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Le osservavo ed ero solo occhi. Sguardi oltre l’umano tra le cave lunari

Nel testo The Carrier Bag Theory of Fiction (1986), Ursula K. Le Guin, prendendo le mosse dagli studi dell’antropologa Elizabeth Fisher, rivelava che la prima tecnologia inventata dall’uomo non fu un’arma per cacciare, bensì una borsa-sacca per raccogliere e trasportare il cibo. Testimoniava, così, come il primo prodotto umano non sia stato un dispositivo di dominio e prevaricazione sul territorio e sulle specie, ma un contenitore per la coesistenza e la raccolta di diverse narrazioni e mondi, un assemblaggio trasportatore di significati, una favola che si contrapponeva ai miti individualistici degli eroi, spostandosi verso una polifonia di voci (1).

Anche uno dei pilastri americani della letteratura “ambientalista”, Primavera silenziosa di Rachel Carson (1962), si apriva con il capitolo “Una favola che può diventare realtà”, il “c’era una volta” di un’America olocenica dove entità umane e non-umane vivevano in simbiosi collaborative con il paesaggio circostante.

Ad arrestare l’insorgere di questa favola furono l’arrivo delle monoculture, degli insetticidi chimici sinistri lanciati su terreni coltivati, boschi e giardini, delle reti globali del capitalismo, dello sfruttamento e dell’espropriazione: quello che Moore ha definito Capitalocene e Tsing Piantagiocene (2). Il pensiero ecologico più recente ha, però, dimostrato come spinte generatrici di nuove ere non si siano esaurite, come vuole il pensiero antropocentrico, ma persistano nei cosiddetti refugia: habitat in cui la biodiversità riesce a sopravvivere in condizioni avverse e mutevoli. Un esempio sono le foreste disboscate dell’America Settentrionale o le centrali nucleari di Hiroshima e Nagasaki che hanno visto la crescita dei funghi Matsutake, raccolti e raccontati da Anna Tsing (3).

Caves of the moon prosegue nel solco di questi ambienti sensoriali, ipogei e aggrovigliati, che nascono da un sistema economico estrattivista e sempre più impattante. La fiaba di futurologia ideata da Daniela Jakrlova’ Riva comincia dall’esplorazione nelle cave del Parco della Valle del Lanza, tra Como e Varese, e dalla constatazione del danno estrattivista prodotto dall’architettura pubblica e sacra, che, dal V secolo fino agli anni Trenta del Novecento, ha scavato nel sottosuolo alla ricerca della preziosa molera. Ma non si ferma alla denuncia: ne scrive una “nuova era geologica”, una diversa tempospettiva, quella di un mondo contro-egemonico che attinge alle genealogie sci-fi e ai pattern tentacolari femministi e transfemministi e confluisce nella video-animazione 3D che apre la mostra. Qui, Daniela Jakrlova’ Riva racconta di un’identità fluttuante, natia del pianeta Kora, che, in un futuro prossimo, esplora la Terra, dopo la nostra estinzione, raggiungendo gli stessi luoghi attraversati dall’artista, che, millenni dopo, hanno lasciato spazio all’autarchia di entità ctonie come licheni e alghe: “Crescono incessantemente arrivando a sfiorare la pianta dei miei piedi allacciandosi come un tessuto alla mia carne.Prima le caviglie poi le ginocchia (…) Con un balzo improvviso, affondò in me fino a far vibrare le mie corde vocali.Lentamente scivola via l’ego dalla lingua (…) La mia voce era la sua.” (4)

Le alghe dorate si uniscono alla creatura di Kora, si impossessano strisciando delle sue corde vocali per trasmettere nuovamente la vitalità di questo interstizio: un paesaggio industrial-vegetale che non necessita della presenza umana. A parlare è un’autorialità difratta, scomposta in una polifonia di voci che impedisce di ridurre la verità a un’unica forma e a un unico senso. “Vi invito a non farvi investire dalla bramosia di voler conoscere” scrive la curatrice Giulia Profeti nel testo che accompagna la mostra.

