In conversazione con Warwick Saint

L’artista e fotografo Warwick Saint (nato in Sudafrica, vive e lavora a Miami) condivide la sua filosofia della luce in relazione all’utilizzo di tecnologie innovative e tecniche mediali, approcciandosi a una nuova frontiera dell’indagine artistica.

Warwick Saint, “Form Longing for Formless”, 2022. Mixed media acrylic on canvas, 40” x 60”, courtesy the artist

Sara Buoso: Sei nato in Sudafrica come figlio d’arte: tua madre era una famosa modella e tuo padre era un affermato grafico e artista che dipingeva con l’aerografo. Poi, sei cresciuto e ti sei formato tra Sudafrica, Svezia, Regno Unito e negli Stati Uniti. Considerata la tua formazione, in che modo tutti questi contesti differenti hanno influenzato la tua comprensione della luce e le tue immagini?
Warwick Saint: L’Africa è un luogo ricco di cultura: ci sono molti estremi lì. Crescendo in Sudafrica, non c’è nulla di più bello che trovarsi sotto il cielo africano e vedere un tramonto: è così potente e maestoso. Molte delle mie esperienze giovanili le ho trascorse nelle foreste dove la luce è intensa e i tramonti sono di un’arancione dorato. A Città del Capo si incontrano l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano, creando un clima dinamico. Quindi, l’apprezzamento per la maestosità e l’epicità della luce è stato intriso nel mio DNA fin da tenera età. È così che approccio il mio lavoro perché voglio che sia bello e più grande della vita. Quando avevo 21 anni, mi sono trasferito a Londra dove l’ambiente è completamente diverso: l’atmosfera a Londra nei primi anni ‘90 era incredibile per quanto riguardava la fotografia: era prima che Photoshop fosse inventato e c’erano riviste come Dazed & Confused, ID, the Arena, lo Zeitgeist. L’energia per le strade di Londra e nell’industria fotografica riguardava l’essere specializzati, all’avanguardia, l’obiettivo era spingere i confini oltre ciò che la fotografia poteva realizzare con i mezzi tecnologici, come la capacità di portare il flash sul posto. Poi, mi sono trasferito a New York, e una delle cose con cui mi sono sentito più a mio agio è stato il senso della scala e delle proporzioni. Ho realizzato un famoso servizio fotografico per il New York Times Magazine, una storia di moda utilizzando questa interessante tecnica di illuminazione composta da un flash e una doppia esposizione, una giustapposizione di studio e luce naturale, fondendoli insieme sullo stesso fotogramma. Voglio sempre che qualcosa sia epico e bello. Ho sempre spinto la fotografia il più lontano possibile, verso un nuovo genere che ora include la pittura utilizzando tecniche miste.

Warwick Saint, “Masking of Innocence”, 2019, mixed media, 16” x 22”, courtesy the artist

Il tuo contributo alle tecniche del linguaggio fotografico è notevole: puoi rivendicare tecniche innovative che hai coniato in termini di stroboscopico, lunga esposizione, sagome cinetiche, luce naturale, mix SDF, OFTE, fotografia sonora e ad alta velocità, solo per citarne alcune, e ora stai sperimentando il light painting per il quale non esiste una definizione esatta. Qual è la tua definizione di questa pratica mista?
Sono nell’esplorazione dei media misti, è il mio obiettivo principale ora anche se è una pratica che seguo dal 2018. È una nuova frontiera per me. Sono interessato all’esplorazione dell’eros e delle relazioni di coppia attraverso tecniche di lunga esposizione. Li “dipingo” con una lunga esposizione e con diversi colori di luce, poi li stampo e ridipingo i dipinti con vernice vera. Ma alla fine la fotografia è dipingere con la luce, qualunque cosa tu faccia.

Sembra una riconciliazione, come se la pittura ti permettesse di prendere tempo e dialogare.
Quando scatti una fotografia è come se instaurassi un dialogo tra te e il soggetto, una danza. Sto influenzando il soggetto e il soggetto sta influenzando me. Sono della filosofia che una tecnica non ottenga mai l’emozione autentica che si sta cercando di esprimere in un’immagine. Al contrario, il pittore non si occupa necessariamente di tecniche, come per la musica: è solo pura espressione. In un processo fotografico con un soggetto, c’è una relazione che io orchestro, uno scenario, un tema, uno spazio in cui il soggetto può fare qualcosa di autentico ed evocare un qualche tipo di emozione che poi, posso catturare in un modo meticoloso e dettagliato. C’è anche un’altra relazione quando prendo il risultato di quella relazione e scelgo le immagini e le stampo su tela. Ma c’è anche un momento di decostruzione e deturpazione che mi permette di spingere i confini della fotografia e della pittura in una nuova forma. È un’esperienza potente e c’è sempre una fisicità nel lavoro, un senso di performance, emozione e bellezza legati all’idea di fotografia. Sto aprendo un portale di atemporalità e, in definitiva, questo è ciò che è la fotografia. Nella pittura funziona diversamente. Un artista cavalca le onde della creatività, e questa diventa un’esperienza immediata, cinetica, fisica ed espressiva. C’è la tela e posso entrarci, tagliarla, squarciarla, gettarci sopra della vernice, distruggerla. Posso vedere dove sono le composizioni generali della luce. E poi di nuovo, entro e compio le mie pennellate, e diventa questo processo di entrare e fare un passo indietro per portare la fotografia oltre, attraverso l’immediatezza cinetica, la fisicità del pennello e della pittura su tela. È come riaccendere la fotografia con smalti, vernici, colore, luci e ombre: la mia versione di chiaroscuro.

