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Aldo Mondino. Grand Tour contemporaneo

Aldo Mondino. Grand Tour contemporaneo

Se nel ‘700 i giovani rampolli dell’aristocrazia europea intraprendevano un lungo itinerario di formazione nel Vecchio Continente per affinare le loro competenze politiche, culturali e artistiche, il viaggio è tutt’ora una componente fondamentale della maturazione poetica di molti artisti contemporanei che amano confrontarsi con civiltà radicalmente diverse dalla propria per rinegoziare il loro pensiero creativo sulla base di questo scambio d’alterità. La galleria Enrico Astuni dedica in questi mesi una retrospettiva di impronta museale ad Aldo Mondino (Torino 1938-2005), instancabile sperimentatore di linguaggi e materiali artistici che nel corso dei suoi frequenti viaggi nei Paesi Mediterranei, Sudamericani e Mediorientali trovò alcune delle più profonde ispirazioni del suo sfaccettato lavoro. La mostra riunisce opere realizzate in un arco temporale compreso tra la metà degli Anni Sessanta e il 2001 documentando i momenti più importanti della sua ricerca e il continuo evolversi della sua inconfondibile e variegata cifra espressiva e concettuale, sempre stemperata e raffreddata da un approccio ludica e da ironici giochi di parole tra titolo e soggetto.

L’esposizione si apre con un’ampia selezione di lavori concepiti come affascinante immersione nella mediterraneità che intrise l’immaginario del maestro torinese di mistero magico e sonnolento e di ieratica leggerezza, immettendo nel suo vocabolario figurativo una festosa gamma cromatica e un’irripetibile folla di personaggi esotici in perfetta simbiosi con i copricapi e gli abiti tradizionali che li ammantano di regalità. Nella serie dei Mercanti, ispirata da un viaggio fra i suk marocchini, l’artista ritrae con pennellate liquide e sintetiche i venditori identificandoli con gli oggetti in mostra sul banco (gomitoli di fili colorati, papaline e ciotole) che compaiono applicati ai quadri come prelievi oggettuali. Assimilando realtà e fantasia, la pittura entra nel mondo concreto esplorandone le innumerevoli varianti in una rappresentazione narrativa che asseconda le infinite possibilità di scambio e osmosi tra arte e vita. Il tour prosegue con la serie dedicata agli Gnawa, confraternita mistica nata dal sincretismo tra culti animisti e religione islamica i cui adepti praticano rituali ipnotici legati alla magia nera per entrare in contatto con le forze soprannaturali attraverso la musica e la danza. Profondamente suggestionato dalla loro energia fin dal primo incontro in piazza El-Fnaa a Marrakech, Mondino epura la loro presenza dall’aura di pericolosità che li circonda ricreando loro copricapo tradizionale come scultura di cristalli e conchiglie e collocandoli in atmosfere luminose in cui la felicità artistica neutralizza ogni diffidenza. Gnawa suonatori di tamburi e crotali durante i rituali consacrati alle danze di possessione sono i soggetti anche dei due Tappeti di marmo presenti in mostra (il primo dei quali accoglie letteralmente il passo del visitatore all’ingresso) che testimoniano l’interesse per questa tecnica appresa durante la frequentazione dei corsi di Severini all’Ecole des Beaux-Arts.

Facendo interagire tradizione e trasgressione, esotismi e cultura d’origine, realtà e surrealtà, la musica e la danza sono motivi ricorrenti nella sua produzione artistica, rintracciabili anche nelle diverse varianti in cui aveva declinato La Dance di Matisse negli anni giovanili. Il rapporto sinergico tra queste due discipline ritorna in La Danse des jarres (1998), esponente di una numerosa serie di dipinti incentrati sui dervisci, antichi monaci islamici che nella danza entrano in stato di trance. Di fronte all’occhio miope ma visionario di Mondino i danzatori con le brocche in testa (quasi un prolungamento della loro colonna vertebrale) perdono la propria connotazione naturale per assumere l’aspetto di creature fantastiche che si dilatano e ondeggiano nello spazio fondendosi con il paesaggio circostante. Alle brocche dipinte fa da contrappunto Dino Jarre (1997), fantasioso scheletro preistorico costituito da una flessuosa colonna di giare e anfore di ceramica inserite l’una nell’altra e “tenute assieme da un’anima” metallica. L’andamento ascendente della scultura ricorda come per Mondino l’arte fosse il punto di passaggio tra la sfera fisica e spirituale allo stesso modo in cui per i dervisci la danza e la musica rappresentavano il tramite per accedere ai misteri religiosi. La loro estasi mistica lasciò nell’artista una traccia indimenticabile e nella Biennale del ’93 invitò nella sala a lui dedicata venti dervisci danzanti con i loro musici per esprimere l’aspirazione che la pittura fosse il suo modo di pregare e di comunicare la propria intuizione trascendente al pubblico.

Il mosaico invece ritorna in Veronica (1999), ritratto di torero, “metafora dell’artista come uomo che sa dominare la paura attraverso gesti di grande bellezza”, in cui le tessere musive tradizionali sono sostituite da imitazioni di cioccolatini in gesso ricoperti da carte colorate. La lussureggiante ambientazione esotica che caratterizza la stanza principale della mostra diventa più concettuale nelle salette minori che ospitano la serie Iznik (1995) delle preziose ceramiche turche dipinte su vetro come appropriazione collezionistica o i Tappeti stesi (1996), straordinari saggi di pittura trompe l’oeil in cui l’inusuale supporto di eraclite (legno truciolato industriale ignifugo) simula trama e ordito dei tappeti orientali a cui l’artista sovrappone motivi ornamentali e decorativi provenienti da diverse tradizioni.

Il percorso espositivo prosegue con un’emozionante esplorazione dei magazzini della galleria solitamente inaccessibili al pubblico, dove tra imballaggi e scaffali su cui si intravedono i nomi di alcuni tra i principali rappresentanti dell’arte contemporanea, trova posto la sezione dedicata alla produzione scultorea di Mondino come complemento della sua visione plastica della pittura. La Mamma Boccioni (1992) fa collidere la citazione del quadro Materia della collezione Mattioli a cui si ispira il viso e la scherzosa allusione ai grandi seni della progenitrice costituiti da due palle da bowling. Busto Arsizio (1993) è un torso su cui è appoggiato grande cappello, il cui profilo ambiguo ricorda certa statuaria classica mutilata dal tempo e il naso della scultura picassiana, mentre Jugen Stilo (1992) è un elegante lampadario costruito con penne a sfera Bic corredate di cappuccio in plastica.

Aldo Mondino. Grand Tour contemporaneo.
a cura di Achille Bonito Oliva e Vittoria Coen
17 dicembre 2016-26 febbraio 2017
Galleria Enrico Astuni
Via Iacopo Barozzi, 3 Bologna

Aldo Mondino, Dos Passos, 1999. Olio su linoleum e materiali vari, cm. 300 x 213. Courtesy Galleria Enrico Astuni

Aldo Mondino, Maroc, 1999. Olio su linoleum, cm. 120 x 90. Courtesy Galleria Enrico Astuni

Aldo Mondino, Cammelli Fratelli, 1998. Olio su linoleum, cm. 120 x 140. Courtesy Galleria Enrico Astuni

Aldo Mondino, 4 Gnawa, 1996. Olio su linoleum, cm. 90 x 120. Courtesy Galleria Enrico Astuni

Aldo Mondino, Veronica, 1999. Gesso e carte colorate su legno, cm. 220 x 130. Courtesy Galleria Enrico Astuni


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