Le più aggiornate tecnologie di ingegneria genetica permettono di intervenire sul DNA dell’embrione umano per prevenire malformazioni e malattie, mentre la piattaforma web 23andMe: DNA Genetic Testing & Analysis, fondata 13 anni fa dalla biologa Anne Wojcicki (il cui nome deriva dalle 23 paia di cromosomi presenti nelle cellule dell’organismo umano dove sono concentrate le informazioni genetiche di un individuo) vende un kit per la raccolta e l’analisi a distanza del DNA contenuto nello sputo per scoprire predisposizioni e fattori di rischio per malattie come il Parkinson, l’Alzheimer e il cancro. Inizialmente la manipolazione genetica dell’essere umano era impedita da un divieto etico mondiale, ma sappiamo che in Cina sono già nati i figli di queste sofisticate rielaborazioni, la cui entità e casistica non è ancora precisamente e ufficialmente quantificabile. Anche il Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia governativa statunitense che si occupa di regolamentare i prodotti per la salute, che in prima battuta aveva ostacolato con ingenti sanzioni l’attività di 23andMe, si è con il tempo allineata a un protocollo meno rigoroso, concedendo all’azienda il permesso di comunicare ai suoi clienti il rischio di sviluppare dieci malattie, oltre a informazioni di ogni tipo sul loro DNA, dalla predisposizione a soffrire di calvizie o di obesità, alla ricostruzione del proprio albero genealogico.
Questi esempi eclatanti dimostrano che quando una tecnologia esiste, è impossibile controllarne gli esiti e regolamentare le modalità del suo utilizzo. Se è ovvio che le scoperte scientifiche possono migliorare il mondo, è altrettanto intuitivo che non sappiamo dove ci porterà questo cambiamento: la tecnologia si muove in un’area grigia, resa indeterminata da leggi sempre troppo lente per seguirne gli sviluppi, che rappresenta un facile terreno di conquista per interessi militari e macro economici di cui a stento riusciamo a immaginare l’esistenza. Raccogliere enormi quantità di dati e usarle su più fronti sembra essere l’obiettivo primario di ogni multinazionale, che spesso per giustificare il proprio operato instaura un’ambigua dialettica tra procedure di facciata eticamente corrette e sotterranee motivazioni prevaricatorie e capitalistiche.
Il vaso di Pandora, una volta scoperchiato, non si può più chiudere e oggi ci troviamo immersi in una realtà complessa, sempre più gravata da invisibili ingerenze di potere che smaterializzano le armi per appropriarsi dei corpi, ultimo nostro baluardo di indipendenza e individualità. Riflette su queste tematiche il lavoro di Pauline Batista (Rio de Janeiro, 1988), che attraverso una sfaccettata pratica multimediale indaga la relazione tra tecnologia e corpo esplorando le implicazioni filosofiche del post-umano in un’affascinante osmosi tra fantascienza e informazione. A GALLLERIAPIÙ la mostra Is Your System Optimized? ipotizza un laboratorio genetico-ludico del prossimo futuro, pensato come ambiente immersivo in cui il visitatore è invitato a sperimentare il vuoto attraverso dispositivi di resistenza che cooptano il design delle apparecchiature scientifiche per indurre un otium antico.
Il palese contrasto tra l’estetica funzionale dei lavori in mostra e la loro inservibilità pratica porta a riflettere su quanto sia precario l’equilibrio della società contemporanea, fondato su un sistema di perpetuo incremento della produttività che trapassa dalla sfera tecnologica a quella personale. La forte pressione culturale che plasma gli stili di vita contemporanei in direzione di una sempre più efficiente ottimizzazione delle risorse fisiche e mentali dell’individuo, oltre a prefigurare inquietanti scenari di rating dell’essere umano, implica una pericolosa idea di corpo come capitale da incrementare a ogni costo, la cui estrema, ma non troppo finzionale, conseguenza potrebbe essere una pericolosa competizione biologica tra esseri implementati geneticamente per asservire l’oltranzismo del progresso.
