READING

Judith Röder. Il comportamento della Luce e del Ve...

Judith Röder. Il comportamento della Luce e del Vetro

Riflettiamo sulla pratica di Judith Röder, artista di Colonia conosciuta internazionalmente per il suo contributo al ripensamento di un soggetto importante quale la luce nel campo dei fotomedia, della light-art e delle pratiche connesse. Soffermandoci sul metodo e sulla pratica dell’artista, affrontiamo alcuni aspetti fondamentali del lavoro di Judith Röder partendo da una discussione su una selezione delle sue opere per riflettere su una nuova fotologia.

Sara Buoso: La luce è il soggetto principale della tua indagine artistica. Pur riferendoti a una precisa genealogia in cui rintracciamo l’eco di movimenti neo-avanguardisti fino alle ultime sperimentazioni nel campo della light-art, la tua scelta di pensare la luce si svincola da qualsiasi categorizzazione di genere per elevarla a materia prima della composizione visiva. Potresti spiegare perché hai scelto questo soggetto come aspetto fondamentale del tuo lavoro?
Judith Röder: Prima degli studi artistici mi sono formata in un laboratorio artigianale per la creazione e la conservazione di vetrate. Nelle vetrate delle chiese, il vetro e luce costruiscono uno spazio contemplativo. Questo background mi ha dato una certa base, mi è servito come punto iniziale, divenendo un riferimento importante per lo sviluppo del mio lavoro artistico. Durante gli studi, nel processo di indagine e manipolazione dei materiali e dei loro metodi di lavorazione, ho imparato a capire come si comportano il vetro e la luce. Ad alta temperatura, il vetro si scioglie, diventa fluido e può essere modellato fino a quando non si raffredda per raggiungere una durezza totale. Il vetro contiene nella sua forma il ricordo del movimento e della fluidità. Attraverso la proiezione di video e luci , rievoco quel movimento, ma in uno stato diverso della materia. Vetro e luce creano un legame come nessun altro materiale. Una relazione reciproca di stasi e movimento, solidità e diffusione.

S.B. La luce, tradizionalmente metafora della conoscenza universale, il mezzo dell’ottica e forma del linguaggio. In che modo la tua pratica risponde a questi principi contribuendo a istituire nuovi valori?
J.R. La luce è una sostanza mutevole, diffusa che può essere rappresentata solo dalla sua interazione con una resistenza, una superficie. La superficie non è solo un veicolo di rappresentazione, ma il corpo, nel suo stato e nella sua forma, detiene una posizione essenziale. Somiglianze e contraddizioni interagiscono tra questi materiali. Il vetro e la luce sono entrambi trasparenti ma diversi nella loro materia fisica e non fisica. Il vetro, sia fuso che tagliato, ha i suoi bordi sagomati, ad esempio. È chiaramente definito nelle sue dimensioni. La luce riempie il volume e lo espande. È difficile dire dove la luce abbia i suoi confini. Il vetro invece, nella sua forma fredda e solida, conserva un momento statico. Attraverso proiezioni di luce, il corpo statico viene di nuovo messo in moto – nella sua dissoluzione, nella sua transizione verso l’immaterialità, nella sua estensione nello spazio, nel passaggio visibile del movimento e del tempo. In questo modo, il senso e il significato sono nascosti nella rifrazione, nella densità della luce e del vetro. In modo simile, l’affermazione e l’affetto risiedono nella natura dei materiali stessi. Tutto accade ad un stesso livello di significato, forma e materia. Il vetro forma il corpo in cui la luce può essere percepita nella sua memoria come un ricordo, come uno stato mentale o interiore.

S.B. Il tuo lavoro esplora la relazione tra luce, materialità e affetto. In questo senso, percepisco un approccio femminile a questo tema, un posizionamento che diventa estremamente significativo nel contesto contemporaneo. Come risponderesti a questa interpretazione?
J.R. Il mio lavoro è autobiografico, come tutta l’arte, immagino. Lavoro per quello che conosco, dalla mia esperienza, dalla mia percezione. Nella storia, i fenomeni del misterioso o del visionario, che sono metaforici per la luce, sono stati attribuiti al femminile. Il femminile, in questo senso, ha la sua presenza nel mio lavoro, ma non penso di dover essere una donna per fare questo lavoro, anche se sono sicura che questo aspetto influenza l’esito del mio lavoro. Come potrebbe non esserlo?

