Il Centre Pompidou, aperto nel 1977 a Parigi, su progetto architettonico di Piano-Rogers, come volontà politico-culturale di affermare con orgoglio una identità culturale del vecchio continente nei confronti della strabordante macchina museale statunitense, ha ottenuto un grandissimo successo di pubblico (proseguito poi negli anni successivi senza mai mostrare flessioni o cedimenti), tanto da rendere ben presto questa incredibile macchina/edificio insufficiente alle sfide da affrontare.
La bellissima macchina desiderante è già stata sottoposta a un “restyling” e ne ha a breve in programma un altro legato anche al contenimento della dispersione termica. Ma siccome la politica della gestione culturale vive ormai sull’offerta articolata e sulla moltiplicazione delle sedi operative, il Pompidou non è rimasto a guardare, e anche in questo senso, un po’ in sordina, nel corso degli ultimi anni, ha aperto delle collaborazioni che gli hanno permesso di aprire delle sedi al di fuori della capitale: a Metz (2010), a Málaga (2015), a Brussels (2018), a Shanghai (2019, al momento con un mandato quinquennale). Inoltre, è in essere una collaborazione con Louvre Abu Dhabi per quanto concerne le attività delle sezioni d’arte moderna e contemporanea.
Oltre al progetto annunciato di Art Factory per la periferia parigina, la prossima apertura in programma è fissata per il 2024, con la conclusione dei lavori di ristrutturazione del Pathside Building, a Jersey City, a 15 minuti di treno dal cuore di New York. Come dire, se il Guggenheim ha messo i piedi in Europa anche l’Europa è capace di mettere i suoi negli USA! Visione corretta e lodevole visto che siamo arrivati al punto che i più grandi e prestigiosi musei ragionano sul numero di metri quadri disponibili e sul numero dei curatori impegnati nel valorizzare le loro collezioni (detto per inciso la casa madre ha dieci piani da 7500 mq cadauno, con quasi 6mila mq a disposizione per mostre temporanee e 35 curatori a tempo pieno).
Veniamo ora alla bellissima mostra che il Pompidou dedica a James Coleman, artista irlandese (classe 1941), grazie alla curatela di Nicolas Liucci-Goutnikov (Head of Department at the bibliothèque Kandinsky, Musée national d’art moderne, Centre Pompidou, Paris), e con la collaborazione di Thomas Bertail (Coordinator for research activities, bibliothèque Kandinsky, Musée national d’art moderne). Coleman abbandona la pratica della pittura agli inizi degli anni Settanta per dedicarsi a progetti legati alla ricerca fotografica e video e proiezioni sincronizzate, con voci e musica fuori campo. Lavorando sul discrimine tra le varie discipline artistiche afferenti alle arti visive, l’autore ha saputo ricreare un mondo dove non solo l’aspetto concettuale ma anche quello narrativo prendono il sopravvento grazie alla marcatura di segni come il tempo, lo spazio e la memoria. Tutti elementi che inducono lo spettatore a soffermarsi su come l’interpretazione (la rappresentazione) parli dell’identità, modificando la comprensione di ciò che vediamo e dissociando, molto spesso, l’immagine proposta dal testo che la accompagna.
Elenchiamo alcuni di questi lavori che ormai hanno segnato la storia dell’immagine in movimento o dell’installazione con immagini in movimento: Pump (1972), Playback of a Daydream (1974), Slide Piece (1972-1973), Background (1991-1994), Lapsus Exposure (1992-1994), Charon (MIT Project) (1989), I N I T I A L S (1993-1994), per un totale di ben diciassette lavori proposti in questa mostra. Alcuni di questi lavori sono stati in precedenza esposti in musei e gallerie molto prestigiose a comprova che il suo lavoro è riconosciuto e apprezzato. Tra gli altri ricordiamo: il Museo Reina Sofia (Madrid, 2012); Marian Goodman Gallery (London, 2016); Marian Goodman Gallery (New York, 2017); MUMOK (Vienna, 2019).
La mostra è accompagnata da un catalogo (224 pp, 23 x 27 cm, 35,00 euro, Les Éditions du Centre Pompidou French) con saggi di Bernard Blistène, Benjamin Buchloch e Nicolas Liucci-Goutnikov. A questi si collega un’antologia di testi firmati da Raymond Bellour, Benjamin Buchloch, Lynne Cooke, Georges Didi-Huberman, Jean Fisher, Rosalind Krauss, Jacques Rancière, Kaja Silverman.
Fabio Fabris
Info:
James Coleman
9/6 – 23/8/2021
Gallery 3, Level 1
Centre Pompidou, Paris
75191 Paris cedex 04
entrance is rue Beaubourg
00 33 (0)1 44 78 12 33
reservations:
www.billetterie.centrepompidou.fr
James Coleman, Retake with Evidence, 2007. Video projection featuring Harvey Keitel, 35mm lm in 4:3, digitised in HD video. Courtesy Marian Goodman Gallery © James Coleman / Photo © James Coleman
James Coleman, Slide Piece, 1972-1973. Projected 35mm slides, in colour, synchronised with audio narration. Courtesy Marian Goodman Gallery © James Coleman / Photo © James Coleman
James Coleman, I N I T I A L S, 1993-1994. Images projected with a synchronised audio narration, 35mm slides, colour. Courtesy Marian Goodman Gallery © James Coleman / Photo © James Coleman
James Coleman, I N I T I A L S, 1993-1994. Images projected with a synchronised audio narration, 35mm slides, colour. Courtesy Marian Goodman Gallery © James Coleman / Photo © James Coleman
is a contemporary art magazine since 1980
NO COMMENT