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Sul film INSIDE o dell’arte del furto e della fuga

Arte e furti. Un vero classico! Quante storie, film, romanzi, cronache, fantasie e fatti reali hanno gravitato attorno a questo tema? Numerosi sono gli episodi di questo genere diventati famosi. Si ricorderà l’olio di Van Gogh raffigurante un vaso con papaveri gialli e rossi dipinto tre anni prima della morte dell’autore, trafugato per ben due volte dallo stesso museo egiziano. La prima volta nel 1978 e ritrovato circa un decennio più tardi in Kuwait. La seconda volta nell’agosto 2010 e mai più ritrovato, per la gioia di qualche collezionista (ci si può immaginare un petroliere arabo) che da allora si gode quest’opera valutata circa 50 milioni di euro.

Come poi non citare la a suo tempo tanto chiacchierata sottrazione di una delle prime versioni del fatidico “Urlo” di Munch nel febbraio 1994? Quando i ladri, fieri della propria impresa, prima di andarsene lasciarono il bigliettino di ringraziamento ironico per le carenze della vigilanza. Il che diede la stura a varie inattendibili rivendicazioni, finché dopo pochi mesi avvenne il ritrovamento in un hotel di Oslo, seguito da quattro arresti e una coda di misteri restati tali. Ma anche il quadro dei quadri, la Gioconda di Leonardo, può vantare una vicenda simile. Nel 1911, infatti, un impiegato italiano del Louvre, tale Vincenzo Peruggia, senza troppe difficoltà semplicemente se la portò casa, provando poi a venderla agli Uffizi, e una volta scoperto, dopo due anni, si giustificò in nome del patriottismo. E troppi ulteriori aneddoti ci sarebbero…

A celebrare ancora una volta questo classico binomio ladri-opere d’arte quest’anno ha provveduto il primo film, Inside, di un regista di origine greca, Vasilis Katsoupis, autore anche della trama, con come unico protagonista quella star del firmamento hollywoodiano, ma con cittadinanza anche italiana, che è Willem Dafoe, saltuariamente residente anche a Roma e già avvezzo a interpretare film a tema artistico quale protagonista (premiato con la coppa Volpi alla Mostra di Venezia) in Van Gogh. Sulle soglie dell’eternità (2018) del regista Julian Schnabel. L’episodio cruciale in Inside è uno solo, come uno solo è appunto l’attore attorno cui ruota tutta la vicenda. Si tratta di uno dei più tipici casi di furto fallito, con la particolarità di accadere al momento della fuga a causa di un guasto ai dispositivi di accesso elettronico e con, come conseguenza, l’ingabbiamento del ladro nello stesso luogo del tentato crimine.

Il tutto si svolge infatti all’interno di un lussuosissimo e grandioso appartamento di un grattacielo americano, completamente blindato e pieno di opere d’arte, tra le quali spiccano tele di Schiele, Fontana e altri famosi artisti. Senza guastare la sorpresa di eventuali spettatori basti dire che Nemo, questo l’allusivo nome del personaggio interpretato da Dafoe, se la deve allora cavare con i problemi più brutali di una pura e semplice sopravvivenza, resa impossibile dagli stessi dispositivi che normalmente sono destinati a creare massimi comfort: apparati di riscaldamento e aria condizionata in tilt, ora al massimo, ora minimo, dispensa inaccessibile, scatolette più che mai ermetiche, circuiti elettronici vari fuori uso. Il nutrirsi, il dissetarsi, la lotta contro il crescente rischio di depressione, la ricerca degli espedienti più svariati per passare il tempo in attesa di una sempre più improbabile fuga, la spasmodica e spossante ricerca dei modi per attuarla diventano quindi i leit motif di tutta la vicenda, che si protrae anche per la prolungata assenza del proprietario in viaggio forse di affari in un paese orientale.

Cuore del film è quindi la denuncia dell’artificialità dei modi di vivere attualmente più agiati e sofisticati, i quali funzionano invece come trappole di fronte ai bisogni più elementari. Ma a dar linfa alla comunque esangue e non di rado scontata narrazione di Inside, nella quale la stessa recitazione di Dafoe non sembra troppo a suo agio, c’è anche e soprattutto il tema dell’amore per l’arte. A incarnarlo è lo stesso ladro, il quale si rivela a suo modo e anche involontariamente e sorprendentemente artista. Oltre che a dilettarsi nel disegnare su un suo inseparabile taccuino, Nemo dà prova di saper creare un caos del tutto creativo all’interno del comunque gelido e mortifero lusso dell’appartamento superpatrizio ed esclusivo. In un graffito che sul finire della storia lascia su una parete dedicandolo al proprietario, scusandosene, rivendica qualcosa come che “senza distruzione non c’è creazione”.

E a conferma di ciò l’ultima immagine di Inside indugia su una stupefacente e instabile catasta creata dal ladro con pezzi di mobilio e altro strappato al sontuoso arredo, al solo scopo della fuga. Ma esteticamente assai apprezzabile, almeno così si direbbe nelle intenzioni del regista. Una plastica rappresentazione dell’arte della fuga, dunque, che forse ambisce anche a simboleggiare la fuga stessa assieme al furto come risorse essenziali dell’arte.


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