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Studio Visit #6: Maria Jole Serreli

Studio Visit #6: Maria Jole Serreli

Erika Lacava: È attualmente in corso all’EXMA la mostra “A casa mia avevo tre sedie” a cura di Simona Campus che ricostruisce le stanze della casa che era appartenuta alla tua prozia e tata Maddalena. La rubrica Studio Visit è partita proprio da un caso analogo, quello di Lucas Samaras che nel 1964 ha ricostruito in una galleria il suo spazio di lavoro (e nel suo caso di vita). Mi piaceva questa coincidenza particolare… Come è nata l’idea della mostra all’EXMA?
Maria Jole Serreli: L’idea nasce dalla storica dell’arte Simona Campus, direttrice artistica del centro comunale d’arte EXMA di Cagliari, come mostra di ripartenza dopo il Covid. Con le sue parole: “Scegliamo di ricominciare dall’idea di casa, non più o non soltanto luogo di confino – come è stato nei mesi appena trascorsi – ma come campo di forze in cui si costruisce la nostra identità più vera”.

Da quanto tempo la casa di Marrubiu è diventata il tuo studio?
Ho ricevuto in dono la casa a Marrubiu sei anni fa dalla mia prozia Maddalena, che la abitava con l’altra mia prozia, Gesuina. Prima di loro ci ha vissuto la mia bisnonna e io sono cresciuta in quelle mura tra pane fatto in casa, racconti di vita, pizzi, merletti e abiti cuciti a mano. Dopo la morte della mia tata Maddalena, ormai novantenne, per circa un anno non sono riuscita ad andarci finché, su consiglio del mio maestro Pinuccio Sciola, ho deciso di farne il mio studio. Ma restava forte la nostalgia, la mancanza fisica dei miei cari, e soprattutto avevo un forte rispetto delle loro cose che non riuscivo a gettare via. Allora mi vennero in mente le parole di Luca Beatrice in un seminario di molti anni prima a Lucca: il vero artista è in grado di utilizzare ciò che ha a disposizione, e in questo processo è fondamentale la capacità di riciclare e stravolgere un oggetto comune. Dal quel momento sono diventata una cantastorie per l’esigenza di non dimenticare il passato, che siano momenti vissuti o semplici racconti. Quasi senza rendermene conto è nato il progetto di memorie che ho intitolato “Animas”.

Come hanno interagito con le tue opere i materiali già presenti nella casa? 
Piano piano ho svuotato le stanze della casa di Marrubiu, scoprendo un micromondo infinito che non conoscevo. Ho scoperto tessuti e rocchetti di filo dei primi anni ‘30, riviste, fotografie, posate e accessori per la casa ma anche una collezione di abiti, scarpe e borse che raccontavano gli anni vissuti attraverso il cambio della moda. Ho spogliato queste stanze dagli oggetti che vi dimoravano, che ho utilizzato trasfigurandoli, ridando loro nuova vita. Poi con queste creazioni ho rivestite le stanze, ricollocando nuovamente gli oggetti ormai trasfigurati al loro posto. Quelli che sembravano comuni oggetti senza significato sono diventati protagonisti degli spazi che li custodivano. Ci sono voluti 5 anni.

Come è cambiato il rapporto con il tuo lavoro rispetto a prima?
Prima di possedere la casa non stavo molto nella mia isola. I miei impegni artistici mi portavano a viaggiare tanto e quando tornavo in Sardegna lavoravo prevalentemente in un piccolo studio a Terralba, dove risiedo, e lì mi isolavo molto. Possedere un’intera casa come studio mi ha dato la possibilità di sperimentare qualunque cosa, soprattutto di studiare le persone. Io non ho fatto altro che raccontare la vita delle persone che abitavano la casa attraverso i loro oggetti. Non ho buttato via nulla, anche un piccolo lembo di tessuto era importante per me. Non ero più libera nella creazione: la casa ha preso il sopravvento su ogni cosa io decidessi di progettare e io creavo in funzione di essa.

