In dialogo con Luca Beatrice

Luca Beatrice è curatore, critico, docente e tifoso della Juventus. Ho avuto la possibilità di intervistarlo in occasione della mostra collettiva che ha curato, dal titolo VOLTI, attualmente in corso fino al 12 novembre 2023. Qui la pittura italiana di ritratto nel XX secolo, è allestita in due sedi espositive, lo Spazio Circolo a Bellano (Lecco) e Villa del Balbianello, dimora del FAI a Tremezzina (Como).

Luca Beatrice

Vorrei fare capire al pubblico chi lei sia, ma non vorrei riassumerlo io, preferirei che lo facesse lei descrivendosi con il titolo di un’opera d’arte.
Non so bene come rispondere. Sono un signore sessantenne con quattro figli, a cui piace andare in moto, che non rinuncia ad andare allo stadio a vedere giocare la Juve e che avrebbe voluto viaggiare un po’ di più. Amo ciò che faccio e, soprattutto, mi piace differenziare gli investimenti. Mi piace moltissimo continuare ad andare a scuola, infatti insegno sia in Accademia sia in due università. Come io sia, lo lascio dire agli altri. A qualcuno sto anche simpatico, altri non mi sopportano. Invecchiando, sono riuscito a vincere le ritrosie di qualcuno. Ma se dovessi scegliere un’opera d’arte per descrivermi, probabilmente sarebbe il ritratto di Mick Jagger realizzato da Andy Warhol. Il frontman dei Rolling Stones ha appena compiuto ottant’anni: vorrei arrivare a quell’età con la sua stessa energia.

Esiste una mostra, un progetto, un’idea che vorrebbe realizzare, ma non ha ancora realizzato?
Sì, ce ne sono diversi, anche se fortunatamente sono stato in grado di realizzare quasi tutte le mostre che mi sono prefissato o che mi hanno chiesto di fare – preferisco sempre lavorare su committenza – e ne realizzerò un paio l’anno prossimo, di cui una a cui tengo particolarmente.

VOLTI, Veduta della mostra, Spazio Circolo, Bellano – Villa del Balbianello, Tremezzina, 2023. Ph. Carlo Borlenghi

Quali sono i suoi obiettivi principali quando cura delle mostre d’arte? Cosa spera che il pubblico trarrà da questa esperienza?
Il mio è un mestiere piuttosto frammentato. Da una parte insegno, dall’altra curo mostre e dall’altro ancora, come giornalista, scrivo su mostre curate da altre persone. Cosa mi aspetto dalla mostra VOLTI. La pittura italiana di ritratto nel XX secolo? Di sollecitare l’interesse del pubblico soprattutto sui temi trattati: facendo una mostra si ottiene qualcosa dal punto di vista culturale? Mi auguro di sì. Oggi siamo abituati a dire: “C’è poca concentrazione, la soglia dell’attenzione è bassa, siamo tutti di fretta, conta l’arte instagrammabile”. Io sono di un’altra generazione, vengo da un mondo completamente diverso. Quello che non potrei fare è adattare il mio linguaggio, che ormai porto avanti da quasi quarant’anni, ai desideri del mio tempo. Perciò spero ancora che una mostra come questa, con un’impostazione di tipo tradizionale, possa essere gradita al pubblico.

Secondo lei, il pubblico va formato o va intrattenuto all’interno di una mostra d’arte?
La parola “intrattenimento”, legata all’arte, non mi fa impazzire. Abbiamo questa abitudine di voler essere intrattenuti: stiamo a casa e mentre ci gustiamo un film teniamo lo smartphone sul divano, non riusciamo a staccare gli occhi dallo schermo, controlliamo se è arrivato un messaggio o se qualcuno ha pubblicato qualcosa di interessante su Instagram. L’arte e la cultura richiederebbero un impegno maggiore: per guardare un film occorrono un paio d’ore, un libro richiede qualche giorno, mentre per godere di un’opera d’arte sembra sufficiente passarci davanti un attimo e andarsene. Tuttavia, chi è interessato all’arte e alla cultura deve mettere in conto un impegno maggiore.

