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Il presente è un seme del passato: una conversazione con IRWIN

IRWIN è un gruppo sloveno fondato a Lubiana nel 1983.  I membri sono: Dusan Mandic (Lubiana, 1954), Miran Mohar (Novo Mesto, 1958), Andrej Savski (Lubiana, 1961), Roman Uranjek (Trboylje, 1961) e Borut Vogelnink (Kranj, 1959). I loro lavori, fortemente ecclettici, testimoniano il clima di sviluppo culturale nei territori dell’ex Jugoslavia a partire dagli anni ‘80 del XX secolo.

IRWIN, Retroavantgarda, 120 x 200 cm, mixed media, 1996, courtesy by IRWIN and Galerija Gregor Podnar, Vienna

Felicienne Lauro: La vostra arte è, per me, un esempio di come l’arte e la cultura possano essere utilizzate per mostrare agli altri una realtà sconosciuta, che di solito si vede solo attraverso i media e le notizie. Pensate che le guerre etniche siano state comunicate male dai notiziari stranieri?
Borut Vogelnik: Ho avuto esperienza personale di una sola guerra, quella nella ex Jugoslavia che si è conclusa quasi trent’anni fa. Per quanto ricordo, la guerra è stata trattata quotidianamente in modo molto dettagliato da giornalisti di tutto il mondo e il modo in cui gli eventi sono stati comunicati dalla stampa slovena non differiva molto dal punto di vista della stampa occidentale. È stata molto diversa invece la storia raccontata dal punto di vista della Serbia. L’interesse non mi ha sorpreso, è stata la più grande guerra in corso in Europa dopo la seconda guerra mondiale in cui diverse repubbliche dell’ex Jugoslavia hanno preso posizioni diverse sostenute da paesi diversi.

IRWIN, Namepickers, in collaboration with Marina Abramović, photo Bojan Brecelj, 1999. A series of three identical photos, each of them signed by one of the participants (Marina Abramović, Bojan Brecelj, Irwin), courtesy by IRWIN and Galerija Gregor Podnar, Vienna

La Repubblica Federale Socialista Jugoslava ha limitato la libertà degli artisti?
Borut Vogelnik: Dipende cosa si intende per limitazione. Se si pensa a sanzioni proibitive o addirittura punitive, negli anni Ottanta non era più così. È successo prima però, ma solo nei casi in cui le autorità si sentivano direttamente sotto attacco. Per quanto riguarda gli aspetti formali della produzione artistica nella Jugoslavia socialista è necessario sottolineare che dopo la rottura con la Russia, nei primi anni Cinquanta, lo stile modernista ha mutato il realismo sociale e la produzione artistica jugoslava è stata presentata come parte integrante della produzione artistica internazionale. Quindi la differenza tra l’essere un artista nell’ex Jugoslavia o in Italia, ad esempio, non può essere giudicata sulla base di aspetti formali ma delle condizioni della produzione artistica. Alla domanda sul perché gli artisti sloveni partecipassero così di rado a mostre internazionali, e solo attraverso il coinvolgimento dello Stato, la risposta avrebbe potuto semplicemente essere che la Slovenia era piccola. Abbiamo però riflettuto e ritenuto che la mancanza di comunicazione tra lo spazio artistico sloveno e quello internazionale non potesse essere attribuita esclusivamente alle dimensioni della Slovenia.

IRWIN, In the Name of Mother, set design for theater, produced by Slovene National Theatre, Ljubljana, 2018, courtesy by IRWIN

Credevamo che la differenza tra lo spazio jugoslavo e quello internazionale non fosse quantitativa ma dialettica, e che adattarsi con successo alle pratiche e ai principi del primo ostacolasse la comunicazione con il secondo. Ci sono due cose che devono essere prese in considerazione qui; a causa delle piccole dimensioni della Slovenia era molto più facile coinvolgere anche le alte cariche dello stato che nella maggior parte degli altri Paesi, e se solo pochi anni prima, negli anni Settanta, il sistema politico avrebbe molto probabilmente messo rapidamente fine a tali attività, questo non accadeva più negli anni Ottanta. La situazione era nuova per entrambe le parti, artisti e autorità politiche. Questi ultimi stavano lentamente perdendo potere ed erano essi stessi incerti su dove avrebbero dovuto trovarsi i confini che non potevano essere valicati in quel momento. Sebbene nella maggior parte dei casi non siano state intraprese azioni concrete, le autorità hanno reagito condannando pubblicamente azioni ritenute indesiderabili. Fu proprio il fatto che negli anni Ottanta fosse ancora possibile provocare le autorità riguardo la produzione artistica a rendere unica la situazione. Non lo consideravamo più come un problema ma come una qualità.

