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Lo stampatore Samuele Mancini racconta la fotograf...

Lo stampatore Samuele Mancini racconta la fotografia di Giuliana Traverso

Dopo la scomparsa di Gastel, la fotografia perde un’altra protagonista: Giuliana Traverso. La fotografa genovese se ne è andata a novant’anni. Elegante osservatrice di anime, bambina pronta a stupirsi ancora. A settembre sarebbe stata a Verona con un progetto inedito che comunque sarà esposto. Samuele Mancini, suo stampatore di fiducia, da molti anni condivideva con lei scelte, progetti, pensieri. Il suo ricordo è oggi uno sguardo in diagonale.

Simone Azzoni: Quando è cominciato tutto?
Samuele Mancini: Lei è stata per me una maestra fin dall’inizio della mia carriera quando mi innamorai di quella foto della bambina che lanciava coriandoli a Genova. Ero al Fabriano Foto Festival e lei lì era nella giuria che mi premiò. Mi fece una carezza e mi disse di continuare. Divenne un’amica e nei momenti più critici le raccontavo di me e lei mi consigliava.

Il rapporto tra stampatore e fotografo non è solo un rapporto di fiducia ma è un dialogo registico in un processo creativo in cui ognuno ha la sua parte. Com’era il tuo con Giuliana Traverso?
Giuliana nasce come stampatrice e all’inizio era terrificante perché il suo occhio era quello dell’esperto. Ma anche se sui provini spaccava il capello in quattro, non abbiamo mai parlato di tecnica. Si discuteva soprattutto dell’essenza del suo lavoro. Lei vedeva che alcuni scatti sarebbero dovuti passare attraverso la trasformazione. Si fidava di me per tirar fuori nell’ultimo passaggio il senso del lavoro: l’attenzione non andava mai alla singola foto. Diciamo che io ottimizzavo, ero l’ultimo passetto.

Anche la scelta degli scatti “buoni” tra decine di rulli era condivisa con te negli ultimi anni?
Dai rulli scattati in Irlanda, ad esempio, lei ha estrapolato solo poche foto, due su trentasei scatti. Le altre erano perfette ma quelle che arrivavano all’anima del progetto per lei erano pochissime. E su quelle ha lavorato con i famosi viraggi.

Da stampatore, ti chiedo, qual era il suo punto di forza tecnico?
L’uso del grandangolo. Le linee. Giuliana aveva imparato a leggere le fotografie durante gli incontri dentro i primi circoli italiani: siccome era l’unica donna, le davano da sedersi (ma non la facevano intervenire mai). Da quella posizione guardava le foto da sotto quindi ne vedeva il negativo duro, fatto di linee, di forme. Quella precisione è rimasta per sempre. Nelle sue foto ci sono sempre delle linee che fanno quelle che lei vuole che facciano. Tutto è linea: un movimento ottenuto con le primissime ottiche grandangolari.

Giuliana Traverso spingeva la sua sperimentazione ai limiti delle possibilità tecniche…
Certo! Buona parte degli scatti fatti in Irlanda li ha realizzati con un 14mm. Un obiettivo difficilissimo, nessun pazzo lo userebbe per i paesaggi, lei lo ha usato anche per i ritratti. Riusciva a piegare la tecnica che aveva a disposizione sulla sua visione, tirava fuori il massimo da soluzioni non convenzionali. Voleva sperimentare, voleva riscattare le sue stampe mentre bruciavano, ad esempio. Era eclettica. Quando le partiva un’idea era come se si assentasse dal mondo. Con strumenti primordiali e rudimentali ha fatto cose straordinarie che si sono viste anni dopo nei fotografi celebrati oggi.

In effetti Giuliana Traverso non sempre ha avuto il riconoscimento che merita…
La sua storia è conosciuta in alcuni ambienti ma sul grande pubblico non ha avuto la ricaduta che merita. Chiusa tra il mare e le montagne è sfuggita alle etichette, non voleva essere associata a Lanfranco Colombo di cui comunque è stata suggeritrice silenziosa nella scoperta di molti talenti. Giuliana è prima cronologicamente di Letizia Battaglia e, per la freschezza dello sguardo, sperimentale su tutto.

Ad esempio?
La foto famosa di Ornella Vanoni. Lei era un’assistente, volle provare a fare una foto. Aveva una pellicola pre caricata, non giusta. Ma appena la sviluppò vide proprio in quell’immagine sgranata che esce dal nero un taglio erotico potentissimo.

Poi c’è la sua scuola “Donna fotografa” che nel 1968 ha cambiato la vita di molte donne…
Una scuola realizzata da donna divorziata. La scuola fu una rivoluzione culturale. Tramite la fotografia trasmetteva l’importanza di essere donna. La scuola era frequentata da donne di tutte le età ed estrazioni sociali e politiche. C’è una fotografia al femminile perché le donne hanno una sensibilità diversa, ma lei ha insegnato una grammatica emotiva in anni in cui non se ne parlava e attraverso la fotografia ha insegnato a emanciparsi. Per le allieve la fotografia diventava un mezzo per indagare il sé, l’io l’inconscio, l’altro e il mondo.

Su quale progetto eravate ultimamente?
Su una video intervista che avrei dovuto portare a Verona. Immagini e commenti emozionali, era felicissima. Al Festival Grenze comunque porterò i suoi progetti inediti perché lei voleva raggiungere i giovani, sentiva ancora la voglia di raccontarsi e raccontare.

Cosa ti lascia il suo insegnamento?
Mi ha insegnato l’integrità, a essere sé stessi nonostante tutto. Mi ha insegnato a credere a quello che si fa e a crederci per davvero. A pensare prima di scattare, e si scatta per sé e per gli altri. Mi ha insegnato a guardare dietro un’immagine, le sue potenzialità sociali ed emozionali.

Il suo testamento invece?
Lei amava andare al limite delle cose. Spingersi con coraggio in situazioni anche pericolose come quella volta che fotografò i ragazzi di un gruppo di riabilitazione. Li fece vestire da fantasmi. Una foto non deve essere solo bella ma dietro deve esserci una storia. Vedeva la fotografia non a compartimenti stagni e la vedeva in due direzioni, dai nostri occhi all’esterno e dai nostri occhi all’interno. Cercava sempre qualcosa di contraddittorio perché nella contraddizione si rivela la ricerca. Ci ha insegnato la necessità di mettersi in discussione sempre.

Simone Azzoni

Info:

www.giulianatraverso.com

Giuliana Traverso, Irlanda, 1982

Giuliana Traverso, Irlanda, 1982

Giuliana Traverso, Vetrine, 1990

Giuliana Traverso, Genova per me, s.d.


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