VOLTI, Veduta della mostra, Spazio Circolo, Bellano – Villa del Balbianello, Tremezzina, 2023. Ph. Carlo Borlenghi

Può raccontarci come nascono le sue scelte curatoriali?
Casualmente. Negli anni Novanta, fra i venti e i trent’anni, credevo, come tutti quelli della mia generazione, in un’ipotesi di critica militante. Venivamo da esperienze come l’Arte Povera e la Transavanguardia, per cui tutti quanti volevamo formare il nostro gruppo. Ad esempio, Gabriele Perretta inventò il Medialismo, dopodiché tutti volevano essere mediali o medialistici e chi non lo era veniva escluso. Anche noi volevamo costruire la nostra scuderia, il nostro gruppo, i nostri artisti di riferimento. Ma questo succedeva in una realtà locale, quando artisti di Milano e di Torino non avevano mai esposto a Napoli o a Roma. Le cose poi sono cambiate e la mia generazione è stata la cerniera fra una vecchia società locale e la nuova società globale, nella quale probabilmente non ha più senso parlare di “arte italiana”, tant’è che nelle grandi mostre internazionali non si vedono artisti italiani, come ad esempio è capitato all’ultima edizione di Documenta. Oggi, anche per i giovani, è molto più interessante andare a pescare le risposte alle proprie domande in un contesto internazionale. Anche io, che ho una certa età, ho pensato che la mia militanza potesse concentrarsi sulla storia: gli anni Settanta, gli anni Ottanta, gli anni Novanta sono già in qualche misura “storia”. Oggi non faccio scelte di critica militante. Magari mi capita di trovare un giovane pittore che mi piace e mi interessa, come ad esempio Davide Serpetti, e di invitarlo alle mostre. Ma la militanza e le scelte curatoriali le lascio ad altri, e mi sembra giusto così.

Esiste un luogo fisico o nella sua memoria, che lei possa identificare come l’inizio del suo percorso e del suo lavoro?
In realtà ce ne sono diversi. Sono nato, cresciuto e ho studiato a Torino, e successivamente ho frequentato la Scuola di specializzazione a Siena. Quello fu un momento decisivo, perché Siena fu la mia prima occasione per capire che cosa potesse essere l’arte contemporanea. All’epoca – parlo della seconda metà degli anni Ottanta – non ne avevo idea. L’incontro con Enrico Crispolti, docente e direttore della Scuola, fu decisivo. Ho vissuto diversi anni a Roma, sono tornato a Torino e ho fatto il pendolare a Milano. I luoghi, quindi, sono tanti. A questo proposito, il 12 settembre uscirà un mio nuovo libro dedicato a questa sorta di “cartografia del cuore” che attraversa i luoghi e gli incontri. Gli incontri, infatti, sono stati funzionali ai luoghi: dove ho incontrato delle persone interessanti, mi sono poi legato al luogo. Ho un ottimo rapporto anche con la provincia, dopotutto mi considero una persona di provincia e in questo momento sono a Pietrasanta, in Versilia, un altro dei luoghi che amo molto.

VOLTI, Veduta della mostra, Spazio Circolo, Bellano – Villa del Balbianello, Tremezzina, 2023. Ph. Carlo Borlenghi

Cosa trova – se c’è qualcosa – di interessante nelle cosiddette mostre blockbuster?
Ne ho fatte di mostre blockbuster. Tuttavia, credo che il termine vada ormai cancellato e sostituito con qualcosa di più appropriato. Ho curato e co-curato diverse mostre del genere, come ad esempio quelle dedicate a Pollock, agli Irascibili, a Warhol, ai Preraffaelliti. L’importante è mostrare delle opere che siano tali, non promettere cose che non si riescono a ottenere, mantenendo una scientificità in ciò che si sta facendo.