NSK State Pavilion at the 57th Venice Biennale, 2017, photo: Jaka Babnik, courtesy by IRWIN

Hai notato differenze nel lavorare prima e dopo l’indipendenza della Slovenia nel 1991?
Borut Vogelnik: Sicuramente, ci sono differenze a tutti i livelli. Il sistema politico è cambiato, lo stato è cambiato e anche le condizioni della produzione artistica a cui ci siamo abituati negli anni Ottanta sono cambiate. Il mondo che conoscevamo non c’è più. La Slovenia è diventata come il resto d’Europa, prima sarebbe stato difficile provocare un feedback così ampio attraverso attività artistiche come abbiamo fatto relativamente senza sforzo nella fase finale del periodo socialista. Irwin andò a Mosca nel 1992, dove fondammo l’ambasciata NSK con l’ambizione di trovare le nostre controparti con l’aiuto delle quali potessimo chiarirci la visione sulla complessità dei cambiamenti nel mezzo dei quali ci eravamo trovati.

First NSK Citizens’ Congress, Berlin, October 2010, Haus der Kulturen der Welt, courtesy by IRWIN

Nel 1987 in occasione della Giornata della Gioventù, anniversario della nascita di Tito, siete stati coinvolti nello “Scandalo Poster”, per il quale avete proposto un manifesto tratto da “Il Terzo Reich” di Richard Klein. Si trattava di “Allegoria dell’eroismo” (1936), un dipinto di propaganda nazista. Questa azione rimarca il “retro-principio”, in cui IRWIN era impegnato, per il quale “il passato è un seme del presente” (dichiarazione fatta dal gruppo nel 1987). I membri IRWIN credono ancora in questo concetto? Quanto il nostro passato influenza il nostro presente?
Miran Mohar: Il poster della Giornata della Gioventù è stato realizzato dallo studio di design di NSK New Collectivism, non da Irwin. I membri di Irwin Roman Uranjek ed io (come membri del New Collectivism) eravamo coautori del poster. Hai ragione a dire che in quel manifesto è stato usato il “retro-principio”. Il manifesto era una critica al culto della personalità in atto in Jugoslavia, con l’estrema glorificazione della personalità di Tito durante la sua vita e dopo la sua morte. Per noi, un tale culto era inaccettabile, soprattutto nella parte sinistra dello spettro politico, dove l’egualitarismo dovrebbe essere uno standard. Ecco perché abbiamo deciso di ridisegnare il dipinto a partire dal passato totalitario della Germania, sostituendo i simboli nazisti con quelli socialisti. Nel caso della Jugoslavia, è chiaro come sia diventata vittima dei fantasmi del passato. Credo che possiamo imparare molto dalla storia su come vivere nel presente, e quindi il “retro-principio” è ancora un metodo produttivo per me.

IRWIN, NSK Panorama, 1997, photo Michael Shuster, courtesy by IRWIN and Galerija Gregor Podnar, Vienna

Qual è lo scopo della vostra arte oggi? È cambiato dalla formazione del gruppo nel 1983?
Borut Vogelnik: È una questione di come definire lo scopo che la nostra produzione artistica ha avuto in certi momenti nel tempo. Parlando di cambiamenti è necessario sottolineare la specificità del lavoro di gruppo nel campo delle arti visive e le difficoltà relative al controllo del processo. Anche se lavori da solo e insisti a fare sempre la stessa cosa, il tuo lavoro probabilmente cambierà durante un periodo così lungo come lo sono quarant’anni. Ma se invece lavori in un gruppo di cinque persone e devi collaborare con colleghi indipendenti, difficilmente hai il controllo completo di qualsiasi progetto.  Funziona come una macchina del caso. E c’è un’ulteriore complicazione. Oltre ad altri progetti stiamo lavorando su una serie di dipinti dal 1985 fino ad oggi, prima sotto il titolo di “Was ist Kunst” che a metà degli anni Novanta è cambiato in “Irwin Icons”.

IRWIN, installation view of Rrose Sélavy: Back to the USA, ŠKUC Gallery, Ljubljana, 1984, photo: Barbara Borčić, courtesy by IRWIN and Galerija Gregor Podnar, Vienna

Gli aspetti formali sono stati di grande importanza per noi fin dall’inizio e i migliori dipinti della serie meriterebbero di essere chiamati dipinti dialettici. È importante sottolineare che la produzione pittorica non è solo parallela ad altri progetti Irwin, ma è strettamente intrecciata a essi. La maggior parte degli altri progetti, realizzati dal 1990 in poi, sono elencati nella tabella denominata “Costruzione del contesto”. Il contesto mancante è stato costruito intorno e per i quadri, e viceversa i quadri sono stati il pretesto per la costruzione del contesto. In ogni progetto abbiamo sempre cercato di inseguire almeno due obiettivi. Ora intendiamo verificare la traiettoria disegnata da queste collaborazioni interconnesse per scoprire di cosa si tratta. Analizzeremo e presenteremo i metodi di produzione specifica, sviluppati per un esperimento collaborativo che si è trasformato in un progetto a lungo termine che è stato, sulla base delle esperienze maturate e come risposta ai profondi cambiamenti che abbiamo attraversato, modificato durante il percorso.

Felicienne Lauro

Info:

www.irwin-nsk.org


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