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Franco Mazzucchelli. I Love Multiple

Franco Mazzucchelli. I Love Multiple

I Love Multiple, personale di Franco Mazzucchelli a cura di Sabino Maria Frassà al Gaggenau DesignElementi di Roma racconta in nove opere, in gran parte inedite, oltre cinquant’anni di evoluzione dell’idea di “multiplo” e di “ripetizione” nella ricerca dell’artista, da Gioco Gonfiabile Multiplo (1969) alle opere inedite BD Convesso Oro e BD Convesso Oro Viola (2020) realizzate durante la quarantena. Nella multiforme sperimentazione concettuale degli anni Sessanta, Mazzucchelli è emerso per la sua personalissima indagine delle possibilità espressive di materiali sintetici prelevati dalla sfera industriale, come resina poliestere, poliuretano espanso, termoretraibili e p.v.c. gonfiabile, su cui s’innesta una riflessione più ampia sullo statuto dell’oggetto artistico. La mostra Franco Mazzucchelli. I Love Multiple si colloca all’interno del piano per il sostegno delle eccellenze creative promosso da tre anni da Gaggenau, storico marchio del design di lusso, insieme al progetto non-profit Cramum per l’arte in Italia.

Camilla Pappagallo: Nel 1966 arrivò in Italia la traduzione de “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin, che contribuì in modo determinante a stravolgere la concezione dell’arte contemporanea, già in subbuglio per i moti studenteschi che sarebbero deflagrati di lì a poco. Che influsso ha avuto questo testo (e il contesto culturale di quegli anni) sullo sviluppo della sua ricerca artistica?
Franco Mazzucchelli: In quegli anni se devo esser onesto la vera influenza mi venne dall’arte dadaista e dall’incontro personale con Duchamp, Ernst e Arp: la provocazione e il gusto del gioco nell’arte. Capisco sia un testo che ha fatto Storia, ma le tesi in esso contenuto non mi hanno mai del tutto convinto, soprattutto se calate nel contesto italiano di quegli anni (’60 ndr). Ovvio che è stato un supporto e un punto di confronto al quale non ho aderito. L’idea di multiplo, come documentato da Frassà nella mostra da Gaggenau Roma, ha assunto da subito in Italia una valenza economico-borghese che poco mi interessava e che aveva ben poco a che fare con l’avvicinamento alle masse teorizzato e previsto da Benjamin. I multipli sin dagli anni ’50 e ’60 cominciarono a costare tanto e se non costavano non venivano acquistati: io stesso quando provai a realizzare opere “economiche” valutando le ore del mio lavoro quanto quelle di un operaio, non riuscii a venderle. Il nostro sistema dell’arte purtroppo presuppone (ora come allora) che chi compra un’opera sia portato a vedere nel prezzo – alto – una garanzia del valore. Non solo, a ben pensarci in quegli anni il vero multiplo popolare era il “manifesto” delle esposizioni che “arredava” le pareti di noi giovani o di chi non si poteva permettere né il multiplo né l’opera esemplare unico. Forse noi italiani siamo così: fa parte di noi il senso del possesso.

Le sue azioni intitolate “Abbandoni” consistevano nel posizionare grandi sculture gonfiabili in spazi urbani o in luoghi remoti, esponendole alla distruzione, alla rimozione o al trafugamento. Si potrebbe individuare in questo invito alla fatalità un’estrema fascinazione per l’unicità, se non dell’opera, del suo destino?
La mia arte era l’abbandono, non il gonfiabile, che preferisco non chiamare scultura: i gonfiabili facevano parte di un’installazione, erano il mezzo attraverso il quale realizzavo i miei interventi. Del resto all’epoca mi interessava analizzare, misurare e verificare l’interazione generata dai miei gonfiabili collocati in luoghi e con persone non appartenenti al mondo dell’arte: operai e studenti nelle periferie, bagnanti sulle spiagge, bambini negli asili per l’infanzia. Queste azioni, come dice giustamente lei, sono sempre uniche e irripetibili e per me tale aspetto era ed è fondamentale: da un lato mi permette di non annoiarmi, dall’altro l’arte rimane per me a “esemplare unico”; il resto, se non si può definire design, è una forma ibrida di decorazione in cui pesano molto fattori tanto estetici quanto socio-economici. Proprio per questo quando fin dalla prima azione – quella in Camargue nel 1964 – decisi di realizzare delle opere documentative per ricordare e raccontare la “mia” arte, operai affinché fossero pezzi unici: la stessa immagine l’ho utilizzata solo una volta attaccando resti di gonfiabili, miei pensieri e rilevazioni sempre diverse di ciò che avveniva.

