograni caduti (puzzle-natura), 2017

Veduta parziale della mostra Il frammento come strumento. Per un’archeologia dell’effimero, Bologna, Galleria Enrico Astuni, 2017. Ph. Michele Sereni A terra, centrale: Maria Thereza Alves, Wake Guangzhou: The History of the Earth, 2008/2017

Veduta parziale della mostra Il frammento come strumento. Per un’archeologia dell’effimero, Bologna, Galleria Enrico Astuni, 2017. Ph. Michele Sereni A terra, centrale: Øystein Aasan, Display Unit (counter image), 2017. Ph. Michele Sereni


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