Victor Sonna al Van Abbemuseum

Lo “Stedelijk Van Abbe Museum” ha aperto ufficialmente le sue porte il 18 aprile 1936 con la mostra “Hedendaagsche Nederlandse Kunst” (Arte contemporanea olandese). Il museo deve il suo nome al produttore di sigari (nonché collezionista d’arte) Henri Jacob van Abbe (1880 – 1940), che finanziò l’edificio e mise a disposizione una somma per gli acquisti di opere d’arte e per la gestione del museo per i primi anni di attività. Il tutto fu ovviamente preceduto da trattative a livello politico, tanto che, nel 1933, il consiglio comunale decise di donare il terreno su cui si era previsto di dover costruire il museo.

Così, una piccola città olandese, del Brabante settentrionale, e che registra oggi poco più di 200mila abitanti, a seguito di un atto di spiccato mecenatismo da parte di un suo illustre cittadino, la cui ditta acquistava tabacco dai campi di Sumatra e Java, si è ritrovata ad avere in dote una realtà culturale che poi negli anni è via via cresciuta in maniera esponenziale. Al momento, il Museo, oltre a dispiegare una nuova disposizione delle opere in collezione, unitamente a una riflessione sulla collezione da parte di Marcel van den Berg (Alphen aan de Rijn, 1978) ed Erwin Thomasse (Eindhoven, 1972), dedica una personale a Victor Sonna, firmata da Steven ten Thije e con la collaborazione di Hannah Vollam.

Victor Sonna (Yaoundé, Camerun, 1977, vive nei Paesi Bassi) è un manipolatore di materiali di scarto: recuperando oggetti che sono destinati alla rottamazione li destina a nuova vita. Quella del riuso e del riciclo è non solo una modalità espressiva, il cui spunto forse deriva dall’ambito quotidiano e i cui troviamo esempi nei più svariati angoli del mondo: dai copertoni delle auto che divengono fiorire o giochi per bambini alle vasche da bagno che divengono piccoli giardini in miniatura, dalle bottiglie di plastica tagliate che divengono piccole serre per la duplicazione di fiori e arbusti ai cocci di vetro che coronano i muri di cinta delle abitazioni private, dai cartoni usati come “materassi” alla carta da giornale usata come scudo termico…

La mostra “1525” ha il suo avvio con l’acquisto, a New Orleans, da parte dell’artista, di una coppia di ceppi che era stata usata negli anni della tratta degli schiavi sulla cosiddetta rotta atlantica. Su uno di questi gambali era inciso il numero 152, ecco perché l’autore, a seguito di un percorso di studio e conoscenza di questi odiosi abusi nei confronti di persone inermi, catturate con la forza delle armi e costrette a una vita dimezzata, mutilata e ustionata, realizza proprio centocinquantadue opere d’arte che riflettono sul tema della schiavitù. Il titolo “1525” è una intuizione ben congegnata e una coincidenza fortunata, perché dal numero marchiato, con l’aggiunta di una sola cifra si arriva all’anno in cui gli storici fanno iniziare la prima corsa delle navi negriere, in quella triangolazione tra Africa e Americhe, che viene chiamata anche commercio di Guinea, e che portò allo sradicamento e alla schiavitù di circa venti milioni di africani.

Il tutto è preceduto da un viaggio in cui l’autore, in una maniera del tutto personale e non predeterminata, con molta dignità e orgoglio, si rivolge alla scoperta del Ghana e del Suriname, alla ricerca di tracce storiche o di testimonianze relative a questo argomento al fine di sviluppare il progetto espositivo. Per dirla con le parole di Victor Sonna: “Non lavoro su un piano predeterminato. Non avevo previsto che un acquisto del tutto casuale potesse condurre a questo viaggio. Di solito è così che va con me; una cosa tira l’altra. Mi immergo e procedo”. A questo proposito, io parlerei di una mostra composta da frammenti o tessere di un mosaico, cioè da parti che si congiungono, fino a permettere al nostro sguardo di vedere il profilo dell’immagine finale. E tornano utili anche le parole di Thomas Bernhard: “Nella vita proviamo il più grande piacere quando la vita stessa ci appare come un frammento, e come il tutto è per noi raccapricciante, com’è orribile, in fondo, la perfezione di tutto ciò che è compiuto”.