Successivamente ha maturato un vasto corpo di opere denominato “Bieca Decorazione” o “BD” in cui il concetto alla base del design contemporaneo, cioè la produzione industriale di manufatti ripetibili in serie, diventa centrale. In questo titolo mi sembra di intravedere un rapporto di amore-odio nei confronti dell’opera intesa come “produzione di un oggetto artistico”, direzione che, però, ha preso anche il suo lavoro quando alla fine degli anni ’70 le “Azioni” sono andate scemando. Cosa vorrebbe dirci a riguardo?
Alla fine degli anni ’70 si era esaurita quella carica di innovazione delle mie azioni: cominciavo a ripetermi e cominciavo io a non trovare più nuovi significanti. Inoltre non amavo i multipli e non li producevo nemmeno per finanziare le mie “azioni”. Perciò lavoravo mesi per finanziare un “Abbandono” o una “Riappropriazione”. Pensi che in un ciclostilato del 1971 calcolai che per un’Azione avevo speso 1.171.000 lire e io, insegnando, guadagnavo al mese appena 200.000 lire. Quando cominciai a fare i quadri gonfiabili a partire dagli anni ’90 – prima solo per beneficienza poi come ciclo autonomo perché sono uno a cui piace tantissimo lavorare – misi subito le mani avanti, anche a livello ideologico e da subito chiamai questo ciclo di opere “Bieca Decorazione”. Non è stato facile farle accettare in primis ai galleristi con i quali dovetti cedere al compromesso di impiegare l’acronimo “meno offensivo” di BD. Pensi poi che a livello teorico e di curatela dovetti aspettare 15 anni il coraggio di Frassà per parlarne e scriverne: era un tabù metter in mostra e vendere arte che l’artista definiva “Bieca Decorazione”. Eppure non mi pento e penso che il valore di queste opere, al di là della sperata piacevolezza estetica, risieda proprio in quel titolo programmatico e nella loro intenzionalità. Per concludere vorrei fosse chiaro che anche nel realizzare le BD non ho mai premiato la quantità e la ripetizione, se non proprio nel provocatorio ciclo dei “Multipli”: complice il fatto che sono lento e che progetto tutto, in 25 anni ho prodotto meno di 500 opere di “Bieca Decorazione”, tra l’altro realizzando cicli composti da pochi esemplari. Emblematico il caso dei “Bifacciali”: in due anni ho realizzato solo otto esemplari, tutti diversissimi.

Nella sua poetica s’intersecano il piacere di manipolare i materiali, l’interesse per alcune forme che ama ripetere e la critica alla mercificazione dell’opera, elementi potenzialmente conflittuali che l‘ironia e l’apparente vocazione ludica dei lavori riesce sorprendentemente a conciliare. Quanto è difficile per un artista arrivare alla leggerezza senza rinunciare alla sostanza intellettuale dell’opera?
Sono senz’altro legato all’idea di artista come homo faber. L’artista fa e non fa fare. In ogni caso il mix di cui mi parla mi fa molto piacere e non mi viene difficile, ma naturale: io sono quel mix di ironia, manualità e senso estetico. Non sono una di quelle persone che recita una parte: sono Franco Mazzucchelli ogni secondo della mia vita. Come detto è stato più difficile far accettare questo mix e la mia arte al mondo dell’arte e non parlo solo della “Bieca Decorazione”, ma anche degli “Abbandoni”: solo grazie all’impegno di Sabino Maria Frassà e Iolanda Ratti sono riuscito nel 2017 dopo anni a consacrare il sogno di una mostra istituzionale – al Museo del Novecento – che raccontasse tutte le azioni dal 1964 al 1979. Ora mi godo un’inaspettata popolarità che mi sorprende anche perché le persone reputano contemporanee opere che io ho fatto più di 50 anni fa. Vuol dire che sono invecchiato bene!

