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“Vola”: due dipinti del maestro Roberto Rizzoli

La galleria d’arte PIETRO di Bologna prosegue il suo percorso espositivo confermando la volontà di presentare di artisti irregolari che indagano soprattutto l’ambito dell’architettura. Il curatore della mostra “Vola”, Marcello Tedesco, ha recentemente presentato le due grandi tele del pittore bolognese Roberto Rizzoli, sull’onda di un percorso curatoriale e formativo durato anni, svoltosi lungo il cammino guida di altri artisti radicali, umili e vivi d’amore come Cesare Zavattini (Aspettando Za, una non mostra dalla collezione Massimo Soprani, 2021) o Carlo Levi (Paura della libertà, un omaggio a Carlo Levi, 2022). Non è un caso che sia proprio l’amore fraterno di Tedesco a curare la mostra di un altro dei suoi maestri di vita, e che Roberto Rizzoli si faccia condurre per mano sulla scena espositiva dopo lunghi e volontari anni di assenza.

Roberto Rizzoli, Vola, 1996. Stucco e acrilico su tela. Ph. Chiara Vitofrancesco, courtesy PIETRO, Bologna

Le due grandi tele esposte – realizzate nel 1996 – si presentano ai nostri occhi come composizioni prospettiche. A un primo sguardo, è il loro rilucere di natura granulare che le fa apparire come delle serigrafie, nonostante dietro queste due architetture vi sia un processo di gestazione artigianale svoltosi nel solco di un’intima relazione con i materiali pittorici. Le due pareti iniziali, di un colore nero opaco, fanno da anticamera a una materia pittorica che si è spinta nelle profondità della tela. Il “corridoio intermedio” e lo “studio” – rispettivamente una sorta di reticolato composto da punti intermittenti e un’architettura di pennellate alternatamente grasse e sottili – costituiscono il punto di fuga di questo dipinto: l’apparenza serigrafica tradisce il lungo lavoro di applicazione dell’acrilico sulla pasta della tela e della sua successiva raschiatura. Una lotta per la sopravvivenza vinta dagli strati di colore penetrati nelle profondità più recondite del supporto: le parti nere visibili “in rilievo”. La terra emersa dal lavoro di Rizzoli viene successivamente pareggiata, tale da sembrare stampata e raffreddata.

Roberto Rizzoli, Vola, 1996. Stucco e acrilico su tela. Ph. Chiara Vitofrancesco, courtesy PIETRO, Bologna

Chi si troverà a guardare queste tele proverà a percorrerle come farebbe in presenza di uno spazio reale, e forse si scontrerà con la concretezza parietale dell’immagine rappresentata: del suo doppio, fatto di materia intransitabile. Sarà costretto a tornare indietro e a riconoscere che sì – in fondo – il proprio valore soggettivo è stato annientato dalla potenza organica dell’oggetto. Subito dopo tornerà a voltarsi perché il freddo impatto iniziale non era privo di energia, e perché le vibrazioni di questo corridoio spaziale continuano a tremare nella loro minerale e tragica essenza pittorica. Si volterà un’altra volta e guarderà – perché la pittura in fondo è ciò che si vede – e forse si scontrerà con quanto non si è mai potuto vedere, con ciò che sopravvive alla fine delle cose, all’orizzonte apparentemente irraggiungibile, che altro non è che un nuovo inizio. Si ritroverà al cospetto del nome della pittura – per dirla parafrasando Umberto Eco.

Roberto Rizzoli, Vola, 1996 (dettaglio). Stucco e acrilico su tela. Ph. Chiara Vitofrancesco, courtesy PIETRO, Bologna

In sintesi, possiamo affermare che le entità in gioco su queste tele sono due: la pittura come immagine e la pittura come architettura. La pittura in sé e lo spazio della pittura. In poche parole, una rappresentazione della pittura stessa. È finalmente lei, la pittura, che presenta sé stessa, indipendente, libera dall’aneddoto. È dunque composizione. L’assurdità di questa realtà è data anche dall’ambiguità con cui siamo attratti a entrare in qualcosa che è fondamentalmente piatto. Il paradosso continua se si pensa che è proprio la composizione, che è invisibile ai nostri occhi, a tenere in piedi la pittura.  Rizzoli costruisce mostrandoci qualcosa che normalmente non si può vedere. Anche per questo la sua arte ha a che fare con la struttura invisibile propria dell’architettura, laddove questa stessa è compositiva. Le due tele vibrano del segreto che ci stanno mostrando – prezioso, umile, sregolato, tragico. Allora porgiamo nuovamente gli occhi ed ecco che a invitarci sono forse quei due spiritelli – rispettivamente di forma circolare e romboidale – che col loro peso geometrico paiono piuttosto levitare all’ingresso della pittura. Questi inorganici traghettatori sono così pulsanti che contribuiscono a investire di spiritualità le due tele che Roberto Rizzoli ha scelto di donare all’oggi.

Roberto Rizzoli, Vola, 1996. Stucco e acrilico su tela. Ph. Chiara Vitofrancesco, courtesy PIETRO, Bologna

Di fronte alla radicalità della vita di un artista come Rizzoli, alla sua poetica e alla sacralità del suo dono, la domanda che ci si può infine porre non ha solo a che fare con la riflessione sullo stato attuale della pittura. Riguarda anche la scelta finale compiuta da artista e curatore insieme, che si assumono il rischio di uno spostamento contestuale: il trasferimento di un’esperienza marginale da un luogo periferico a un centro – quello adibito alla fruizione artistica – connotato naturalmente da un determinato tipo di ambiente. Il compito è anche quello di chiedersi – lasciando ampio il margine di dubbio – se questo tipo di esperienze possano transitare in un luogo, cui meno si sentono di appartenere, e con quale tipo di esito.

Daria Ortolani

Info:

Roberto Rizzoli, Vola
a cura di Marcello Tedesco
allestimento a cura di Simone Gheduzzi
27/10/2023 – 8/12/2023
PIETRO
via Galliera 20, Bologna


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