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In conversazione con Tiziano Martini, protagonista della mostra ANDREAE alla A+B gallery di Brescia

Tiziano Martini è un artista che conosco dai tempi dei miei studi in Accademia a Venezia, aveva già all’epoca una pittura molto densa e interessante, nel senso più analitico del termine. L’ho ritrovato in mostra alla A+B gallery di Brescia con la personale dal titolo: ANDREAE. Ho pensato fosse ora di intervistarlo.

Tiziano Martini, Andreae, exhibition view, A+B Gallery, ph Petrò Gilberti, courtesy A+B gallery

Francesco Liggieri: Vorrei fare capire chi sei senza riassumerlo io: puoi farlo tu descrivendoti con il titolo di un’opera d’arte.
Tiziano Martini: Jonathan Horowitz, Leftover Paint Abstraction #14.

Sulla pittura si è detto e ridetto tutto e di più. Secondo te la pittura che ruolo ha oggi nella nostra società?
Una funzione intrattenitiva ed evocativa. È un sofisticato modo per allenare occhi e cervello, può generare una molteplicità di suggestioni. La pittura provoca stupore ed emoziona. Perseverare nel farla, è già intrinsecamente una forte dichiarazione di intenti.

Tiziano Martini, Andreae, exhibition view, A+B Gallery, ph Petrò Gilberti, courtesy A+B gallery

Credi che l’astrattismo abbia un campo più ampio di ricerca in confronto al figurativo?
È indifferente. Credo sia una questione di pretesti, che danno avvio all’atto pittorico. Fondamentale è una coerenza negli intenti e nella ricerca. Questo diventa cruciale se si decide di essere influente in una precisa direzione, ovvero se si vuole affinare la mira, bisogna per forza rinunciare a qualcosa e focalizzarsi. C’è chi si serve di questi pretesti (soggetti) e chi di altri. Pensiamo a dei colossi: Rudolf Stingel mentre dipingeva le sue enormi riproduzioni di fototessere, o Franz Gertsch mentre al buio dipingeva un imponente lavoro che poi a distanza appare come una foto. Gertsch è sempre stato catalogato come pittore iperrealista, ma né l’uno né l’altro lo sono esattamente. Sono più affini a una processualità marcata, che a una figurativa. Stessa cosa si potrebbe dire di Chuck Close. Forse la pittura che conta, prescinde dal racconto, e sublimandolo, tocca le medesime corde nell’osservatore di altre forme di intrattenimento più potenti, nonostante i suoi evidenti limiti. Pensiamo a un video proiettato, un’installazione, o a una performance audio visiva: un dipinto fa fatica a reggere i loro ritmi. E proprio in virtù di tali limiti è una pratica difficile, fatta di niente. Questo concede a pochi di generare con disinvoltura immagini inedite che arrivano a essere esperienze sensoriali vere e proprie. Mi viene in mente la figura del fuoriclasse, in termini estetici, atletici, musicali, visivi… esso lascerà sempre un segno indelebile, per la facilità innata con cui gli riescono le cose. Ma sappiamo che sono tutt’altro che facili. In quest’ottica quando vedo un lavoro di Adrian Ghenie io mi emoziono tanto come davanti a un lavoro di Laura Owens.

Tiziano Martini, Andreae, exhibition view, A+B Gallery, ph Petrò Gilberti, courtesy A+B gallery

Come ha influito la pandemia sul suo lavoro?
Lo ha messo a fuoco.

Quando guardo i tuoi lavori penso ai grandi astrattisti americani ma non solo, quali sono le tue influenze pittoriche?
Lo prendo come uno spunto. Se parliamo di suggestioni visive al momento mi sento attratto da autori come Tomm El-Saieh, Loriel Beltran, Mark Bredford, Eileen Quinlan, Zorawar Sidhu, Mark Flood, Ann Veronica Janssens, Lucy Bull, Seth Price, Adrian Schiess, Anke Weyer, Cory Arcangel e altri. Se parliamo di affinità meno intime e viscerali dovrei andare a pescare fuori dai consueti contesti dell’arte.

Esiste un luogo che identifichi come l’inizio del tuo percorso e del tuo lavoro?
La mia città natale, una piccola città della Bassa Sassonia, dove ho passato gli anni fino all’adolescenza. È una città che non mi ha tuttavia segnato nel profondo. Per sdrammatizzare e fare il pignolo, direi che le prime esperienze di disegno libero senza pretesto, se non quello del gusto di fare, in perfetta solitudine, le ho sperimentate da piccolo a Soltau. Anche il mio percorso pittorico partiva molti anni fa da esperienze visive accumulate in tali luoghi. Non ero conscio chiaramente che la vita di una persona che dipinge fosse poi fatta di tanta solitudine e autoanalisi.