S.B. È notevole il tuo contributo a questo argomento perché nel tuo lavoro, prendi le distanze dalle forme più tradizionali della rappresentazione per riposizionare la luce in relazione ai processi e alla materia. In particolare, formulando una personale estetica della trasparenza, la tua pratica sfida i modi classici di comprendere i fenomeni di luce, come ad esempio riflessione e rifrazione, per indagare  qualità come la dispersione, la propagazione, la sovrapposizione e la trasmissibilità della luce, divenendo metafore eloquenti del contemporaneo. Allo stesso modo, l’uso della proiezione ti consente di superare la rappresentazione delle categorie astratte per concentrarsi su qualità quali la durata, la diffrazione e strategie site e time-specific. Quale relazione esiste tra la luce e il processo artistico?
J.R. Mi considero una scultrice. Comincio dal materiale. Lo guardo dalla sua struttura di base. La plasticità della sostanza. Come scolpire la luce? Densa ma porosa nella sua consistenza e pur rimanendo elusiva, la luce definisce uno spazio nel mezzo, uno spazio di risonanza. La luce non è costante, la sua intensità mutevole implica l’aspetto del tempo. Nella maggior parte delle mie installazioni uso la video proiezione. Immagini registrate, proiettate in loop. Sono osservazioni di breve durata, registrate nel mio ambiente più vicino. La conservazione del momento transitorio. Rendere ripetibile il processo, che è irrecuperabile. Da un momento unico a uno stato. Un’ondulazione di acqua, una nebbia, una tenda che si muove nella mia finestra, motivi che sono leggermente sfocati nella sua componente vetrosa. La luce invia un segnale che evoca e sfida l’attenzione dello spettatore e quindi, entra in una corrispondenza diretta.

S.B. Leggo il tuo lavoro come se si posizionasse tra il virtuale e il radicale. È particolarmente evidente nell’installazione Fenster IV, 2013, ad esempio, dove utilizzi una sofisticata tecnologia per configurare un campo di intensità immersivo. All’inverso, l’installazione scultorea Projektion III, è una dichiarazione sulla luce come pratica situata. Come penseresti queste categorie?
J.R. Quando mi sono confrontata per la prima volta con il termine “radicale” in relazione al mio lavoro, ne sono rimasta confusa. Non avrei mai considerato il mio lavoro “radicale” prima d’ora. C’è qualcosa di violento in questa parola. Quindi cosa significa? Radicale nel senso di conseguenza, o di riduzione, possibilmente. La luce è un materiale pericoloso. Porta molte attrazioni tecniche e ottiche che si trasformano facilmente in effetti sensazionali. Si perde il contesto del significato. Il riflesso dell’acqua o di un semplice punto luminoso sul muro, contiene già tutte le informazioni su cui voglio attirare l’attenzione. Osservo il quotidiano e filtro ciò che è apparentemente insignificante. La visione del mondo all’inizio è molto reale, come idea. Alla fine, dopo l’applicazione della luce, del vetro e della tecnica, tutto ciò diventa quasi immateriale. Questo fenomeno non avviene da solo. Bisogna conoscere la risonanza del materiale, classificarne la gravità o la leggerezza. Le mie composizioni sono ridotte all’essenziale, al minimo della rappresentazione. La massima precisione e il rigore formale implementano la chiarezza dei contenuti. Non è necessario un grande investimento né una tecnica avanzata per scoprire ciò che è interessante e chiedere attenzione, concentrazione e tranquillità per capire ciò che è importante. In “Projection III” p.ex., la costruzione in legno contiene lastre geometriche di vetro sabbiato, che, insieme, formano uno schermo spaziale e traslucido. Su questa schermata, viene proiettata l’immagine di alberi. L’immagine degli alberi è oscurata dalla nebbia lattiginosa che si muove lentamente – nebbie d’acqua che sgorgano da una fonte vicina e soffiate dal vento. In quasi tutte le mie installazioni, la parte materiale, l’hardware, costituisce una ripetizione statistica della struttura virtuale registrata. In “Fenster IV“, una stanza è piena di luce ultravioletta, una cornice nera che delinea lo spazio che abbraccia. Al suo interno sono collocate tre lastre di vetro con immagini incise di una foresta. Ciò che può essere visto, tuttavia, non sono gli alberi, ma la luce tra loro. Il lavoro coinvolge lo spettatore nel cosiddetto spazio negativo e, cambiando le regole della percezione, rende visibile ciò che normalmente rimarrebbe invisibile. Gli strati di lastre di vetro creano una profondità di campo. Il raddoppio delle linee incise sposta la prospettiva da cui sorge il leggero suono dell’immagine.

SB. Grazie per il contributo Judith.

Info:

www.judithroeder.myportfolio.com

Judith Röder, Projektion III, 2011, video projection, glass, wood, 185 x 185 x135 cm. Photo: Kristof  Vrancken, Alicja Kielan

Judith Röder, Projektion III, 2011, video projection, glass, wood, 185 x 185 x135 cm. Photo: Alicja Kielan

Judith Röder, Fenster-Projektion II, 2011, video projection, glass, wood, 95 x 53 x 25 cm. Photo: Helge Articus

Judith Röder, Fenster IV, 2013, engraved glass, wood, fluorescent pigment, ultraviolet light, 195 x 200 x 60 cm. Photo: Kunstverein Reutlingen


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.