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In dialogo con Giuseppe Lufrano di Otto Gallery

In dialogo con Giuseppe Lufrano di Otto Gallery

Otto Gallery è una delle gallerie storiche di Bologna, dal momento che è stata fondata nel 1992 in via d’Azeglio da Giuseppe Lufrano. L’attività della galleria è focalizzata in particolare sugli artisti romani della Scuola di San Lorenzo, tra questi: Domenico Bianchi, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella, Marco Tirelli ma ospita talvolta anche giovani talenti e attivazioni culturali estremamente importanti come Open Tour, nata proprio da un’idea di Lufrano e poi ampliata alla città.

Giuseppe Lufrano – OTTO Gallery, Bologna

Sara Papini: Come nasce la tua carriera di gallerista?
Giuseppe Lufrano: La mia prima esperienza in galleria è durata cinque anni e ci sono arrivato per caso. Ai tempi mi stavo laureando in storia dell’arte all’Università di Bologna con Renato Barilli e, in quel momento, stavo scrivendo la tesi. La mia correlatrice nel frattempo stava collaborando con Gino Gianuizzi della galleria Neon e mi ha chiesto se volevo andare a lavorare per loro e accettai. Mi sono quindi formato così, passando dal vecchio dipartimento impolverato dell’UNIBO alla galleria Neon. Quindi, dopo cinque anni di collaborazione, ho deciso di aprire la mia prima galleria. In quella prima fase ho avuto il privilegio di poter organizzare mostre di grandi artisti come Carla Accardi, Tancredi e tanti altri, ma non era la mia storia. Allora ho iniziato una ricerca basata su artisti più vicini alla mia generazione e a me, perché intendo necessario che il lavoro del gallerista debba affiancare quello degli artisti. Ho individuato così, affini a me, il gruppo di San Lorenzo della cosiddetta scuola Romana. Ho iniziato a frequentare l’ex pastificio dove tutti loro avevano lo studio e abbiamo iniziato a collaborare. Ho indovinato il quel gruppo quella che poteva diventare la mia identità ed è qualcosa che mi rappresenta ancora oggi. Infatti, all’inizio di ottobre abbiamo inaugurato una mostra con un artista proveniente da quel gruppo: Marco Tirelli.  La prima galleria l’ho aperta al civico 50 di via d’Azeglio e questo spazio, invece, dove siamo ora, al n. 55 di via d’Azeglio, l’ho trovato grazie a un collezionista affezionato alla Otto Gallery molti anni dopo. Questo perché tutti noi, io e gli artisti della galleria, sentivamo la necessità di ampliarci. Ho sempre lavorato con gli artisti, seguendo i loro consigli. C’è sempre stata una collaborazione. Lo spirito che ci ha portati a cambiare e a spostarci da una piccola sede a una più ampia: era la necessità di esprimere ancora al meglio il lavoro degli artisti, proponendo anche opere più grandi e di impatto quasi museale.

Per Barclay, Tramonto, 2019, ph credit: Dario Lasagni, courtesy Otto Gallery, Bologna

Quale è la tua idea di galleria?
La mia idea di galleria è quella di un luogo che diventa una piazza, un’agorà dove si possono incontrare gli artisti o, meglio, le loro idee, ma anche quelle dei collezionisti, dei curatori e di altri colleghi galleristi. La vedevo e la continuo a vedere come una palestra di idee, un laboratorio. Il primo luogo dove l’opera diventa pubblica. L’esposizione in galleria è un momento estremamente importante per il gallerista, per l’opera, per l’artista e per il fruitore, chiunque esso sia. Quando il curatore va in studio dall’artista, certo può individuare già lì le idee, però il vero test lo si fa in una mostra e dove avviene la prima mostra solitamente? All’interno di una galleria. Gli altri luoghi, dal museo alle fondazioni, sono luoghi che possono arrivare dopo, da un’eredità che arriva direttamente dalla galleria. È un luogo primario, dove l’artista si mette a confronto con la propria opera e con il pubblico, inteso in senso largo. Avviene qui una sorta di epifania. Questo perché fino a quando l’opera rimane in studio è un fatto privato, mentre l’arte ha bisogno per sua natura di avere un confronto con un pubblico più ampio, di avere una dimensione pubblica. Successivamente arriva un altro passaggio, ovvero la creazione del racconto, che è fondamentale per capire i contenuti dell’opera. Il passaggio tra artista e gallerista o curatore è estremamente importante per poter creare il racconto della mostra che verrà.

AA.VV., Tetraedro, a cura di Alberto Zanchetta, 2021, ph credit: Carlo Favero, courtesy Otto Gallery, Bologna

Quante mostre Otto Gallery ospita durante l’anno?
Prima del Covid-19 organizzavo anche cinque mostre l’anno, adesso invece mi sono assestato sulle tre mostre l’anno, e questo perché si sono allungati i tempi dell’organizzazione, oltre il fatto che ci sono anche le fiere da curare e preparare. Sono dell’idea poi, che ci sia bisogno di una sedimentazione maggiore da parte del pubblico che si interfaccia a una mostra. Non ha molto senso organizzare una mostra ogni mese e mezzo, è uno spreco. Preferisco concentrarmi su un lavoro più approfondito, sulla comunicazione e sulla creazione di approfondimenti. Noi facciamo infatti degli approfondimenti su ogni artista che mandiamo via mail. Per fare questo ci vuole del tempo ed è importante quindi che la mostra duri di più, per costruire al meglio questo racconto. Noi siamo molto presenti sui social ma ci teniamo sempre ad affiancarlo al lavoro in presenza. I social sono un canale importante ma cerchiamo sempre di portare il pubblico alla galleria. Sui social, infatti, prima di un vernissage non pubblichiamo le opere che saranno presenti, bensì sponsorizziamo gli artisti. Se si vuole vedere l’opera bisogna venire in galleria!

Gianni Dessì, Sestante, 2018, ph credit: Dario Lasagni, courtesy Otto Gallery, Bologna

Oltre alla direzione della galleria sei impegnato anche nell’insegnamento, proprio all’Accademia di Belle Arti, qui a Bologna.
Esatto. Quando terminai gli studi, decisi di accantonare l’idea dell’insegnamento per concentrarmi sull’attività di gallerista. Sono andato avanti per la mia strada, non sentendo mai più l’esigenza dell’insegnamento. Dieci anni fa, però, Luca Caccioni mi chiese di organizzare qualcosa con gli studenti dell’accademia in galleria per la fine dell’anno e io accettai e così nacque Open Tour. Contemporaneamente si stava riformando il dipartimento di arti visive e allora mi è stato proposto di iniziare a insegnare per portare agli studenti la mia esperienza diretta del mercato dell’arte e di come funzionasse.

Info:

www.otto-gallery.it


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