All’ingresso della mostra il visitatore si ritrova in una straniante sala d’attesa completamente bianca, dove lo ha già preceduto la protagonista dello scatto intitolato Processing I (2019), che ritrae una ricorrente icona femminile di Pauline Batista nell’atto di aspettare l’ignoto in solitudine. La ragazza sembra non avere peso e non proietta ombra, come la panchina su cui si posa la sua immagine. È un dato di fatto che la creazione/produzione di un super essere umano, ossessione comune a diverse ideologie e generi letterari, dovrà avere come necessario tramite tra la componente artificiale e quella naturale il corpo femminile utilizzato come incubatore di vita, suggestione a cui rimandano le sculture della serie Scraper (2019). Qui una struttura ibrida tra l’attrezzo chirurgico e un utero stilizzato (la cui forma riprende quella di uno strumento in rame usato nella medicina ayurvedica per raschiare la lingua) accoglie una palla di polimero colorata e semitrasparente generata nell’acqua, che come un organismo vivente si rimpicciolirà con il progredire della disidratazione fino a scomparire.
Superata l’anticamera, arriviamo nella sala di decompressione, al centro della quale respira Optimization station (2019), scultura gonfiabile in pvc trasparente la cui conformazione ricorda una sequenza avvolgente di costole morbide o una futuristica crisalide sintetica. Quest’abbozzo di corpo vuoto fa da cassa di risonanza al sovrastante generatore di Pink Noise, una frequenza generata al computer ma realmente presente nello scroscio della pioggia, nel corpo umano, nel traffico e negli impianti di produzione industriale, che milioni di utenti di YouTube impostano come rumore di fondo per favorire il riposo o la concentrazione. Nell’installazione il suono, intrigante minimo comune denominatore tra il sistema vivente e quello artificiale, si insinua come vibrazione subliminale nel corpo-scultura e in quello di chi vi si avvicina, materializzando l’impossibile coincidenza della massima efficienza e del rilassamento totale.
Alla stessa connessione organica tra elementi artificiali e naturali rimandano gli scatti della serie Imprint (2019), che si presentano come ipotetici still frame dei numerosi video di YouTube in cui si vedono mani che impastano sostanze gelatinose colorate. Pauline Batista, fissando in modo indelebile con la fotografia l’impronta della pelle delle proprie mani nei grumi di slime, connette questi surrogati apparentemente innocui di un’esperienza primaria all’intricato legame tra database digitali e tracce biologiche. La linea di demarcazione tra tecnologia, fiction e corpo si sfalda definitivamente in Implantation (2019), stampa fotografica di dimensioni ambientali che conclude la mostra, in cui vediamo un apparato femminile gravido di ovociti adulterati sulla cui superficie curva si riflette lo studio dell’artista. Il gioco di rispecchiamenti concettuali e interscambiabilità tra elementi e collocazioni spazio-temporali che struttura la mostra come una narrazione aperta qui raggiunge il culmine, suggerendoci che il dubbio è forse l’unica costruttiva strategia di resistenza per esorcizzare l’urgenza della perfezione e il rischio della falsificazione del sé.
Info:
Pauline Batista. Is Your System Optimized?
24 novembre 2019 – 11 gennaio 2020
GALLLERIAPIÙ
Via del Porto 48 a/b Bologna
Pauline Batista, Processing I, 2019
Pauline Batista, Scraper, 2019
Pauline Batista, Optimization Station, 2019
Pauline Batista, Imprint I, 2019 e Imprint II, 2019
Pauline Batista, Implantation, 2019
Laureata in storia dell’arte al DAMS di Bologna, città dove ha continuato a vivere e lavorare, si specializza a Siena con Enrico Crispolti. Curiosa e attenta al divenire della contemporaneità, crede nel potere dell’arte di rendere più interessante la vita e ama esplorarne le ultime tendenze attraverso il dialogo con artisti, curatori e galleristi. Considera la scrittura una forma di ragionamento e analisi che ricostruisce il collegamento tra il percorso creativo dell’artista e il contesto che lo circonda.
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