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La scultura attiva: una conversazione con Chiara C...

La scultura attiva: una conversazione con Chiara Camoni

Abbiamo incontrato Chiara Camoni in occasione della sua partecipazione alla mostra Io Dico Io – I Say I alla Galleria Nazionale di Roma; dal 25 giugno 2021, l’artista rifletterà sugli ultimi quindici anni di percorso artistico in una mostra personale al Museo di Arte Contemporanea di Bordeaux.

Sara Buoso: Cara Chiara, congratulazioni per la tua presenza nella mostra Io Dico Io – I Say I alla Galleria Nazionale. Nella tua ricerca, principalmente legata alla scultura e al disegno, tocchi aspetti fondamentali, forte di un posizionamento femminile. Un primo aspetto è la dimensione familiare e intima di una donna artista che si vuole affacciare al valore etico, politico e sociale dell’arte e citando un motto femminista, potrei dire ‘the personal is political’. In secondo luogo, osservo come le tue opere si arricchiscano di tutti quei valori aggiunti che derivano dalle relazioni che sempre intrecci nel tuo operare. Terza cosa è il fatto che i tuoi lavori suggeriscono un movimento a ritroso da oggetti risoluti quali le tue sculture, un invito a rileggere i processi creativi e del fare artistico.  Vorresti parlarci di questi aspetti nella tua pratica?
Chiara Camoni: Tutte e tre le osservazioni sono pertinenti. Partendo dall’ultima, in effetti sebbene io sia interessata ai processi, difendo l’autosufficienza dell’opera d’arte che deve bastare a sé stessa; estremizzando, un’opera non dovrebbe avere bisogno di alcuna didascalia, ma vivere nella sua forma compiuta. La scultura si adatta bene alla mia pratica, così come il disegno, perché lì trovo la mia personale possibilità di srotolare il tempo, di inglobare il processo che avviene prima e ciò che seguirà dopo, l’uso che ne verrà fatto. La scultura è nel mondo, la posso prendere in mano e usare. Porto sempre come esempio il vaso. Quando modello un vaso, cosa sto facendo? Sto facendo un vaso o una scultura in forma di vaso? Se lo uso per metterci dentro dell’acqua e dei fiori ad esempio, carico ancor di più la sua ambiguità. Ed è proprio in questa indeterminatezza che non si risolve, che percepisco anche il processo con cui questo oggetto/scultura si è formato: sia esso un processo tecnico scultoreo, oppure un processo naturale, geologico, di sedimentazione e di attesa, o ancora un processo collettivo e condiviso, in cui si sente il rapporto con le altre persone, in cui si sente la bottega, la dimensione artigianale. E poi c’è anche un “dopo” in cui l’opera rimane disponibile a tante possibili interpretazioni. L’opera infatti non è chiusa, non è solo ciò che io-artista voglio, ma prosegue nella sua indipendenza e nel possibile utilizzo o fruizione. Amo la statuaria etrusca, non tanto per i suoi valori estetici, ma perché sento che quelle figure hanno accompagnato i defunti nell’aldilà. Risalendo invece verso la tua citazione “personale è politico”: sono d’accordo, è proprio così. In questo momento storico, ho sentito ancora di più il valore delle relazioni, del fare con. Quotidianamente collaboro con una piccola comunità di persone che si è sviluppata intorno a me e al mio lavoro. Tutto nasce da un dato personale – la scelta di vivere in un paesino sulle Alpi Apuane – che però diventa anche politico attraverso la costruzione di comunità spontanee e la condivisione di percorsi non lineari, in particolare in questo momento storico di separazione e omologazione. In un discorso più ampio sul ruolo della donna artista, spesso mi sono chiesta chi erano le artiste che potevo considerare mie sorelle maggiori, dov’erano e se mai ero stata in dialogo con loro. Forse non c’è stato questo dialogo nell’esperienza vissuta, più che altro è avvenuto attraverso lo studio; oggi però io sento la responsabilità di costruire un dialogo tra persone, che avviene nella vita reale, in particolare con donne di generazioni diverse, anche più giovani.

S.B. Un’altra breccia innovativa che stai lanciando è l’idea di non aver timore di affrontare quel limite che tradizionalmente divide le arti nobili e le arti minori o applicate.
C.C. I materiali sono molto eloquenti. Si potrebbe dire molto su un’artista a partire dai materiali che ha a disposizione e che utilizza.  Se lavora seguendo un progetto già definito in partenza o se si lascia condurre dal processo. Progettare al computer è ben diverso dal mettere le mani in un pezzo di creta umida. Io ho bisogno di essere guidata e sorpresa dalla materia stessa. Mentre lavoro non so quello che la creta può diventare. Magari diventa una cosa che non mi piace, allora la schiaccio giù, ma proprio quella forma che sto distruggendo mi suggerisce un’altra direzione. Posizionarmi dentro una tecnica e a un sapere artigianale è anche un modo per stare dentro ai materiali, avendo un approccio fisico che la progettazione non ti permette.

