Art Basel Basel 2016 senza limiti

La 47esima edizione di Art Basel Basel – autorevole madre delle fiere di Miami e Hong Kong – ha confermato grande vitalità in ogni sezione e potere di attrazione per l’offerta mercantile supportata da iniziative culturali. Come al solito, tanti i visitatori; 286 le gallerie, tutte di rilievo internazionale, con new entry da Francia, Olanda, Svizzera, Germania, Stati Uniti, Messico, Sudafrica; più di 4.000 gli artisti in mostra con opere di alta qualità, che hanno fatto registrare perfino alcune vendite da capogiro; una quindicina gli stand delle gallerie italiane  con varie presenze di nostri artisti, da Jannis Kounellis a Pier Paolo Calzolari, da Gilberto Zorio a Emilio Isgrò, a Ettore Spalletti, a Giuseppe Penone; senza contare gli onnipresenti Burri, Fontana, Manzoni, Melotti, Vedova, Merz, Boetti, Castellani, Pistoletto, Paolini.

Il padiglione di 16.000 mq riservato a Unlimited, per la quinta volta organizzato con oculatezza da Gianni Jetzer (curator-at-large del Hirshhorn Museum di Washington), ha stabilito il record di 88 installazioni pittoriche, scultoree, fotografiche, video e live performances che, per le loro dimensioni oversize, difficilmente potrebbero essere ricollocati o realizzati in ambiti privati e, tanto meno, nei normali box espositivi. Il che ha dato la possibilità agli artisti selezionati di esprimersi al meglio in spazi ‘illimitati’. Gli italiani erano tre. Isgrò (sostenuto dalla Galleria Tornabuoni di Parigi) ha presentato Encyclopedia Britannica (1969), una diversificata, monumentale sequenza di 24 volumi, cancellati con rigore estetico e concettuale, racchiusi in una elegante serie di teche in plexiglass poste su un lungo basamento bianco: inno alla parola umana e alla conoscenza universale, con il proposito di non distruggere, ma di preservare le memorie e i saperi alla base di ogni civiltà. Kounellis (Sprovieri, Londra) in Untitled (2014) ha assemblato lacerati cappotti neri appesi a lame di coltelli sporgenti da barre metalliche orizzontali e quotidiani del mese in cui ha iniziato l’opera; mentre al centro una trave-colonna di ferro, in parte coperta di indumenti simili, rafforzava l’inquietante incantesimo: visione magica e drammatica della condizione alienante del nostro tempo, caratterizzato da migrazioni di massa, xenofobia e guerre di religione. Zorio (Lia Rumma, Milano/Napoli) ha riproposto Microfoni (1968), essenziale ‘rappresentazione’ tecnologico-linguistica (insolita per l’autore) che si rivelava attraverso l’interazione con il pubblico invitato a parlare. E le voci, prima amplificate con effetto eco, pian piano si disperdevano nell’aria o erano coperte da quelle degli interventi successivi.

Parecchie gallerie attive in Italia hanno esibito, in abbinamento con altre straniere, operatori visuali di diversi paesi: l’argentino Pablo Bronstein e il brasiliano Tunga (Noero, Torino), il portoghese Pedro Cabrita Reis (Magazzino, Roma), il sudafricano William Kentridge (Lia Rumma, Milano/Napoli), l’israeliano Ariel Schlesinger (Minini, Brescia), lo statunitense Sol Lewitt (Artiaco, Napoli), il belga Hans Op de Beeck (Continua, San Gimignano/Pechino/Les Moulins/La Habana).

Tra i lavori di maggiore impatto spettacolare ed emozionale i sei giganteschi volti post-human (2014) dipinti dall’americano Tony Oursler (Lisson, Londra), artificializzati da grafici digitali e animazioni virtuali negli occhi e sulle labbra parlanti, ma senza voce; la videoproiezione, figurale e sonora, Notes Towards a Model Opera (su tre schermi) di Kentridge (Lia Rumma con Goodman di Joannesburg e Marian Goodman di Londra/Parigi/New York) dalla forte e articolata valenza ideologica, questa volta ispirata alla rivoluzione culturale cinese; le Mimed Sculptures (2016) di Davide Balula (Franz Elbaz, Parigi e Gagosian), in cui i mimi viventi, fuoriusciti dai piedistalli, si posizionavano con movenze riconducibili a sculture di noti artisti contemporanei; l’instabile accumulazione aerea di valigie appese a fili rossi della giapponese Chiharu Shiota (Templon, Parigi), oggetti del vissuto personale e collettivo che facevano riaffiorare nei visitatori ricordi del passato; la bibliomediateca metallica (2013) dell’algerino-francese Kader Attia (Lehmann Maupin, NY e Nagel, Berlino) metteva in relazione la cultura occidentale e orientale, dimostrando come il nazionalismo e l’eurocentrismo continuino ad alimentare il sentimento della paura. Meritano di essere citate pure le raffinate tele concettuali in bianco e nero di Joseph Kosuth (Sean Kelly, NY); la purezza minimale della stanza di Tracey Emin (Hufkens, Bruxelles; Lehmann Maupin, NY; White Cube, Londra), data dall’armoniosa associazione di colori immateriali, luci al neon e lamiere specchianti; la White House di Ai Weiwei (Neuger e Riemschneider, Berlino) che evocava in senso critico una residenza del sud della Cina, con reperti della dinastia Qing come ready made culturale-antropologico, uniti a elementi lignei privi di identità storica; l’austera sala, vuota e semibuia, allestita da Elmgreen & Dragset (Helga de Alvear, Madrid), che, grazie anche al battito a cadenza regolare del martelletto del banditore d’asta, riproduceva, con ironico intento decostruttivo, il luogo istituzionale in cui l’oggetto creativo diviene merce.

Anna Maria Novelli

Emilio Isgrò davanti alla sua installazione “Enciclopedia Britannica”, 1969, 24 libri, 50 x 70 x 8,7 cm cad., cancellature con inchiostro indiano, box in legno e plexiglass (courtesy l’Artista e Tornabuoni Art Gallery, Parigi; ph L. Marucci)

Jannis Kounellis, “Untitled”, 2014 (particolare), cappotti neri lacerati, coltelli, travi di metallo, giornali (courtesy l’Artista e Sprovieri Gallery, Londra; ph L. Marucci)

Tony Oursler, “Templare/variant/friend/stranger”, 2014, tre delle sei foto montate su supporto di legno, media player e suono, dimensioni variabili, circa 268 x 238 x 58 cad. (courtesy l’Artista e Lisson Gallery, Londra; ph L. Marucci)

Davide Balula, “Mimed Sculptures”, 2016, nove performer in alternanza mimano sculture di artisti storici per tutto il tempo di apertura della Fiera (courtesy l’Artista, Galerie Franz Elbaz, Parigi e Gagosian Gallery, sedi varie; ph L. Marucci)


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