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Estetica accelerazionista e popoli della Rete (I)

Estetica accelerazionista e popoli della Rete (I)

Ipermodernità ed estetica dell’accelerazione

Mentre l’intero Occidente s’interroga sul ruolo della tecnologia e dei suoi prodotti, nonché sui rischi impliciti nel loro utilizzo, in Italia viviamo ancora oggi una schisi tra destra e sinistra in cui si ripresentano intatti i contenuti etici del fascismo e dell’antifascismo. Queste due categorie hanno caratterizzato e caratterizzano ancora oggi l’intera produzione culturale italiana, esprimendo la condizione ontologica di un Paese ancora permeato da un’autonarrazione popolare, intimista e affabulatoria, che ritroviamo non solo in letteratura, ma anche nelle arti visive – dall’arte povera all’infinita stagione del post concettuale o neo minimale – dove persino le neo avanguardie s’ispirano alle sperimentazioni del passato ignorando l’evoluzione tecnologica. Continuano a riproporsi atteggiamenti culturali che evocano un antagonismo conservatore, espressi da concetti quali “resistenza analogica” o “neo sperimentalismo”, che si pongono come recupero nostalgico di esperienze culturali degli anni Sessanta e Settanta. La produzione culturale italiana rimane così sostanzialmente indifferente all’attuale dibattito mondiale sulla digitalizzazione, mentre i nuovi media e Internet, visti come esiti estremi della produzione capitalistica, vengono osservati con diffidenza.

La teoria politica accelerazionista[1] ha proposto al contrario di cogliere positivamente gli esiti del capitalismo iperliberista sul piano della ricerca tecnologica al fine di immaginare una loro ipotetica redistribuzione sociale e con la conseguenza di portarne al collasso le contraddizioni strutturali. L’accelerazionismo, nella sua accezione di destra, auspica che l’evoluzione tecnologica porti l’intelligenza artificiale a superare quella umana, riducendo quest’ultima a una forma di sudditanza, mentre a sinistra si invoca la necessità di aumentare le conoscenze informatiche per una redistribuzione equa delle risorse tecnologiche[2]. Secondo Nick Srnicek e Alex Williams, autori del Manifesto for an Accelerationist Politics (2013), “le piattaforme sono l’infrastruttura della società globale […] Esse stabiliscono i parametri di base di ciò che è possibile, sia sul piano comportamentale e sia su quello ideologico: sono ciò che rende possibile un determinato insieme di azioni, relazioni e poteri. Nonostante gran parte dell’attuale piattaforma globale sia orientata a favorire rapporti sociali capitalistici, questa necessità non è inevitabile. Le piattaforme materiali della produzione, della finanza, della logistica e del consumo possono e devono essere riprogrammate e riformattate verso fini post-capitalistici”.

Ciò che la teoria politica elabora nel merito, trova un suo risconto estetico nelle prassi creative in rete, in artisti entusiasti dei nuovi mezzi espressivi permessi dall’evoluzione tecnologica riferita alle comunicazioni di massa. Anche se in Italia non ce ne siamo accorti a causa della sua irrisolta dialettica politica e dell’egemonia del neorealismo “ontologico” espresso dalla cultura di sinistra, l’ipermodernità è la condizione culturale dominante in tutte le società ad alto sviluppo tecnologico, ovvero in quelle nazioni in cui la crescita capitalista neoliberista ha prodotto condizioni di consumo parossistico.

Il concetto di ipermodernità, elaborato in Francia quindici anni fa da Paul Virilio, Gilles Lipovetsky[3] e altri, in Italia è rimasto sostanzialmente materia di studio per una ristretta cerchia di ricercatori, sociologi e psicanalisti, mentre, paradossalmente, illustra una prassi diffusissima tra gli artisti della Rete di area Post Internet Art, ovvero di quegli artisti che, dopo ore di navigazione, giungono all’elaborazione ragionata dei contenuti collezionati al fine di ridarne una interpretazione simbolica, metaforica o allegorica.

Raffaele Donnarumma offre una sintetica ma efficace definizione della condizione ipermoderna vista come accelerazione e “scivolamento in avanti” degli elementi costituitivi postmoderni portati alle estreme conseguenze: “L’ipermoderno, che ha abbandonato la fede moderna nel progresso […] è una compulsione nevrotica che neutralizza i suoi idoli (rapidità, novità, efficienza, fattività…) proprio mentre li innalza. […] Il prefisso iper- depone ogni possibile sfumatura celebrativa e rivela il suo carico ansiogeno e intimidatorio: l’iper- è il dover essere della contemporaneità, la sua ossessione prestazionale[4]”.

Ciò che distingue l’attuale produzione artistica accelerazionista e ipermoderna da una logica ancora novecentesca è un’esaltazione disillusa e consapevole dell’obsolescenza consumistica del tardo capitalismo. Ritenuta inefficace e irrilevante, sul piano ideologico, ogni opposizione allo strapotere del consumo, la sua esaltazione estetica porta a una sua enfatizzazione ed accelerazione parodistica, a una sorta di iperbole “barocca”, in grado di superarla e dominarla per eccesso. Le attuali produzioni artistiche Post Internet ci pongono di fronte a dati di fatto, a comportamenti diffusi, evidenziando gli effetti psicopatologici che il dilagante narcisismo nell’uso dei nuovi media e dei social networks hanno comportato nella definizione del sé, dell’identità individuale, e della relazione tra realtà e finzione.

[1] N. Srnicek e A.Williams, Manifesto for an Accelerationist Politics, In: Jousha Johnson (a cura di), Dark Trajectories: Politics of the Outside. Miami, Name, 2013. http://syntheticedifice.files.wordpress.com/2013/06/accelerate.pdf.

[2] Nick Srnicek e Alex Williams, Manifesto for an Accelerationist Politics, cit. p. 4 – 5.

[3] Cfr. G. Lipovetsky, S. Charles, Les temps hypermodernes, Paris, Grasset, 2014; Id., L’individu hypermoderne, sous la direction de N. Aubert, Eres, Tolouse, 2004; S. Charles, L’hypermoderne expiqué aux enfants, Montréal, Liber, 2007, trad. it., L’ipermoderno spiegato ai bambini. Lettere sulla fine del postmoderno, Acireale, Bonanno, 2008; id., La société hypermoderne. Ruptures et contradictions, Paris, L’Harmattan, 2011; G. Lipovetsky, J. Serroy, L’écran global. Du cinéma au smartphone, Paris, Seuil, 2011. Sintomaticamente, nessuno dei testi qui citati, escluso il testo di Sébastien Charles pubblicato dalla Bonanno, è mai stato tradotto in italiano.

[4] Cfr. R. Donnarumma, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2014 pp. 101-109

Info:

Introduzione al libro di prossima pubblicazione L’arte Contemporanea e i nuovi media. Teoria, storia, critica di Piero Deggiovanni

Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, Alzaia (s), still da video, 2019

Accel-hero, Not, rivista on line, Nero editioni, 2019

Anonimo, logo del transumanesimo, 2014

Interregno, Manifesto per un festival accelerazionista, 2017

Ryoji Ikeda, Data.Tron, 2007. Foto Liz HingleyRyoji Ikeda, Data Tron, 2007. Foto Liz Hingley

Screenshot dalla serie televisiva Black Mirror

Cover image: Ryoji Ikeda, Data Path, 2015


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