La lontananza dello studio da casa come influisce sul tuo tempo di lavoro?
Dedico molte ore al mio lavoro, spesso anche di notte. La mia abitazione dista circa 10 minuti dallo studio e, anche se può sembrare poco, vivo in modo fastidioso questa distanza. Per questo ti anticipo che ho deciso di trasferirmi definitivamente in studio dal prossimo anno. Accorciare le distanze significa non perdere tempo prezioso e stare in quella casa mi fa star bene, mi rende serena.

Durante il lockdown hai avuto modo di frequentare il tuo studio o ne sei rimasta distante, e, in questo caso, che conseguenze ha avuto questa nuova modalità sul tuo lavoro? 
Purtroppo non ho potuto vivere lo studio nel periodo del lockdown ma la lontananza mi ha permesso di dedicarmi al nuovo progetto sulla ceramica che porto avanti da tempo. Per fortuna nella mia abitazione ho un forno per la cottura della ceramica e un piccolo laboratorio che mi ha permesso di elaborare il progetto “#iorestoacasa”: ho realizzato tante piccole casette su piccoli pianeti omaggiando la favola del Piccolo Principe, per poi donarle a chiunque volesse accoglierle.

Un altro momento fondamentale nella tua carriera artistica sono stati i viaggi in Cina in questi ultimi tre anni, prima a Shenzhen nell’Eachway Century Fashion Museum della stilista Huizhou Zhao con una mostra a cura di Barbara Santoni e poi a Chongqing nell’ambito del progetto governativo “One Belt One Road” come ospite dell’International Ceramics Forum, in collaborazione con la galleria MA-EC di Milano. In che modo il tuo lavoro attuale è erede dell’esperienza cinese?
Le esperienze lavorative in Cina mi hanno dato diverse gratificazioni, non solo artistiche. Nell’ultimo viaggio nel 2019 a Chongqing (una megalopoli inimmaginabile) mi hanno offerto la possibilità di soggiornare per un lungo periodo nello storico distretto della ceramica di Rong Chang in cui ho avuto a disposizione una casa e un laboratorio di ceramica per approfondire le tecniche di esecuzione con l’argilla del territorio. Dall’incontro con la Cina nasce il nuovo progetto ora esposto in anteprima all’EXMA. Si tratta di un connubio tra ceramica e tessuto locale Ramié, poi evoluto di concreto nel progetto concettuale che unisce la mia cultura con quella cinese. In attesa di tornare in Cina, proseguo nella realizzazione del resto del progetto che verrà esposto negli spazi museali di Rong Chang nel prossimo futuro, in collaborazione con la galleria MA-EC.

NOTE BIOGRAFICHE: Maria Jole Serreli è pittrice, scultrice, fiber artist e performer. Nata Roma nel 1975, vive a lavora a Marrubiu (OR). La sua prima mostra personale risale al 1999. Nel 2010 vince una borsa di studio per una residenza artistica a San Sperate, presso la Scuola internazionale di scultura: qui conosce Pinuccio Sciola, alla cui memoria e al cui magistero rimane profondamente legata. Ha preso parte a numerose esposizioni in autorevoli sedi in Italia e all’estero, tra le quali l’Università di Pisa, il Macro Testaccio di Roma, l’Art Moore House di Londra. All’EXMA di Cagliari è già stata presente con un’opera nell’ambito della mostra collettiva “Pani e Madri, la forza generatrice dell’arte”, del 2015. In quello stesso anno è ospite della Residenza artistica Cosenza 2015 e fonda a Marrubiu “The Art House Space”, il progetto di casa-atelier cui è dedicata la mostra attuale. Dal 2019, con MA-EC Art Gallery Milano, è impegnata in uno scambio culturale con la Cina e dallo stesso anno è rappresentata anche dalla galleria Mancaspazio di Nuoro.

Link utili:

https://www.ilsole24ore.com/art/le-tre-seggiole-maria-jole-serreli-ADmEB6g

https://www.ma-ec.it/maria-jole-serreli

http://www.exmacagliari.com/mostre/maria-jole-serreli-a-casa-mia-avevo-tre-sedie/

Lo studio di Maria Jole Serreli a Marrubiu

Dialogo tra Simona Campus e Jole Serreli all’EXMA. Foto di Francesco Pruneddu

Lo studio di Maria Jole Serreli

Lo studio di Maria Jole Serreli

Lo studio di Maria Jole Serreli

Lo studio di Maria Jole Serreli


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