In dialogo con Aldo Damioli

La pittura di Aldo Damioli è fatta di silenzio. Il silenzio indica che tutto è già accaduto oppure può suggerire la speranza che qualcosa debba ancora succedere. Su questo varco duale, si sviluppa il ciclo pittorico “Venezia New York” che ha reso universalmente riconoscibile la sua opera: una città semplicemente evocata nel titolo (Venezia) viene messa a confronto con gli scorci di una città raffigurata (New York). In definitiva, due città affacciate sull’acqua e dove l’arte si respira nel pulviscolo dell’aria. L’assenza indica un alone di mistero e il mistero può ricondurci fino alle atmosfere metafisiche di Giorgio de Chirico.

Con l’artista Aldo Damioli ci siamo incontrati nel suo studio milanese per parlare del suo mondo e delle sue idee.

Quale è stata la tua formazione e come ti sei affacciato al mondo artistico?
Avevo quattordici anni e stavo dipingendo una veduta del Golden Gate. È passato un amico di mio padre, gli è piaciuta e mi ha offerto cinquemila lire. Ho accettato e mi sono detto: “Allora, si può fare”.

Ci riesci ad aprire una piccola finestra sugli anni Novanta?
Fu un decennio di grande fermento: mostre pubbliche, riviste che dedicavano articoli ai nuovi fermenti e poi c’era il mercato che funzionava: bastava che un dipinto avesse una cornice e veniva venduto. Molti si misero in coda verso l’Eldorado, autofregiandosi del titolo di galleristi, mercanti o critici; con il tempo questo si è rivelato un vero danno.

La situazione artistica a distanza di trent’anni ti pare molto cambiata? Il sistema delle gallerie è migliorato o ti pare in crisi?
In questi anni il numero degli ultraricchi è aumentato in maniera enorme, e il sistema si è adeguato: pochi gli eletti chiamati a varcare le soglie del Paradiso finanziario mentre per gli altri non resta che la sosta nel Limbo.

Ti riconosci in qualche maestro o in qualche autore che è stato importante per la tua formazione artistica?
L’interesse per il mondo artistico è iniziato a tredici anni. Il primo libro che acquistai era su Kandinsky, tanto che a scuola, per scherzare, mi chiamavano Aldinsky. Poi con il tempo, gli studi artistici, la frequentazione dei musei e la lettura di numerosi libri ho affinato il gusto. Ho sempre tenuto separato l’Io spettatore dall’Io autore, per non avere pregiudizi e per non perdere il piacere del guardare. Per quello che riguarda i maestri debbo dire tutti e nessuno.

E riguardo alla contemporaneità, ci fai qualche nome?
Ti faccio quattro nomi: Pietro Roccasalva, Dana Schutz, Neo Rauch e Wladimir Bobok, pittore di piazza romeno.

Riesci a descrivere in poche parole il tuo mondo artistico?
Biologic Art.

Hai in programma qualche progetto per il 2021?
Tutto fermo, come Duca alla terza corsa di Agnano.

In conclusione, ci puoi parlare del tuo orientamento politico?
Sono per una Monarchia assoluta, almeno se qualcosa va storto sai chi devi decapitare. E anche perché con le effigi dei monarchi puoi fare i servizi da the. Con i politici nemmeno quello.

Aldo Damioli, Venezia New York, 2016, acrilico su tela, 80 x 100 cm, ph courtesy DL Arte, MilanoAldo Damioli, Venezia New York, 2016, acrilico su tela, 80 x 100 cm, ph courtesy DL Arte, Milano

Aldo Damioli, Venezia New York, 2015, acrilico su tela, 80 x 70 cm, ph courtesy Marco Rossi arte contemporanea, Milano


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