Marion Baruch. La tradizione del vuoto

Siamo immersi in un mondo iperconnesso e ipervelocizzato, siamo bombardati da informazioni, da notizie dell’ultimo momento. Così, se si vive la realtà, è solo in funzione di un futuro, secondo l’anelito a una capitalizzazione sempre maggiore. Secondo questa logica economicamente decodificata il passato è antiquato e fuori moda, è qualcosa che non ha più nulla da insegnarci. Viasaterna espone una testimone di questa tradizione: Marion Baruch. Ella vuole mostrarci cosa ci stiamo dimenticando: di essere figli di anni passati, ma soprattutto che ora siamo mancanti, feriti proprio dalla nostra stessa storia, che ha voluto tagliare con tutto ciò che ci ha preceduto.

Vista d’insieme della mostra personale di Marion Baruch presso Viasaterna, ph courtesy Viasaterna, Milano

Marion Baruch è un’artista cosmopolita. Lungo l’intero arco della sua vita ha cambiato spesso nazione e città, partendo da Timisoara è poi via via approdata a Bucarest, Gerusalemme, Roma, Parigi e infine Gallarate. L’artista nei suoi numerosi viaggi ha potuto incontrare svariate tradizioni e culture, che celebra nella scelta dei titoli delle proprie opere, utilizzando tutte le lingue che ha conosciuto nelle sue migrazioni. Nasce alla fine degli anni Venti e si trova ad assistere agli sviluppi dello scorso secolo: a partire dall’affermarsi delle ideologie alla conseguente caduta delle grandi narrazioni e, infine, al boom economico, con la sua conseguente dittatura capitalistica. All’interno della produzione artistica recente di Marion Baruch emergono i tratti di queste ferite, da cui si evince l’orfanità della tradizione artistica passata. Viasaterna espone gli ultimi lavori dell’artista che, stabilitasi definitivamente a Gallarate, si concentra soprattutto sul riutilizzo degli scarti dell’industria tessile, sensibilizzando il tema dello spreco e del rifiuto. Il materiale utilizzato è pregno di storia. Quando agli inizi del secolo scorso le donne iniziarono a far sentire la propria voce e a reclamare i propri diritti, le poche fortunate che potevano permettersi di occuparsi di questioni artistiche erano le mogli o le compagne degli artisti affermati. Questa è la storia di Sonia Terk Delaunay, che fece di un lavoro tradizionalmente femminile (il cucito) la tecnica con cui realizzare le proprie opere d’arte. Ella cuciva brandelli di stoffa per realizzare composizioni che afferivano al Cubismo Orfico, movimento di cui il marito fu capofila. La tradizione del tessuto e del cucito per le artiste proto-femministe fu un elemento di studio e di rivendicazione politica. Fecero dello stereotipo a loro attribuito la loro firma emancipata.

Marion Baruch, “Schwerkraft”, 2018, poliestere, 118 x 94 cm, ph courtesy Viasaterna, Milano