Fin dall’ingresso nella prima sala di X contemporary (via Santa Teresa, 20/A, Milano), si è obbligati a confrontarsi con un “futuro senza di noi”, a visualizzare un tempo non-nostro, che esige la scomparsa dell’uomo per poter apparire (5). A guidarci sono gli stessi stemmi lichenici, le stesse alghe luminose che hanno accompagnato in un futuro “diffratto” l’esploratore di Kora. La stampa 3D (in PLA biodegradabile bianco) ne restituisce le forme alchemiche e vegetali in bassorilievi che costellano le pareti. Poco in basso, stampe fotografiche delle cave di molera, si assumono il compito di fare un giusto richiamo al reale, trattandolo però, per dirla con Musil, piuttosto come un compito dell’immaginazione o, tanto più, un’invenzione (6).

Questo storytelling permette, non solo, di rendere evidenti le conseguenze dell’impatto antropocentrico, ma racconta anche pratiche di sopravvivenza e immaginazione, possibili alternative ecosistemiche su queste macerie, nella forma di una narrazione ri-formativa delle relazioni di prossimità e vulnerabilità con il non-umano e il più che umano. L’immaginazione si configura, allora, come pratica ecopolitica, capace di scrivere della crisi di mondi, modelli e codici comunicativi, prefigurandone, sì, il tramonto ma, anche, l’avvento in nuovi scenari (7).

Alessia Baranello

Info:

Daniela Riva, Caves of the Moon
a cura di Giulia Profeti
30/06/2022 – 16/08/2022
X Contemporary
via Santa Teresa 20/A, 20142, Milano

1. U. K. Le Guin, The Carrier Bag Theory of Fiction, Ignota Books, 2019.

2. Per le definizioni di Capitalocene e Piantagiocene si veda J. W. Moore, Verso una sintesi provvisoria: l’origine del Capitalocene, in Earthbound. Superare l’Antropocene, K-studies, 2018, pp. 25-31 e A. L. Tsing, Fiction: An Ethnography of Global Connection, Princeton Univ Pr, 2004.

3. A. L. Tsing, Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, Keller, 2021.

4. R. Musil, L’uomo senza qualità, 1930.

5. Dipesh Chakrabarty, The Climate of History in a Planetary Age, The University of Chicago Press, Londra, 2021.

6. Estratto dalla video animazione 3D Caves of the Moon (full hd, colore, suono, 11’ 40’’, su schermo 32’) che apre la mostra.

7. Per un approfondimento sullo storytelling multispecie come pratica ecopolitica si veda: I. Pinto, Storytelling multispecie. Una pratica ecopolitica per la giustizia ambientale, in “Etnografie del contemporaneo”, Anno 4, Vol. 4, pp. 33-46, 2021.

Daniela Jakrlova’ Riva, Caves of the moon. Exhibition view at X-Contemporary, Milano, 2022. Courtesy Daniela Jakrlova’ Riva

Daniela Jakrlova’ Riva, Caves of the moon, video animazione 3D, fullhd, colore, suono, 11’ 40’’, su schermo 32’’. Courtesy Daniela Jakrlova’ Riva

Daniela Jakrlova’ Riva, Caves of the moon, 10 bassorilievi, stampa 3D in PLA biodegradabile bianco, cm 9 x 9 x 1.8 ciascuna. Courtesy Daniela Jakrlova’ Riva

Daniela Jakrlova’ Riva, Caves of the moon, stampa Lambda su carta Fuji Archive Matte, 14 fotografie, cm 20 x 30 ciascuna. Courtesy Daniela Jakrlova’ Riva

Daniela Jakrlova’ Riva, Caves of the moon, video animazione 3D, fullhd, colore, suono, 11’ 40’’, su schermo 32’’ © Daniela Jakrlova’ Riva


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