Yvonne Rainer: Words, Dance and Films

“Anche la danza a volte mi regala momenti di puro piacere, ma non è detto che questo scaturisca dall’evasione, dalla fuga fuori casa per immergermi nel buio di un teatro, in un mondo lontano dal tuo, dal nostro. Al contrario, gli artisti contemporanei che indagano la corporeità sollevano spesso questioni sorprendentemente vicine al nostro quotidiano”[1]. Sembra che le parole della scrittrice Ada d’Adamo fungano da ideale chiave d’accesso al mondo di Yvonne Rainer, coreografa, danzatrice e regista statunitense, di cui il MAMbo di Bologna ospita attualmente la prima retrospettiva mai svoltasi in Italia.

Yvonne Rainer, Trio A, 1978, Yvonne Rainer: Words, Dances, Films, courtesy MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna

La mostra – curata da Caterina Molteni – apre simbolicamente con la video-performance Trio A (1978): sin da subito legata alla poetica dell’arte minimalista, la coreografia di Rainer mira ad accentuare la difficoltà del singolo movimento muscolare, scarnificando la danza più classica dei suoi virtuosismi e della sua trama drammaturgica. Ciò che emerge in superfice è semmai una sorta di scrittura coreografica: è come se assistendo alle sue performance, noi fossimo condotti a leggere le parole o, se si vuole, il tessuto osseo della danza stessa. Da qui l’evidenza del movimento così come della stasi – egualmente importanti. Questo smascheramento lascia spazio al sorgere di un senso del ridicolo, quello che in fondo investe i “banali” movimenti del nostro quotidiano. La suddetta percezione si mescola infine anche a un senso di controllo: lungi dall’essere meccanica, la danza quotidiana di Rainer è calma, antieroica, distesa e conoscitiva. Osservandola danzare con e nello spazio, parrebbe quasi di spiare i suoi movimenti e di essere introdotti alla visione di qualcosa di realmente quotidiano: quello che si tenderebbe a rendere nascosto e a cui soggiace, tuttavia, un’essenza del vero.

Yvonne Rainer, Hand Movie, 1966, Yvonne Rainer: Words, Dances, Films, veduta di allestimento, courtesy MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2023, ph. Rmphotostudio

Il corpo è un vero tesoro di conoscenza: apprende e rivela. Incorpora. Archivio di trascorse esperienze e magazzino di incontri, è il protagonista assoluto dell’arte di Yvonne Rainer. Così il corpo scende dall’eroico palcoscenico delle gesta teatrali per fare ritorno nel mondo di cui è invece oriundo. Così lo vediamo esprimersi dettagliatamente in alcuni video sperimentali degli anni Sessanta esposti in mostra, come Hand Movie (1966) o come Volleyball (Foot Film) del 1967.

Yvonne Rainer, Volleyball (Foot Film), 1967, Rhode Island Red, 1968, Yvonne Rainer: Words, Dances, Films, veduta di allestimento, courtesy MAMbo – Museo d’Arte moderna di Bologna, 2023, ph. Rmphotostudio

Da questo bagno di realtà – sempre in bilico tra voyeurismo umorismo – è investito anche lo spettatore: il corpo viene offerto agli occhi di coloro che osservano. Così Rainer rompeva la barriera esistente tra attori e pubblico e iniziava a vedere il teatro come un ambiente in cui effettivamente due gruppi di persone si incontrano e si guardano[2]. La danza scendeva dal proprio palcoscenico, così come la scultura minimalista in quegli stessi anni scendeva dai suoi piedistalli. Rainer teorizza quindi un nuovo tipo di spettatore, cui chiede di guardare e di partecipare (una protesta rivolta al mondo assuefatto dal consumo iperbolico di prodotti e immagini verificatosi a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta): il corpo del performer – più una persona come le altre che una star – esiste nella sua fisicità anatomica, così come corpo tra altri corpi che lo stanno guardando. Esiste due volte.

Yvonne Rainer, Film About a Woman Who…, 1974, Yvonne Rainer: Words, Dances, Films, courtesy MAMbo – Museo d’Arte moderna di Bologna

All’inizio degli anni Settanta, Rainer inizia a lavorare con la macchina da presa, che non abbandonerà per almeno vent’anni. Lives of Performers (1972) è il suo primo ed emblematico film che racconta la storia di un triangolo amoroso cui sottendono pensieri moralisti e cliché bigotti rispetto al ruolo della donna. La particolare alternanza tra immagini e voci fuori campo ben veicola il legame contraddittorio vigente tra realtà e apparenze. Così emerge l’esigenza – politicamente declinata al femminile – di non voler essere osservata in una forma fissa e definitiva. Questa incorporeità di un carattere – cangiante, duttile e raramente incastonabile – rimanda a una contraddizione tutta intrinseca dell’arte della danza: nessuna sa essere più concreta ed effimera allo stesso tempo. Una performance si consuma visivamente nel presente e Rainer ricorre al cinema per fermare la danza: come lei stessa dichiara in Rainer Variations (2002), il linguaggio cinematografico è sufficientemente potente da poter interagire con l’immagine e parlare di conflitti sociali. La danza e il cinema divengono dunque politici.

Yvonne Rainer, No Manifesto, 1965, Yvonne Rainer: Words, Dances, Films, veduta di allestimento, courtesy MAMbo – Museo d’Arte moderna di Bologna, 2023, ph. Rmphotostudio

La crisi di un amore e il gravoso peso del potere patriarcale sulla donna tornano anche in Film About a Woman Who… (1974): la continuità propria del mezzo filmico fa da contrafforte ai movimenti spezzati dei corpi degli amanti che si muovono a ritmi di pause cadenzate. Come in Journeys from Berlin (1971-1980), spicca anche qui una potente introspezione psicanalitica, restituita dall’assenza di toni melodrammatici e dalla sincerità della fredda voce fuori campo. Alla base del suo cinema così come della sua danza vi è insomma una forte necessità di comprensione del sé. Non a caso il suo lavoro si è esteso anche al mondo delle parole: si tiene a mente la presentazione del suo No Manifesto nel 1965, ma soprattutto la sua produzione poetica. Insieme al corpus di opere allestite nello spazio della Sala delle Ciminiere, la retrospettiva di Bologna presenta infine l’idea di uno spazio-archivio in cui il visitatore – a seguito della fruizione immersiva dei film – può accedere per uno studio più approfondito di questa poliedrica artista.

Daria Ortolani

[1] Ada d’Adamo, Come d’aria, Elliot, 2023, p. 53
[2] Carrie Lambert-Beatty, Being Watched. Yvonne Rainer and the 1960s, The Mitt Press, 2008

Info:

Yvonne Rainer: Words, Dances, Films
30/06/2023 – 10/09/2023
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Via Don Minzoni 14 – Bologna
http://www.mambo-bologna.org/mostre/mostra-349/


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