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Mehrangiz Imanpour. Surrealismo e melanconie pop

Mehrangiz Imanpour. Surrealismo e melanconie pop

Continua la nostra esplorazione della pittura contemporanea iraniana, le cui sfaccettature non sono ancora adeguatamente conosciute nei circuiti artistici occidentali, con un approfondimento dedicato a Mehrangiz Imanpour (Tehran, 1963), artista con alle spalle una carriera più che trentennale e protagonista di svariate mostre in Iran, Emirati Arabi Uniti e Svezia, vincitrice lo scorso anno del secondo premio nella sezione mixed media dell’All Color – CAGO context a Maryland negli Stati Uniti. I suoi dipinti sono incentrati su questioni sociali, come la condizione femminile, le problematiche ambientali, la guerra e il consumismo e si avvalgono di simboli e segnali criptici per invitare lo spettatore a partecipare attivamente all’interpretazione delle immagini completandone il significato con le proprie esperienze personali.

Ogni quadro è concepito come se fosse un’insegna araldica: su uno sfondo neutro o concettuale (che talvolta richiama la texture della sabbia del deserto, della terra arida, del mare o delle pavimentazioni stradali in cemento) si stagliano elementi iconici realizzati con la tecnica del trompe-l’œil che raffigurano oggetti quotidiani, reperti archeologici o frammenti di corpo umano avulsi dal loro contesto abituale. Il loro accostamento apparentemente incongruo genera una sorta di rebus mentale la cui soluzione non produce certezze ma il moltiplicarsi del dubbio, che trapassa senza soluzione di continuità dall’interpretazione dell’immagine all’inabissamento nelle pieghe più profonde dell’inconscio. A proposito di questi elementi, che forse sarebbe più appropriato definire affioramenti, si potrebbe citare la celebre frase del poeta Isidore Ducasse (1846-1870), più noto con lo pseudonimo di Comte de Lautréamont: Bello come la retrattilità degli artigli degli uccelli rapaci; o ancora, come l’incertezza dei movimenti muscolari nelle pieghe delle parti molli della regione cervicale posteriore; […] e soprattutto, bello come l’incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello. L’avanguardia storica del Surrealismo faceva emergere l’inconscio dell’animo umano, di solito mascherato dall’ipocrisia della società borghese dell’epoca, trasformando le percezioni a prima vista illogiche scaturite dai sogni o da certi automatismi ossessivi nella sintassi di un nuovo alfabeto visivo destinato a rivoluzionare per sempre la storia della pittura.

Anche il lavoro di Mehrangiz Imanpour deriva dallo smembramento delle logiche visive e mentali che rispecchiano l’accettabilità degli standard di comportamento su cui si basa la convivenza in ogni società organizzata per far affiorare il risvolto perturbante dell’inconscio collettivo con la sua coerenza sghemba ma visceralmente connessa alle pulsioni più sincere dell’essere umano. L’impaginazione estremamente calcolata dei suoi quadri, vere e proprie trappole per il pensiero da cui è impossibile uscire indenni, nasconde quindi la volontà catartica di liberarsi dalle incongruenze dello stile di vita contemporaneo ingigantendone i sintomi sulla tela. L’artista instaura con i suoi soggetti un rapporto ambiguo di attrazione e repulsione: da un lato l’insistenza iperrealista su determinate tipologie di oggetti, presi a paradigma di un certo status di benessere economico, manifesta la fascinazione che essi esercitano sul suo (e sul nostro) immaginario, dall’altro il sistematico inserimento di dettagli inquietanti e di giustapposizioni contraddittorie fa crollare le finte sicurezze indotte dal sistema per aprire incolmabili voragini di senso.

Per ottenere questo risultato Mehrangiz Imanpour fa tesoro della grammatica compositiva surrealista rileggendola in chiave contemporanea e recepisce dalla Pop Art il protagonismo dell’oggetto consumistico prodotto in serie stravolgendone radicalmente l’appeal. Se gli oggetti di massa serigrafati da Andy Warhol o i dettagli pubblicitari enfatizzati dalla pittura di James Rosenquist – tanto per citare qualche esempio – ostentavano un aspetto scintillante e impeccabile, le bottiglie di Coca-Cola, le insegne di Mac Donald’s, gli hamburgers e i pacchetti di Marlboro dipinti dall’artista iraniana assumono sembianze incerte e malinconiche, come se fossero scarti e residui di una civiltà inesorabilmente votata all’estinzione. Alla catastrofe ambientale e umana sembrano alludere anche i desolati fondali astratti o desertici su cui vagano senza meta esili silhouette umane appena abbozzate con il nero, larve esistenziali simili a insetti, simulacri che producono ombra in cerca di un’impossibile conciliazione con il mondo.

A volte la visione si fa ancora più cruda e la tela assume la valenza metaforica di un tavolo da dissezione anatomica ed emotiva in cui l’essere umano viene fatto a brandelli per diventare occhio, orecchio, mano o piede circondato da oggetti antichi e moderni che possiamo supporre siano la causa della sua lacerazione interiore. L’idea di introspezione, intesa nel suo senso più letterale di guardarsi dentro, è sottolineata dalla ricorrente presenza di occhi (spesso femminili) che scrutano con attitudine indagatoria le composizioni inquadrate dalla tela. La loro allarmante presenza colloca idealmente lo spettatore all’interno della scena raffigurata come se fosse uno dei misteriosi oggetti che la popolano, o come se la tela fosse un diaframma che separa il suo sguardo da uno spazio altro in cui le sue più segrete proiezioni mentali sono libere di espandersi.

La costante compresenza di interno/esterno, ordine formale/deviazione logica, figuratività/astrazione è uno dei tratti più evidenti della pittura di Mehrangiz Imanpour. L’artista finge un distacco oggettivo dai suoi soggetti (che singolarmente vengono rappresentati nel modo più imparziale possibile) per abbassare le difese dell’osservatore attraverso la loro immediata leggibilità con l’intento di trasportarlo sul piano intimo e universale dell’ossessione e del rimosso. Per questo l’elusività dei suoi enigmi visivi, anziché scoraggiare il coinvolgimento, suscita un’istintiva empatia che trasforma l’iniziale tentativo di interpretazione testuale in una meditazione esistenziale sull’incertezza della condizione umana contemporanea.

Mehrangiz ImanpourMehrangiz Imanpour, Untitled, Painting, Acrylic, Oil Color, 2018

Mehrangiz ImanpourMehrangiz Imanpour, Untitled, Painting, Acrylic, 2018

Mehrangiz-ImanpourMehrangiz Imanpour, Untitled, Painting, Acrylic, Collage, 2018


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