La scultura è costruzione, è manipolazione di materiali e oggetti, è creazione di nuovi spazi fisici e mentali che frammentano o dilatano la nostra percezione del reale suscitando dubbi e svelando intercapedini di senso altrimenti destinate a rimanere nascoste. Nell’epoca della smaterializzazione virtuale la scultura si è inoltre fatta carico di prelevare reperti tangibili della nostra storia e delle nostre abitudini quotidiane per rielaborarli e custodirli in forme poetiche in grado sia di rispondere all’innato bisogno umano di concretezza che di soddisfare il suo altrettanto radicato desiderio di evasione. La scultura quindi, pur essendo sottoposta alle ineludibili leggi fisiche che governano la materia come qualsiasi altro elemento del mondo reale, riesce a insinuare falle nella razionale considerazione delle cose aprendo varchi su insospettabili universi alternativi retti da logiche trasversali, equilibri instabili e paradigmi visionari. La tensione tra l’inconfutabile presenza dei materiali scultorei, che implicano il coinvolgimento fisico dell’artista che li ha modellati, assemblati, forgiati o frantumati, e l’immateriale campo semantico che la loro relazione reciproca riesce a generare è all’origine del fascino ambiguo dei più aggiornati esiti della scultura contemporanea.
Il lavoro di Giovanni Termini (1972, vive e lavora a Pesaro) è un esempio emblematico di come la compenetrazione tra questi due aspetti si declini in un personalissimo vocabolario di forme rigorose ma libere, che rifiutano allo stesso modo la sterilità di un concettualismo forzato e l’ammiccamento a un facile artificio compositivo. La sua ricerca si avvale di materiali ordinari solitamente connessi all’industria e al lavoro (come legno, acciaio, vetro, tubi innocenti, fasce di nylon, cinghie, molle, plexiglas e polistirolo) che vengono rielaborati e accorpati in composizioni di paradossale immediatezza. Il gesto dell’artista è attentamente calibrato per mimetizzarsi nei materiali e negli oggetti su cui sceglie di intervenire come se l’operazione artistica fosse un semplice prelievo finalizzato alla constatazione delle latenti contraddizioni che la loro struttura implica. In realtà la raffinata costruzione di disfunzionalità che anima ogni suo intervento è una cosciente esplorazione dei rapporti di forza tra le specificità della materia e le possibilità evocative della forma che vengono sfidate a scontrarsi in installazioni ambientali in cui l’esteriore integrità dell’impianto è sempre contraddetta da ironiche aporie concettuali che ne destabilizzano il baricentro. Lo spettatore, coinvolto fisicamente e mentalmente nella ricostruzione della coerenza interna del sistema, è così invitato a confrontarsi con la precarietà delle proprie certezze e a scoprire nuovi stimoli creativi nello spaesamento che ne deriva.
La mostra (Criteri generali per la) messa in sicurezza, visitabile fino al 17 giugno alla OTTO Gallery di Bologna, è congegnata come una trappola che costringe il visitatore a sperimentare le proprie nozioni di paura, pericolo e limite attraverso meccanismi ludici che fingono inoffensività. Il percorso espositivo si apre con il dittico Rasenta una distanza, composto da due coppie di pannelli accostati a cui si appoggia una scala. L’assemblaggio, che a prima vista suggerisce il provvisorio accatastamento di oggetti da cantiere, è l’esito di un processo orientato a creare una situazione aperta. La scala, infatti, precedentemente agganciata a un perno fissato al centro del pannello e usata come spatola per stendere una traccia circolare di cemento a presa rapida sulla superficie di entrambi gli elementi del dittico, una volta esaurita la sua funzione di utensile pittorico dichiara l’instabilità della composizione con la sua presenza eretta o coricata. Il colore dei pannelli che la sostengono (giallo nel caso della scala verticale, grigio dietro a quella appoggiata a terra) finge di segnalare le diverse gradazioni di pericolosità della sua posizione distogliendo l’attenzione dall’acuminata sporgenza del perno centrale, in ambedue i casi l’unico elemento potenzialmente contundente della composizione.
Il depistaggio prosegue nell’installazione Limite in sicurezza, un palco da concerto che ricrea in scala ambientale un violento scenario di guerriglia urbana di cui l’artista è stato testimone a Caracas durante una residenza. Nelle proteste che quasi quotidianamente movimentavano le strade della capitale venezuelana, i tombini venivano divelti dalla sede stradale per essere utilizzati dai manifestanti come scudo contro gli assalti delle forze dell’ordine e le buche che restavano aperte erano successivamente riempite con materiali di recupero per avvertire del pericolo. Allo stesso modo Termini crea uno sfondamento nel pavimento sopraelevato su cui visitatore è invitato ad avventurarsi, ma i materiali che accumula all’interno del tombino per scongiurare eventuali cadute sono proprio i parapetti di sicurezza normalmente installati lungo il perimetro esterno della pista per proteggere da possibili incidenti. La percezione del pericolo, che arriva quando ormai è troppo tardi per prevenirlo rinunciando all’impresa, costringe il pubblico a riflettere sulla fallacia dei punti fermi a cui l’uomo si aggrappa, suscitando una riflessione esistenziale che nella condivisione diventa esperienza.
Superato l’ostacolo si accede all’ultima sala espositiva, dove Ipotesi, scultura nata dalla rielaborazione di una sedia a sdraio da spiaggia, sembra promettere un ristoro che si rivelerà impossibile: manipolata fino ad assumere una forma impraticabile, mostra ancora una volta l’infinita enigmaticità che si nasconde dietro le apparenze ribadendo che non ha senso tentare di arginare il disorientamento rifugiandosi nell’ovvio e che forse l’unico modo per proteggerci davvero è accettare il pericolo come precondizione e sintomo dell’essere al mondo.
Info:
Giovanni Termini. (Criteri generali per la) messa in sicurezza
a cura di Simone Ciglia
21 aprile – 17 giugno 2018
OTTO Gallery Arte Contemporanea
Via D’Azeglio 55 Bologna
Giovanni Termini, (Criteri generali per la) messa in sicurezza, installation view, OTTO Gallery Arte Contemporanea
Giovanni Termini, Rasenta una distanza #1 e #2, 2018, formica, mdf, cemento, metallo
Giovanni Termini, Limite in sicurezza, 2018 legno e ferro zincato site-specific, dimensione ambiente
Giovanni Termini, Limite in sicurezza, 2018 legno e ferro zincato site-specific, dimensione ambiente
Giovanni Termini, Ipotesi, 2018 legno verniciato e nylon cm 115 h x 100 x 60
Giovanni Termini, Resistenze, 2018 Legno e stampa fotografica cm 36,50 x 47
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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