Cosa consiglierebbe a un giovane che volesse intraprendere questo percorso professionale?
Consiglierei di studiare molto, formarsi bene all’università, avere curiosità culturale a partire dalle altre forme artistiche come la letteratura, il teatro, il cinema, sentirsi parte di una comunità. E, se posso aggiungere una cosa più prosaica, farsi pagare fin dal primo momento in cui si alza la penna o si posano le mani sulla tastiera, perché quando chiami l’idraulico o quando vai a comprare il pane, li paghi: è giusto che anche il lavoro intellettuale sia rispettato.

VOLTI, Veduta della mostra, Spazio Circolo, Bellano – Villa del Balbianello, Tremezzina, 2023. Ph. Carlo Borlenghi

Pensa che l’arte possa influenzare il modo in cui le persone pensano e vedono il mondo?
No, l’arte è una categoria del pensiero a sé. Ha la possibilità di arrivare prima a determinate intuizioni perché – non dovendo dimostrare nulla – può essere utopia, sogno, immaginazione. A differenza dell’architettura, che progetta un edificio che deve poi stare in piedi, l’arte ha questa possibilità in più: può scavalcare la realtà e immaginare mondi e visioni.

Come valuta l’importanza della divulgazione e dell’educazione artistica per coinvolgere il pubblico nelle mostre?
Se parliamo di educazione artistica, la prima cosa che mi viene in mente è la scuola. Sulla mia carta d’identità c’è scritto “docente”, non “critico d’arte” che, peraltro, è una categoria professionale che non esiste. La scuola è il primo luogo della formazione, da quella dell’infanzia all’università, prima ancora della cosiddetta “divulgazione”. La scuola deve essere il luogo in cui si fa cultura artistica fin dall’inizio. Due anni fa mi sono cimentato nel tentativo di scrivere d’arte contemporanea per le scuole medie: questa è stata un’ottima palestra, perché bisogna far capire ciò che solitamente si spiega a studenti universitari, a classi di ragazzi che entrano bambini ed escono adolescenti, con linguaggi e conoscenze ben diversi.

VOLTI, Veduta della mostra, Spazio Circolo, Bellano – Villa del Balbianello, Tremezzina, 2023. Ph. Carlo Borlenghi

Se non facesse quello che fa, cosa le piacerebbe fare?
Ciò che ho fatto deriva da una serie di fallimenti. Quando ero piccolo, avrei voluto diventare portiere della Juventus, correre in motocicletta oppure cantare a Sanremo. Non ho fatto nulla di tutto ciò ma c’era una cosa che mi piaceva fare: il giornalino della scuola. L’idea della scrittura mi ha sempre inseguito, fin dalle elementari. Alcuni artisti dicono: “Dipingo da quando sono piccolo”. Io no – non ne sono capace – ma scrivere mi è sempre piaciuto. Non so raccontare una storia, ma guardare e descrivere la realtà mi riesce bene. Questo, forse, ha a che vedere più con l’arte che con la letteratura. Fra i tanti mestieri che faccio, considerando che l’insegnamento è forse quello in cui si sente di più il dovere civico, la scrittura non la cambierei con nient’altro. Se non avessi fatto il critico d’arte, forse avrei fatto il giornalista a tempo pieno.

Se potesse scegliere un personaggio, storico o di fantasia, da inserire nel suo team di lavoro, chi sceglierebbe?
Non saprei come rispondere perché nel mio team ci sono sempre persone giovanissime, ex studenti dei quali ho capito che c’era della “ciccia” e con cui ho cominciato a lavorare. Amo circondarmi di persone molto più giovani di me, che sono più brave, più pazienti, più puntuali, più attente. La mia soddisfazione consiste anche nel vederli andare via e cambiare strada. Inoltre, non vorrei nel mio team un personaggio storico più importante di me, perché la star sono io.

Francesco Liggieri

Info:
VOLTI. La pittura italiana di ritratto nel XX secolo
A cura di Luca Beatrice, ideata da Velasco Vitali e prodotta da ArchiViVitali
21/07 – 12/11/2023
Spazio Circolo (Bellano) e Villa del Balbianello (Tremezzina, Como)


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