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Romanzo Concreto. La collezione di Michelangelo Co...

Romanzo Concreto. La collezione di Michelangelo Consani al Museo d’Inverno di Siena

La contrada della Lupa senese vanta ormai da diversi anni una delle istituzioni più appetibili ed emblematiche della ricerca contemporanea, acronica nel suo sviluppo ed empirica nel suo proporsi. Laddove un giorno diguazzavano le acque della Fonte Nuova, oggi s’arrocca il Museo d’Inverno, gestito dagli artisti Eugenia Vanni e Francesco Carone, fedele all’originale proposta di narrare un aspetto, episodico o longevo che sia, dell’artista invitato attraverso opere di amici e colleghi accolte negli anni: in quest’ottica, l’aspetto curatoriale dell’ospite, Michelangelo Consani, spicca e corona la propria indagine artistica focalizzata concettualmente sulle relazioni materico-ambientali, definibile come una Narrativa Concreta.

Partendo dalla rievocazione del suo rapporto collaborativo e personale con Emilio Prini, manifesto nel titolo della mostra “non ho fatto io la sedia il tavolo il foglio la penna con la quale scrivo”, aforisma dello stesso Prini che sembra riprendere Antonio De Curtis1, il Consani sfutta gli spazi contenuti del Museo per ricreare un biopic interpretato da opere e aneddoti ben accordati, sia esteticamente sia sincreticamente. Se il ricordo di Prini, il più autentico degi artisti appartenenti al gruppo dell’Arte Povera, è estremamente concentrato nello scarno allestimento nella prima stanza di una fotografia, un testo e una cornice mai riempita, la seconda camera offre la vorticosa riunione degli artisti conosciuti e collezionati seguendo una logica cromatica e persino cinematografica, con la lettura di una panoramica obliqua2. Domina il pensiero, certamente con l’accento meditativo del primo locale portato dalla lettura del testo-omaggio scritto in tono diaristico a svelare il mistero della cornice senz’opera, ma persiste nei lavori concettuali e postperformativi di Aníbal López, di Deimantas Narkevicius e di Kendell Geers, accomunati da segni tipografici. In particolare Kendell Geers, con “noituLOVEr” stigmatizza quelle forme destabilizzanti vicine al lavoro di Consani come già prescritte da Celant alle origini dell’Arte Povera3 sottolineando la necessità dell’artista-ricercatore di rovesciare l’ordine prestabilito, perché la rivoluzione non è evoluzione, non è una trasformazione tendente ad un determinato fine. La dinamicità della mostra si presta altresì ad un moto oscillatorio, nella dualità autoriale delle opere, peculiare per la fotografia (Michelangelo Pistoletto, Robert Pettena, Ugo la Pietra), e viene resa plasticamente dal fuoco del camino acceso che funge, peraltro, il doppio ruolo di memoria e cambiamento, appunto Rivoluzione, affatto veemente piuttosto, come suddetto, meditativa e in divenire, una rivolta interna pari ad uno stato di coscienza.

Parimenti, la mutazione della carne è un elemento inevitabile nel processo percettivo-evocativo, non solo a livello esperienziale ma più intimamente esistenziale, attuata come una sottrazione/estrazione4 imbevuta del tradizionale “levare” michelangiolesco: si sta, chiaramente, alludendo alle uniche sculture esposte, la preziosa anamorfica di Emanuele Becheri e soprattutto la Lupa di Davide Rivalta posizionata nel terzo ambiente terrazzato del Museo, a guardia della città cui surge a icona. In una sequenza concentrata e vibrante di passato-presente-futuro, si conclude il lungometraggio5 espositivo proposto dal Consani, tre quadri bianco, rosso e argento quasi a rendere omaggiare, Senarum signum et decus, i colori della Contrada ospitante.