Ma bisogna anche aggiungere: mi pare ovvio che su questo progetto pesi, sull’animo dell’artista, anche la sua origine di uomo trapiantato in un contesto socio-culturale molto diverso e distante dalle sue origini, dal tentativo di negoziare e mediare tra una formazione e un crescere in ambito occidentale senza dover rinunciare alle proprie radici culturali, senza cioè dover essere del tutto assimilato. Quello della diaspora, della separazione, del distacco, dell’integrazione, dell’inserimento, dell’assimilazione, della fusione tra etnie diverse, del rivolgimento di valori e riferimenti, sono sì temi di natura epocale, eppure di difficile soluzione e di acceso dibattito. Certo è che con la globalizzazione, con una diversa idea delle frontiere, con le merci e le persone che viaggiano dai quattro angoli della terra nelle più diverse direzioni, il mondo, i popoli, le persone sono in un continuo divenire: un magma ribollente.

Ecco perché la personalissima esperienza di vita di Victor Sonna, sempre in bilico tra più culture, ritorna come presenza fissa all’interno del suo lavoro e ci rivela quanto profondamente la sua coscienza venga toccata da fatti o testimonianze che forse altri passerebbero sotto silenzio. Gran parte del suo lavoro nasce dalle tensioni che sorgono tra mondi, culture e stili, approdando in opere d’arte che de-familiarizzano e mettono alla prova i confini e i limiti tradizionali. Le nozioni di identità e appartenenza sono messe in discussione attraverso la sua esplorazione artistica degli spazi tra “essere” e “divenire”, passato e presente, Africa e Occidente. E io aggiungerei anche tra essere o avere, tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. E ancora: tra ciò che si vorrebbe essere e ciò che si può essere.

La mostra è accompagnata da un ricco programma di eventi pubblici che invitano a riflettere sul ruolo che storie complesse (come la tratta degli schiavi e il colonialismo) hanno pesato sulle nostre vite e come ancora oggi possono sconvolgerle. Questo progetto espositivo fa parte di Musea Bekennen  Kleur, una partnership di musei olandesi che esplora le questioni relative all’inclusione e alla diversità all’interno del settore museale ed è stato reso possibile grazie al generoso contributo di Mondriaan Fonds.

Fabio Fabris

Info

Victor Sonna, 1525
14/08/2021 – 09/01/2022
Van Abbemuseum
Stratumsedijk 2
Eindhoven
info@vanabbemuseum.nl

Immagine guida della mostra 1525 di Victor Sonna al Van Abbemuseum di Eindhoven. Ph Ronald Smits,  courtesy dell’artista e Van Abbemuseum

Vista parziale della mostra 1525 di Victor Sonna al Van Abbemuseum di Eindhoven. Ph Ronald Smits, courtesy dell’artista e Van AbbemuseumVista parziale della mostra 1525 di Victor Sonna al Van Abbemuseum di Eindhoven. Ph Ronald Smits,  courtesy dell’artista e Van Abbemuseum

Vista parziale della mostra 1525 di Victor Sonna al Van Abbemuseum di Eindhoven. Ph Ronald Smits,  courtesy dell’artista e Van Abbemuseum

Vista parziale della mostra 1525 di Victor Sonna al Van Abbemuseum di Eindhoven. Ph Ronald Smits,  courtesy dell’artista e Van Abbemuseum

Victor Sonna fotografato da Ronald Smits dietro un accumulo di stampe datate 2018. Ph courtesy Van Abbenmuseum


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