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L’arte di Caroline Wong: una fame di libertà

L’arte di Caroline Wong: una fame di libertà

Nel lavoro di Caroline Wong (1986, Ipoh, Malesia) l’ingordigia, l’irrefrenabile bramosia di ingurgitare ogni sorta di cibo e bevanda, diventa un ingegnoso espediente per distorcere l’immagine stereotipata della donna asiatica ideale, intrappolata dal convenzionalismo sociale. Attraverso la rappresentazione di golosi e appetitosi banchetti dionisiaci, dove l’ordine e la forma vengono abolite a favore del caos e dell’eccesso, l’artista indaga senza giudizio le complesse relazioni tra la femminilità e il cibo, proponendo il nutrimento come un impulso in grado di colmare un vuoto sia fisico sia emotivo. Wong propone dunque un contraltare della donna perfetta – elegante e composta – che abbandona ogni decoro per assumere pose sgraziate e disinibite tra bottiglie semirovesciate e piatti ancora pieni di prelibatezze. La dimensione domestica del convivio familiare viene distorta da un’ilarità quasi stomachevole. Tale effetto viene amplificato dalla consistenza morbida, come cremosa, del pastello a olio che attribuisce a sua volta ai disegni una dimensione materiale, tattile, che infonde nell’osservatore un senso di sazietà visiva. L’artista, che da poco ha completato una residenza artistica a Castello San Basilio, in Basilicata, dove ha realizzato un nuovo corpo di disegni della serie ‘Cats and Girls’, racconta l’ascesa di una nuova donna moderna, imperfetta e affamata.

Caroline Wong, Spaghetti Lunch, 2023, pastels on paper, 64.5 x 50 cm, courtesy the artist and Castello San Basilio

Mariavittoria Pirera: Cominciamo dal principio: puoi raccontarci del tuo background, del tuo primo incontro con l’arte e di come questo ti ha portato a sviluppare il tuo linguaggio artistico?
Caroline Wong: Sono di origine cino-malese, ma sono cresciuta a Londra. Direi che sono sempre stata una persona introversa e da bambina usavo il disegno come strumento di evasione, disegnavo qualsiasi cosa, poi durante l’adolescenza mi sono avvicinata all’arte figurativa, in particolare alla ritrattistica. A diciott’anni speravo di potere frequentare la scuola d’arte, ma ci si aspettava che mi dedicassi a qualcosa di più accademico e sicuro. Pertanto, il periodo dei miei vent’anni fu un momento molto strano, in cui provavo a impegnarmi in qualsiasi cosa pur di evitare l’arte, così da non turbare la mia famiglia. Solamente dopo aver compiuto trent’anni decisi di cambiare le cose. Ormai, grazie al periodo trascorso in Asia e in Europa, sentivo di avere raccolto sufficiente esperienza e materiale visivo per forgiare una pratica che fosse una “definitiva forma di gioiosa ribellione”. La mia arte riguarda sostanzialmente le donne che vanno controcorrente, coloro che si trovano in bilico tra le culture e che hanno fame di cibo, vendetta e affetto. La frenesia e il piacere ritratti [nei miei disegni] si trasmettono alla realizzazione dell’immagine, cosicché l’atto di disegnare o dipingere diventi una forma di consumo avido e innocente. Quello che cerco è una sorta di bellezza in eccesso.

Le donne nei tuoi disegni sono private di quel decoro e formalismo che solitamente contraddistingue la ritrattistica tradizionale. 
Sì, trovavo il ritratto limitante, in quanto fondamentalmente impostato sulla somiglianza e sull’adulazione. [Al contrario] volevo creare immagini di donne che, pur essendo naturali e in qualche maniera tradizionali nell’esecuzione, comunicassero altri stati dell’essere più arrabbiati, estatici, orgasmici, ubriachi e indisciplinati. Questo mi consentiva di sovvertire il genere meirenhua dell’arte dell’Asia orientale. Tradotto come “immagini di belle donne”, si tratta di una tipologia di ritratti raffiguranti una bellezza fondata sulla buona condotta, sulla moderazione e sul trattenimento del desiderio. La disciplina e la pazienza di queste donne si riflettono anche nel processo esecutivo, che risulta lento e scrupoloso. I miei ritratti sono dunque una riscrittura della bellezza come esperienza di libertà e di puro piacere.