Warwick Saint, “Full Moon and Balloon”. Camera: Canon 5Ds, Location: Topanga, CA, courtesy the artist

Quali riferimenti storici svolgono ancora un ruolo importante per te?
La mia mentalità consiste nel guardare il mio ambiente e trarne ispirazione. Cerco sempre la composizione, ovunque io guardi nel mondo. Quando sto facendo uno scatto, per esempio, all’improvviso posso avere due riferimenti che si uniscono, e questa giustapposizione diventa una nuova idea. Questo è il bello della fotografia. In termini di pratiche artistiche, Francis Bacon ha avuto un’influenza importante nel mio lavoro. Ma anche Picasso, con le sue serie di punti di vista multipli e la sua visione cubista di più spazi e la compressione del tempo in un dipinto. Questo è esattamente ciò che amo della fotografia, il modo di usare la fotocamera come strumento per esprimere il tempo in un modo che normalmente non saremmo in grado di fare. La fotografia è davvero un portale per l’eternità, finché quell’immagine è disponibile: il modo in cui si può espandere e comprimere il tempo con la fotocamera mi interessa molto. Mi piace l’espressionismo astratto di Jackson Pollock: il suo senso di energico abbandono e l’incorporazione di ciò che oggi viene chiamata “tecnica mista”. Per quanto riguarda il linguaggio fotografico, un grande riferimento è Harold Edgerton, in particolare il suo libro Stopping Time (1987). Ho sempre amato Helmut Newton per la sua classe, la sua nobile semplicità e la sua incredibile capacità di evocare scene e scenari. Inoltre, Richard Avedon ha avuto un’influenza per me in termini di emozione: il suo libro In the American West (1985) è stato fonte di ispirazione per me con i suoi ritratti in grado di trasmettere autenticità, innocenza e verità.

Warwick Saint, “Sleeping with the Elephant”, 1998. Camera: Pentax 6×7, courtesy the artist

Vorresti approfondire la tua percezione del tempo come artista e fotografo?
Viviamo in un mondo in cui il tempo sta accelerando, è relativo e non completamente lineare. Potrebbe essere lineare in termini di tempo sequenziale, ma ci sono due proprietà del tempo e derivano da due parole greche. Chronos è il tempo sequenziale, una descrizione quantitativa del tempo lineare, ma la mia parola preferita è Kairos, l’aspetto qualitativo del tempo, che si riferisce alla scelta di compiere l’azione opportuna al momento opportuno. Questo è il più interessante. Con la tecnologia, sperimentiamo le foto molto più velocemente, e penso che per creare arte sia necessario invece rallentare, cercare quel momento in più, ed è qui che risiedono il valore e il significato di una grande fotografia. Ecco perché amo l’idea del rallentatore, dello stop motion e della compressione del tempo in una composizione. C’è un interessante genere di lavoro chiamato “parallasse” che non è un film, non è un video, non è un fermo immagine. È nel mezzo di questi. È una fotografia statica, ma c’è un movimento con lo sfondo in primo piano che inganna la tua mente e ti costringe a fermarti perché rappresenta il tempo in un modo che normalmente non viene sperimentato.

5. Warwick Saint, Lumascape photo for “Form Longing for Formless”, 2022, 40” x 60”, courtesy the artist

Anche se non stai usando una macchina fotografica mentre parliamo, hai condiviso un’immagine mentale interessante: la tua idea di bellezza e l’immagine dell’arte e della fotografia come portali. Potresti spiegarlo meglio?
C’è una profondità nella bellezza, che credo ogni essere umano abbia dentro di sé, non importa quanto siano esteticamente gradevoli o meno. La mia esplorazione come artista consiste nel lavorare con la tecnologia per spingermi verso idee irraggiungibili di bellezza e giocare con le dinamiche e le complessità psicologiche, per creare qualcosa che sia bello, decostruendolo e astraendolo per mezzo della pittura. Una grande opera d’arte o una grande fotografia sono un portale che evoca energia emotiva. Quando si guarda un’immagine, c’è una corrente emotiva, aperta a quel momento nel tempo e trasmessa allo spettatore. È fondamentale contraddire e contrastare i progressi tecnologici dell’intelligenza artificiale e la velocità con cui le immagini ci arrivano continuamente, introducendovi l’esperienza umana. Gli artisti hanno un’opportunità unica di preservare e trasmettere ciò che è unicamente umano.

Info:

www.warwicksaint.com


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