S.B. Hai definito le tue opere come ‘sculture attive’. Questo mi porta a pensare alla nuova serie di lavori Vasi -Farfalla del 2020, in cui scorgo l’evolversi di un approccio materiale. Vorresti parlarne?
C.C. Mentre parlavo della sorpresa che accompagna il lavoro con la materia, pensavo anche io ai vasi, perché il vaso – come dicevo prima – è per me il luogo dell’ambiguità per eccellenza e si posiziona tra la dimensione artigianale e quella scultorea. Ma ogni volta che tiro su un vaso, rifondo il mondo. È davvero un atto creativo degli inizi, che simultaneamente è pieno e vuoto, dentro e fuori. Immagino che il primo gesto scultoreo nella storia dell’umanità sia stato modellare una ciotola. Ciclicamente faccio vasi, e la scorsa estate ci ho girato intorno per diversi mesi. Nella serie Vasi-Farfalla, la forma del vaso si è fusa con la forma della farfalla, trovando delle corrispondenze. Le farfalle sono insetti molto belli ma anche inquietanti a pensarci: hanno tanti, troppi, occhi persino sulle ali, antenne pelose, proboscidi lunghissime, e poi sono dedite alla trasformazione, continuamente. E questo loro processo di trasformazione si è incontrato con il processo stesso di modellazione dei vasi che mutavano tra le mie mani senza sosta. Lo smalto che riveste queste sculture lo preparo mescolando minerali, sabbie, terriccio e soprattutto cenere ottenuta bruciando i fiori secchi del mio giardino. Cuocendo ad alte temperature la materia si fonde, vetrifica. Nel 2020 ho realizzato anche una serie di disegni di fiori eseguiti durante il lockdown. Limitati negli spostamenti, credo che molti di noi abbiano cercato un tipo di movimento diverso: non più su una coordinata orizzontale, ma bensì verticale. È come se lo sguardo si fosse fatto più acuminato sulle cose di tutti i giorni. Abbiamo guardato i fiori sul nostro davanzale con un’attenzione nuova, con una profondità diversa. Invece di andar lontano, lo sguardo è rimasto lì, penetrando le cose quotidiane. Ogni giorno raccoglievo un fiore, lo tenevo di fronte a me e lo disegnavo senza guardare il foglio, concentrata solo sul fiore, interrogandolo con le tante domande senza risposta di quei mesi. Questi fiori recisi che lentamente se ne andavano, si offrivano come interlocutori muti, partecipi di un mistero. Alla fine dell’inverno quando esco a camminare, i sentieri sono pieni di crocus; i crocus vogliono proprio nascere sui sentieri, hanno tutto il bosco intorno, le radure, ma preferiscono nascere sui sentieri. A un certo punto sono così tanti che non riesco a non calpestarli. È un’assurdità che, così delicati e così belli, vogliano stare proprio lì dove c’è il passaggio. Ma in questa sproporzione – tra la loro presunta fragilità e l’impatto a cui sono sottoposti – mi sembra che stia la chiave della bellezza.

S.B. È un pensiero poetico. Quello che trovo interessante è che la tua non sia una grafica imposta e nemmeno uno studio analitico della botanica. È invece, un accompagnare il segno attraverso una voce tanto forte quanto necessaria.
C.C. Ho trovato nei fiori qualcosa di effimero e fragile ma anche di conturbante e sfacciato, un topos della rappresentazione e, allo stesso tempo, qualcosa di nuovo, a cui aggrappare una forma personale di resistenza. Una resistenza alla violenza della comunicazione, delle immagini e delle parole: io appoggiavo i miei pensieri su dei fiorellini recisi, che erano destinati a durare un giorno. E di nuovo in un contrasto, in uno squilibrio non risolto, mi chiedo il ruolo dell’artista qual è…

Info:

www.chiaracamoni.net

Chiara Camoni, rosa (della liberazione), 2020, pencil on paper from the series FROM THE WOODS AND FROM THE GARDEN. RESISTANCE PROOFS. Courtesy SpazioA, Pistoia

Chiara Camoni, Sister #01, 2020, polychromed terracotta, iron, wood, dried flowers, cm 125 x 70 x 60 approx. Photo Camilla Maria Santini, Courtesy SpazioA, Pistoia

Chiara Camoni with Silvia Perotti, Paola Aringes, Lucia Leuci, Il Tronco e il Trapezio. Corso Buenos Aires, 2013 – 2020, wood, bones, wool, teeth, fabric, rubber, iron, flour, oil, cm 200 x 200 x 200 (dimensions variable), detail. Photo by Roberto Apa, Courtesy SpazioA, Pistoia

Chiara Camoni, Vasi-Farfalle, 2020, installation view, dimensions variable. Photo Camilla Maria Santini, Courtesy SpazioA, Pistoia


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