Marion Baruch si serve del materiale tessile per riguardare a tutta la storia dell’arte contemporanea. Espone gli avanzi delle confezioni pret-à-porter, ossia brandelli di stoffa che l’industria andrebbe a scartare. L’artista sacralizza e sceglie questi avanzi adoperando il tipico processo introdotto da Duchamp, che sovvertì le categorie visive per ridefinire il concetto di artista, che non è chi rappresenta la realtà attraverso una tecnica sopraffina, ma è colui che indica, colui che seleziona un particolare della realtà, innescando una risignificazione dell’oggetto comune. Rosalind Krauss, critica d’arte statunitense, a proposito della poetica duchampiana amplia il concetto di indicalità: non lo limita solo al gesto dell’artista che punta il dito verso un oggetto, ma pone questo pensiero anche all’interno dell’esperienza visiva, così l’indice è traccia di qualcosa che è stato, il ricordo di un evento. Ad esempio, l’alone lasciato dalla tazzina di caffè sul tavolino o le strisce nere dei copertoni delle auto sull’asfalto. Su questa traccia si inseriscono i tessuti di Baruch, che sono stati scelti ed esposti non più come scarti, ma come artefatti che mostrano i resti di qualcosa che è stato, indici di un lavoro ormai passato. L’opera Infinito prende le sembianze di una figura totemica. I grandi rotoli di tessuto conservano la loro forma esteriore rettangolare e, una volta applicati a parete, incombono sugli spettatori, assomigliando a sovrastanti monoliti di stoffa sagomata. Sono presenze incombenti riempite di vuoti. L’aspetto imponente ricorda alcune composizioni di oggetti di Louise Nevelson, artista americana famosa prevalentemente per i suoi assemblage monocromi in legno risalenti agli anni Sessanta dal titolo Sky Cathedral Presence. Anch’essa, come Marion Baruch, lavorava sulla dicotomia di pieno e vuoto, di luce e ombra, però l’artista romena tende a minimizzare l’intervento, limitandosi alla scelta dell’oggetto e non al suo assemblaggio, aumentando così la potenza e la dialettica tra pieno e vuoto che rimangono tali.

Marion Baruch, “Meccanismo di precisione per sculture”, 2023, raso di cotone, 60 x 60 x 15 cm, ph courtesy Viasaterna, Milano

Ci si deve, però, ancora porre una domanda fondamentale: qual è il soggetto di queste opere? Nel ready made di Marion, che sarebbe più corretto chiamare already-cut, il contrasto tra presenza e assenza crea ombre che disegnano sulla parete bianca degli effetti pittorici grazie all’illuminazione dello spazio di Viasaterna. Queste sfumature paiono una vera e propria fotografia, una scrittura con la luce, come risulta chiaro soprattutto nell’opera Schwerkraft. Il soggetto, dunque, è il vuoto colmo di ombre, che conferiscono ad esso una profondità. I tessuti di Marion Baruch, sono stati installati negli spazi espositivi di Viasaterna in modo tale da mostrare il loro peso, le linee precise dei tagli industriali vengono modificate e flesse dalla forza di gravità. Anche lo scultore statunitense Robert Morris quando lavorò con il feltro scelse di usare la forza di gravità come vero e proprio materiale per realizzare le sue opere. In continuità con Robert Morris, Baruch propone una riflessione sulle potenzialità del tessuto. La sua ricerca si inserisce nella scia della Process Art, tendenza artistica di fine anni sessanta che, come il nome fa intuire, si concentrava sul processo di realizzazione del lavoro. Il senso dell’opera consisteva nella prassi utilizzata. Marion Baruch non si limita solo a mostrare il peso e le potenzialità del tessuto, ma parla anche di un altro processo, quello del lavoro industriale, di cui espone gli scarti, fa vedere quello che resta, ciò che viene celato e non indossato. La riflessione che l’artista attua sulla forza di gravità è visibile anche nel trittico di opere intitolato: “Meccanismo di precisione per sculture”. Un piccolo straccio di tessuto è appeso in una teca dalle due estremità superiori. La potenza di questi lavori consiste in quel piccolo punto dove il tessuto sta per scucirsi irreparabilmente ma un sottile filo sorregge l’estremità inferiore che sta per cedere alla forza che lo trascina verso il terreno.  Da queste opere si evince l’attualità della ricerca dell’artista: oggi noi siamo appesi, viviamo un senso di precarietà, ma questa sensazione è sovrastata dal rumore che l’uomo crea per non sentirla. I teli di Marion mostrano l’uomo e la sua storia nel novecento, bucato e dilaniato da fatti tremendi che hanno aperto tagli e ferite non rimarginabili. L’opera di Marion Baruch propone di farlo con un’ombra. Per fortuna oggi c’è qualcuno che non ha paura del vuoto.

Pietro Coppi

Info:

Marion Baruch – Solo show
31/01 – 22/03/2024
VIASATERNA
Via Giacomo Leopardi 32, Milano
viasaterna.com


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