Tra il 2011 e il 2012 la sua riflessione sulla riproducibilità tecnica è sfociata nella realizzazione del ciclo di opere denominate “Multiplo”, una serie composta da 3 opere, ciascuna delle quali è stata ripetuta per 33 volte. Tecnicamente si tratta di pezzi unici e non di multipli, perché sono tutti realizzati artigianalmente. Quali motivazioni l’hanno spinta verso questa deriva quasi ossessiva e quali riflessioni sono scaturite in corso d’opera?
Mi son sempre chiesto – senza far nomi – come possa un artista passare tutta la sua vita a far opere continuando a metter un chiodo su e un chiodo giù: dov’è l’arte? Questo ciclo di opere, che dopo anni espongo per la prima volta a Roma, è nato in un momento di horror vacui. Come giustamente lei osserva, queste opere sono tecnicamente pezzi unici e non multipli, ma io li vivo come multipli, alla stregua di tantissima altra arte contemporanea in cui la ripetizione non è frutto della compulsione ma nasce da logiche di status, riconoscibilità, ovvero di mercato dell’arte. Non amo parlare e raccontare il mio lavoro, ma nei titoli metto sempre me stesso e la componente “ideologica”. Chiamando queste opere uniche “Bieca Decorazione – Multiplo” credo di aver già detto abbastanza. Poi lavorando al progetto, dopo la prima opera “BD Multiplo” (quella rossa) ci ho preso gusto e mi son divertito, come sempre mi capita nel mio lavoro: la provocazione e l’irritazione hanno lasciato il posto a un’ironia risolutiva: posso dire infine che sono state 99 opere di terapia con l’arte. Ho quindi inserito negli altri due Multipli il finto oro, il glicole e infine le ultime opere le ho fatte anche verniciare in una carrozzeria. Come vede le mie arrabbiature non durano mai a lungo e come dice il titolo della mostra non amo “i multipli”, ma alla fine “I love Multiple”, amo la diversità, l’eterogeneità, il non ripetersi mai. Ancora oggi, dopo quasi 60 anni di lavoro, dall’arte spero di ricevere nuove emozioni e nuovi stimoli.

Info:

Franco Mazzucchelli. I LOVE MULTIPLE
20 luglio – 23 dicembre 2020 (chiusura estiva dal 14 al 31 agosto)
a cura di Sabino Maria Frassà
promossa da Gaggenau e Cramum
Gaggenau DesignElementi – Lungotevere de’ Cenci 4, 00186 Roma
Visite su appuntamento lunedì – venerdì, 10.30 -13.00 / 15.30- 19.00
+39 06 39743229
+39 371 1733120

Franco Mazzucchelli. I LOVE MULTIPLE. Installation view at Gaggenau DesignElementi, Roma. Photo © Francesca Piovesan

Franco Mazzucchelli. I LOVE MULTIPLE. Installation view at Gaggenau DesignElementi, Roma. Photo © Francesca Piovesan

Franco Mazzucchelli, A.TO A., Torino, 1971

Franco Mazzucchelli, Gioco Gonfiabile Multiplo, 1968. Photo © Francesca Piovesan

Franco Mazzucchelli, Bifacciale n. 2, 2017. Photo © Francesca Piovesan

Franco Mazzucchelli, BD Convesso Viola, 2020. Photo © Francesca Piovesan


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