Luca Sposato

[1] La dichiarazione attribuita a Prini «Non ho programmi, vado a tentoni, non vedo traccia di nascita dell’Arte (né della tragedia) perché la C. S. non è il frutto del puro lavoro umano (perché non ho fatto io la sedia il tavolo il foglio la penna con la quale scrivo) non creo, se è possibile.» coincide sull’attribuire un profondo valore all’anonimato degli oggetti quotidiani, persistenti nella loro funzionalità, all’elogio di Antonio De Curtis ai creatori materiali, spesso opinabili ma redivivi nella tangibilità del loro operato: «Io non sono un artista, ma solo un venditore di chiacchiere, come Petrolini che, infatti, è stato dimenticato. Un falegname vale più di noi due messi assieme, perché almeno fabbrica un armadio, una sedia che rimangono. Noi, al massimo, quando ci va bene, duriamo una generazione. Lo scritto rimane, un quadro rimane, anche un lavandino rimane. Ma le chiacchiere degli attori passano». Cfr. O. FALLACI, Oriana Fallaci e Totò, il principe metafisico, intervista su l’Europeo, 1963 e L. DE CURTIS, Totò. Siamo uomini o caporali? Diario semiserio di Antonio de Curtis, Newton & Compton, Roma, 1996.

[2] La disposizione vuoto-pieno è cifra del percorso artistico del Consani. Dalla frequentazione con Prini, cui è stato assistente, attinge quel depauperamento autoriale dell’opera d’arte a favore di un “assenza” prossima sia ad una filosofia occidentale (Deleuze, Bourriaud) sia alla dottrina del “non fare” di Masanobu Fukuoka.

[3] Vedi G. CELANT, Arte povera: appunti per una guerriglia, in «Flash Art», nº 5, novembre-dicembre 1967.

[4] Termine coniato da Gilles Deleuze soprattutto dopo l’incontro con Carmelo Bene, nella seconda metà degli anni Settanta. Già in Differenza e Ripetizione il filosofo coglie l’innovazione dei processi anti-rappresentativi, ma è appunto nel teatro di Bene che adotta appieno l’idea della non-rappresentazione. Cfr. G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano 1997 e C. BENE & G. DELEUZE, Un manifesto di meno, in «Sovrapposizioni», Quodlibet, Macerata 2002 e L. CHIESA, Il teatro dell’estinzione sottrattiva. Bene senza Deleuze, «Mimesis Journal», I, 2 (2012), pp. 107-123.

[5] L’insistenza sul cinema proviene da una chiacchierata con lo stesso Consani; l’artista afferma di essersi ispirato a tre film per allestire i tre spazi a disposizione, ovvero Una pura formalità di Giuseppe Tornatore (1994) per la prima stanza, Brutti sporchi e cattivi di Ettore Scola (1976) per la seconda camera e 2046 di Wong Kar-wai (2004) per l’ambiente all’aperto. L’ispirazione, più ideale che formale, scandisce il rapporto temporale della mostra, con buona dose di ironia per descrivere la comunione degli artisti (atteggiamento già del Prini) e punte surreali e futuribili per il rapporto con le opere (tecnicamente la Lupa di Rivalta è un acquisto prossimo della sua collezione).

Info:

Michelangelo Consani
non ho fatto io la sedia il tavolo il foglio la penna con la quale scrivo

Daniele Bacci, Emanuele Becheri, Erick Beltràn, Kendell Geers, Piero Gilardi, Ugo La Pietra, Anìbal Lòpez (A-1 53167), Cildo Meireles, Deimantas Narkevicius , Robert Pettena, Michelangelo Pistoletto, Davide Rivalta, Pascale Marthine Tayou, Rirkrit Tiravanija, Italo Zuffi.

Dal 20 ottobre al 21 dicembre 2019
solo su appuntamento

Museo d’Inverno
via pian d’Ovile 29, 53100 Siena
+39/3487438845  +39/3333082236

www.museodinverno.com | info@museodinverno.com

Foto ritratto di Michelangelo Consani e Emilio Prini, 2003 (courtesy Ph Emanuele Becheri)

Manifesto ricordo di Michelangelo Consani, con cornice che avrebbe dovuto ospitare opera di Emilio Prini, 2019 (courtesy Ph Emanuele Becheri)

da sx opere di Anìbal Lòpez (A-1 53167), Pascale Marthine Tayou, Piero Gilardi, Ugo La Pietra, Michelangelo Pistoletto, Kendell Geers, exhibition view (courtesy Ph Emanuele Becheri)

Senza Titolo, Emanuele Becheri, 2019 (courtesy Ph Emanuele Becheri)Emanuele Becheri, Senza Titolo, 2019 (courtesy Ph Emanuele Becheri)

Michelangelo ConsaniDavide Rivalta,  La Lupa, 2019 (courtesy Ph Emanuele Becheri)


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