Tiziano Martini, Andreae, exhibition view, A+B Gallery, ph Petrò Gilberti, courtesy A+B gallery

Qual è a tuo avviso l’attuale stato di salute dell’arte contemporanea?
È un segmento che per moltissimi rimane affascinante, e in cui molte persone vi si identificano. Non so rispondere, ma a me piace pensare all’arte contemporanea come a una fonte di acqua dolomitica cristallina, da cui possono attingere bambini, adulti, ignoranti, appassionati, intellettuali, stupidi, addetti, ma forse a volte paga i conti della su ostentato elitarismo e non riesce a essere capillare come dovrebbe. Escludendo Cattelan, sarebbe interessante attraverso sondaggi capire se le persone non appartenenti a questo settore conoscono il lavoro di Vezzoli, Golia, Pessoli, Cuoghi, Pivi, Clemente, Favaretto, Stingel, Bonvicini, e così via. Giancarlo Politi, una decina di anni fa, sosteneva che oltre a un centinaio di autori di successo fondamentali, il resto rimane tutto in subordine. Il messaggio non lasciava spazio ad alcun equivoco.

Hai mai pensato di usare il mezzo digitale?
Sinceramente no. La pittura è l’unica cosa su cui mi interessa realmente lavorare. È parte di me. Voglio solamente mettere in luce le mie idee e i miei interrogativi in essa.

Tiziano Martini, Andreae, exhibition view, A+B Gallery, ph Petrò Gilberti, courtesy A+B gallery

Come nasce in genere una tua opera?
È sempre frutto di un processo generativo che mi colloca automaticamente in una posizione subordinata. Spesso i lavori sono frutto di procedimenti inversi, errori, collisioni, che rendono le cose per me intriganti e mi inducono a continuare sempre. Accendo la miccia, verso l’acqua bollente sulla bustina di infuso, poi vedo che succede: sembra riduttivo, ma di più non faccio! Se non portare l’errore alle estreme conseguenze. L’importanza di un metodo, che è in fin dei conti totalmente bizzarro e obsoleto, non è da intendersi come una scorciatoia per il risultato, bensì come uno svincolo dal concetto di esso. Queste metodologie che mi invento interrompono la continuità intenzionale/esecutoria e mi portano ad accettare incondizionatamente le immagini derivate. Alleggerendomi dal giudizio. Ne prendo atto senza doverle per forza accogliere. Ecco che il singolo lavoro diventa materiale di propaganda di un intero ciclo di lavoro complesso e articolato che manifesta un chiaro approccio nei confronti del medium. Mentre il mio ruolo di formica operaia, non può che esserne logica conseguenza.

Tiziano Martini, Andreae, vernice poliuretanica bicomponente, trasparente altosolido su mdf, 188×293 cm, 2023, ph Petrò Gilberti, courtesy A+B gallery

Come artista quale pensi sia il tuo dovere nei confronti della società?
Evitando temporaneamente la definizione di artista, che ora non trovo adeguata, il mio lo sintetizzerei come un senso di responsabiltà. In senso ampio, invece, quando penso all’artista lo immagino svincolato da logiche di commercio. Io faccio riferimento ad autori come Meese o Bock. Ma anche Tino Seghal. Tuttavia, se penso a Beuys, personalità ultra carismatica, che ha tentato di rifilare l’arte alla politica, penso all’artista in forma morale all’interno della società. Anche se lui allora veniva definito un guru, un ciarlatano, ha innalzato la vita ad arte stessa. Anche questo autobiografismo spiccato azionista si è un po’ dissolto nel contemporaneo. E per fortuna l’arte di Beuys vive anche senza Beuys dico io, come quella di moltissimi altri. Ma il mestiere di artista rimane per me una pratica anti etica, non del tutto sostenibile, che comporta anche una forma di vanità ed egoismo. Se pensiamo a lavori di alcuni autori ultra noti del contemporaneo, altro non sono che colossali amplificazioni del loro ego, che vanno al di la della funzionalità e necessità del lavoro stesso. Lavori che necessitano di materiali di difficile reperibilità, processi che impiegano tecnologie industriali o smalti tutt’altro che sostenibili. Archiviazioni faticose e gestioni di spazi enormi. Io stesso nel mio piccolo, mi devo avvalere di prodotti che hanno un impatto, che generano scorie, esalazioni, polveri. Lo devo fare nell’assoluto egoismo e cinismo.

Tiziano Martini, Andreae, exhibition view, A+B Gallery, ph Petrò Gilberti, courtesy A+B gallery

David Hockney spesso, nelle sue interviste, ricorda che la pittura non morirà mai, tu cosa ne pensi?
Non porrei troppa attenzione sul tramonto o meno di generi, ma piuttosto sul come fare pittura. In fin dei conti la pittura per sua natura è una pratica irripetibile e insostituibile. Questa sua intrinseca autenticità è anche il suo elisir.

Se tu potessi scegliere un personaggio storico o di fantasia da inserire in una tua opera chi sceglieresti e perché?
Sceglierei di andare a spasso per le Dolomiti con Vittorio Sella nei primi anni del Novecento. Forse poi qualcosa di lui involontariamente si inserirebbe nei lavori.

Info:

Tiziano Martini. Andreae
25/05/2023 – 9/09/2023
A + B gallery
Corsetto Sant’Agata, 22
www.aplusbgallery.it


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