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Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina. Le discrepa...

Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina. Le discrepanze della pittura

La mostra Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina riunisce alla galleria P420 cinque giovani artisti che scelgono di sfuggire alle seduzioni della smaterializzazione digitale e concettuale degli anni Zero per dedicarsi alla pittura. Consapevolmente e ostinatamente. La loro sfida è esplorare questa disciplina oggi gravata da un latente sospetto di anacronismo come se fosse un territorio vergine, che il momentaneo oscuramento da parte di altri media attualmente più in voga ha finalmente liberato da zavorre ideologiche, estetiche e teoriche. Un obiettivo difficile, se si è abbastanza smaliziati da non voler scivolare nell’ingenua celebrazione dell’istinto e della schiettezza come sbrigativo espediente per raggiungere uno sterile azzeramento della storia. Ancora di più se lo si vuole fare in autonomia, respingendo le logiche del network con cui l’iper connessione telematica ha adulterato e frammentato la comunicazione tra gli individui minimizzando la dimensione dell’ascolto. Quasi impraticabile se a tutto questo si aggiunge la determinazione a non scadere in una altrettanto vacua acclamazione dell’ego e della novità intesi come valori assoluti.

Per provare a capire (e a trasmettere) cosa la pittura abbia ancora da dire alla nostra cultura visiva satura di immagini Adrian Buschmann, George Rouy, Peter Shear, Sofia Silva e Tamina Amadyar si sono dovuti mettere in gioco con passione e metodo, accettando di ridiscutere l’intoccabile aura dell’opera per riscoprire i processi costruttivi ed emotivi all’origine del suo farsi. Il risultato è una mostra vulnerabile, una costellazione di intuizioni differenti che si tendono la mano nella comune convinzione che la pittura debba andare oltre i generi, le definizioni e gli intenti programmatici. È una dichiarazione di guerra ai limiti della forma e del colore, una manifestazione d’amore per la pittura nonostante le sue malcelate aporie, un elogio della discrepanza intesa come feconda produzione di differenza e di pensiero. È la dimostrazione che la via impervia conduce più lontano e che lo scopo del viaggio non è la destinazione ma la sedimentazione delle esperienze che si presentano lungo il tragitto.

Adrian Buschmann (Katowice, PL, 1976) propone una raffinata pittura dai toni esangui in cui il colore a olio rappresenta l’impasto atmosferico dello spazio mentale in cui si espandono le direttrici di calibrati movimenti individuati da perentorie tracce grafiche, talvolta enfatizzate dall’inserimento di elementi tubolari aggettanti che oltrepassano le dimensioni della tela. Schivo osservatore della società metropolitana, decanta in ordine e danza la chiassosa varietà di un immaginario paesaggio urbano in cui la figura umana è sempre l’unità di misura del mondo. Nei suoi quadri convivono una rigorosa astrazione e una tenera attitudine a rilevare in modo quasi caricaturale i tic e le fragilità dei suoi personaggi.

George Rouy (Sittingbourne, UK, 1994) dipinge idoli languidi e monolitici dalle incongruenti sembianze antropomorfe, il cui gigantismo diventa pretesto per dare campo libero ad una pittura liscia che nasconde ogni traccia di gestualità in una trama di pennellate sottili che si fondono in impercettibili gradazioni tonali. Le sue creature, ravvivate da una misteriosa luminosità endogena, si stagliano su un intenso sfondo blu oltremare che sembra voler trattenere in sé tutti gli impossibili bagliori dell’ora blu che segue il tramonto. Questi personaggi carnali e metafisici allo stesso tempo, hanno sorrisi sardonici e sguardi ammalianti che trapassano lo spettatore per contemplare un irraggiungibile altrove dove il tempo e lo spazio non esistono.

Peter Shear (Beverly Farms, Massachusetts, US, 1980) fa della versatilità la sua paradossale costante, sperimentando stili e approcci che in ogni quadro risultano diversi. La materia pittorica viene impetuosamente depositata sulla tela in strati spessi di colori puri che creano dense opposizioni di volumi; nonostante l’apparente richiamo a una certa violenza visiva di matrice espressionista, l’artista sa domare con sapienza ogni addizione gestuale e cromatica in modo che tutto alla fine risulti bilanciato e al proprio posto. I suoi quadri sono un condensato di immagini latenti e sovrapposte da cui, occasionalmente, riemergono detriti di storia dell’arte frantumati e metabolizzati al punto da diventare nuove unità minime di linguaggio.

Sofia Silva (Padova, IT, 1990) esibisce una pittura maleducata e litigiosa, intrisa di sessualità femminile. I suoi quadri sbeffeggiano l’osservatore con gamme cromatiche acide, lacerti figurativi sfrondati da ogni tecnicismo e cliché simbolici provocatoriamente decapitati. L’artista sfonda le regole della sintassi visiva per squarciare il velo dell’illusione e suscitare un’empatia crudele. Non ci sono ammiccamenti né ricerca di complicità, nessuna storia o rappresentazione, semplicemente la pittura presenta sé stessa con l’azzeccata presunzione che quando decide di ferire sarà impossibile mantenere la calma.

Tamina Amadyar (Kabul, AFG, 1989) concepisce monumentali superfici pittoriche scandite da ampie masse cromatiche luminose e trasparenti di diverso colore che si incontrano sulla tela grezza, appena trattata con un’imprimitura di colla di coniglio. Le sue forme primordiali sono cellule in libera espansione e aggregazione, all’interno delle quali sono chiaramente visibili i percorsi delle pennellate che le hanno fatte nascere, ancora gravide di ulteriori metamorfosi architettoniche. La loro silenziosa magnificenza invita alla contemplazione e dimostra che la bellezza è un’evidenza che non accetta di lasciarsi imbrigliare da precetti e canoni.

Info:

Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina
31 gennaio – 30 marzo 2019
Opere di: Adrian Buschmann, George Rouy, Peter Shear, Sofia Silva, Tamina Amadyar
P420
Via Azzo Gardino 9 Bologna

For all the images: Adrian, George, Peter, Sofia e Tamina. Exhibition view at P420, Bologna


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