READING

Barrie Dale. La luce endogena della vita

Barrie Dale. La luce endogena della vita

“L’opera artistica (…) lavora sempre a costruire una parte inedita del mondo, fatta di tratti, colori, immagini e forme astratte, in modo che sia evidente che questo assemblaggio appartenga ormai al mondo e sia considerato come tale. L’evidenza di questa unità di appartenenza elementare è stata per molto tempo garantita dalla sua rassomiglianza con oggetti già dati, ma ciò non significa che la mimesis si imponga sempre. L’arte contemporanea cerca infatti di rendere evidente questa appartenenza senza utilizzare alcun riferimento costituito di tipo imitativo. (Tale concezione dell’arte) si comprende meglio quando il processo descritto fallisce e l’opera diventa inconsistente perché cade nello statuto di una parte che, non essendo più un elemento costitutivo di un insieme coerente, è destinata a non essere altro che uno scarto[1]”. Le parole del filosofo francese Alain Badiou sono estremamente funzionali per inquadrare il lavoro di Barrie Dale, fotografo britannico membro della Guild Society of Artists e della Royal Photographic Society, oltre che scienziato di professione animato da una profonda etica ecologista.

L’artista è autore di affascinanti scatti fotografici che ritraggono macro ingrandimenti di dettagli di foglie, erbe e fiori (tra cui predilige le orchidee, la cui durevole fioritura consente studi estremamente dettagliati) che crescono a ‘Wildhaven’, piccola riserva naturale da lui gestita. L’intento dell’artista è creare immagini astratte caratterizzate da un misterioso equilibrio tra una fondamentale aderenza al dato naturale (rilevabile nonostante il soggetto diventi pressoché irriconoscibile) e una spontanea potenza evocativa, che sembra restituire visivamente ciò che la natura gli sussurra mentre egli si annulla per ascoltarla. Non a caso Barrie Dale, per enfatizzare queste due anime del suo lavoro, ricomprende tutti i suoi scatti nella serie ‘Messages Received’, titolo che testimonia il suo rapporto diretto con la natura e il suo porsi non come creatore ma come intermediario tra l’intrinseco significato delle forme naturali e il linguaggio culturalmente codificato dell’essere umano. Per ottenere questo risultato il fotografo lavora a mano libera, cioè senza avvalersi del treppiede che solitamente si usa per ridurre le sfocature nella fotografia ad alto ingrandimento, in modo da potersi muovere liberamente attorno a ciò che inquadra e rifiuta con decisione ogni post-produzione estetizzante, nella ferma convinzione che qualsiasi manipolazione apparirebbe superflua e fuorviante rispetto a ciò che il suo occhio è in grado di captare, semplicemente mettendosi in “ascolto”. In questa attitudine all’osservazione come metodo convergono sia la paziente sistematicità dello scienziato, disposto a ripetere lo stesso esperimento innumerevoli volte per individuare le regole e le eccezioni dei fenomeni oggetto del suo interesse, e sia la visionaria curiosità del bambino e del poeta, capaci di immaginare dal nulla mondi liberi da ogni sovrastruttura intellettualistica. Pertanto l’artista, attraverso il mirino della sua macchina fotografica, scansiona le superfici e le pieghe dei suoi soggetti in attesa di un’epifania che, dopo innumerevoli immagini parziali e arbitrarie, colpisca dritto al cuore. È infatti l’istinto a cogliere spontaneamente quando i tratti, i colori, le immagini e le forme astratte – per ritornare al discorso iniziale di Badiou – che appaiono di fronte ai sui occhi si ricompongono in un ordine in cui non possiamo fare a meno di riconoscere un nuovo insieme coerente.

Il fascino estetico dei suoi lavori deriva dunque da un insieme simbiotico di sollecitazioni differenti: anzitutto il piacere di immergersi in ambienti visivi sensuali in cui ci sentiamo immediatamente (e inspiegabilmente) a nostro agio, come se percepissimo una comune matrice di appartenenza. Soffermandosi sulle immagini, il piacere intellettuale cresce man mano che si riesce a intuire la natura delle superfici ritratte e quindi a osservare con meraviglia la luce che trapassa con dolcezza e talvolta con violenza le superfici vive inquadrando carnosità e membrane che normalmente rimangono inaccessibili al nostro sguardo. L’artista non mira ad avere il controllo di ciò cha appare, ma affinché esso si manifesti deve esercitare una ferrea disciplina sui suoi movimenti: è infatti necessario tenere la mano molto ferma per evitare il “rumore di fondo” che tende a rendere indistinte le fotografie macro, soprattutto quando come in questo caso il soggetto richiede tempi di esposizione prolungati a causa dell’insufficienza di luce. Barrie Dale nel suo statement dichiara: “spero che i risultati siano sufficientemente intriganti da invitare a un’indagine e sufficientemente interessanti da rendere l’indagine utile”, sottolineando come nel suo lavoro la fedeltà al dato naturale (di matrice scientifica) venga traslata anzitutto sul piano morale (nella fiducia che una comprensione più profonda delle delicate meraviglie del creato possa indurre uno stile di vita maggiormente sostenibile) e poi sul piano evocativo e poetico, come si evince dal tema generale ‘Messages Received’. Oltre all’appassionato appello a prenderci cura di ogni manifestazione naturale di vita che accomuna tutti i suoi scatti, a ciascuno di essi è infatti affidato un messaggio particolare, che viene suggerito dal titolo, spesso costituito da una singola parola che richiama allo spettatore un’impressione emotiva, un valore etico o una manifestazione primordiale di energia e movimento.

Per questa vocazione a essere struggenti paesaggi dell’anima, nonostante siamo abituati a considerare le stampe fotografiche come immagini bidimensionali che nelle loro accezioni astratte possano essere paragonate alla pittura non figurativa, accosterei piuttosto le opere di Barrie Dale alla sensibilità dei più raffinati artisti della luce come James Turrell e Olafur Eliasson, capaci nelle loro installazioni di trasfigurare lo spazio circostante trasformandolo in una capsula emozionale. Allo stesso modo gli scatti del fotografo inglese invitano lo spettatore a immaginarsi parte di quegli ambienti resi quasi sacrali dalla loro endogena luminosità e ad abbandonare ogni immagine precostituita del mondo per rinascere in un’alba del pensiero sempre diversa.

Info:

www.biafarin.com/barrie-dale

[1] Alain Badiou, L’Immanence des vérités, L’étre et l’évenément, 3, p. 520, 2018, ed. Fayard Paris

Barrie Dale-Golden ThreadBarrie Dale, Golden Thread, photography, giclee printing on paper – cotton, 2017, courtesy the artist

Barrie Dale, Motherhood, photography, giclee printing on paper – cotton, 2018, courtesy the artist

Barrie Dale, Imminent Disclosure, photography, giclee printing on paper – cotton, 2019, courtesy the artist

Barrie Dale, The Elixir, photography, giclee printing on paper – cotton, 2020, courtesy the artist


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.