Caroline Wong, Tea Time, 2023, pastels on paper, 64.5 x 50 cm, courtesy the artist and Castello San Basilio

I tuoi lavori sembrano ruotare intorno a una febbre famelica, una fame che sembra non venire mai realmente saziata. Che cosa si cela dietro questo desiderio di consumare cibo in maniera smodata e senza ritegno alcuno?
L’insaziabile fame può assumere diversi significati a seconda di ciò che sto provando al momento dell’esecuzione del lavoro. Spesso i disegni nascono da un sentimento di frustrazione, ansia, nichilismo, lussuria, desiderio e anche di cattiveria. In altre parole, si tratta di “mangiare i propri sentimenti”, ma trasferiti al disegno.

Il senso di pienezza è amplificato dall’uso di tonalità calde, che talvolta assumono gradazioni quasi iridescenti. Che ruolo gioca il colore nella tua pratica?
Mi piace creare immagini che siano deliziose da osservare, di conseguenza affronto i colori come se fossero dei sapori. Voglio che il lavoro sia seducente nella sua dolcezza, nutriente e confortante come l’umami, anche se forse può risultare un po’ troppo piccante e ricco nella sua audacia. Insisto molto sull’importanza del colore come ingrediente fondamentale nelle immagini, sebbene alle volte in passato sia stato considerato femminile e perciò secondario, in grado di corrompere la qualità dell’arte. Platone, per esempio, era solito deridere il colore come mero elemento cosmetico, a differenza della linea che forniva la struttura e la forma dell’immagine. La pittura impressionista veniva interpretata come femminile e sessualmente decadente, proprio perché privilegiava la materialità della pittura, l’emotività e la seduzione del colore rispetto alla “mascolina” qualità della linea e della composizione. In breve, cerco di recuperare e ampliare le qualità seducenti ed emotive di un’immagine.

Caroline Wong, The Bacchanal, 2023, pastels on paper, 187 x 262 cm, courtesy the artist and Castello San Basilio

Ai banchetti presiedono dei gatti, come ad esempio nella serie Cats and Girls. Per quale motivo proprio il gatto e come si inserisce nello schema donna/cibo?
Nella mia pratica il gatto (come la fame) rappresenta una moltitudine di cose. Ammiro la loro spensieratezza e indipendenza, il modo in cui privilegiano i loro bisogni e piaceri rispetto a tutto il resto. Difatti, i gatti sono creature egoiste e amorali, per nulla nobili ed esemplari come i cani oppure i cavalli. Mi interessa soprattutto la loro “femminilizzazione” nel corso della storia, il modo in cui hanno rappresentato il lato oscuro e deviante delle donne attraverso il loro legame con la stregoneria oppure il modo in cui sono stati usati per rappresentare la sessualità femminile – da qui l’invenzione del costume da gatto e il famoso personaggio della Donna Gatto. Analogamente, le donne sono state descritte come “feline”, simili a gatte. Esiste poi un intero vocabolario di termini per indicare la promiscuità delle donne come “gatta da vicolo” oppure “gattina del sesso” e naturalmente “figa”. Sostanzialmente, il gatto è un simbolo di ribellione e di anticonformismo del piacere femminile in tutta la sua perversione.

A proposito di gatti e di Cats and Girls, durante la residenza a Castello San Basilio hai realizzato nuovi disegni della serie, vorresti parlarcene?
Certo, ho lavorato su tre opere piccole e una di grandi dimensioni. Queste ultime [Tea Time, Midnight Supper, Spaghetti Lunch e The Bacchanal] si concentrano sul cibo che ho mangiato durante il mio soggiorno in residenza, nei ristoranti oppure i pasti che mi sono stati preparati al castello. Nei lavori quindi si possono vedere, pentole di spaghetti, piatti di prosciutto e melone, ciotole di frutta e ancora dolci locali.  I lavori piccoli sono più intimi e ritraggono un singolo personaggio mentre desidera oppure divora il cibo. Si tratta di una tipologia di disegno più lenta e dettagliata, è quasi come assaporare un momento. L’opera più grande è una composizione di gruppo intitolata The Bacchanal e riprende gli antichi banchetti orgiastici rappresentati nella storia dell’arte. A differenza degli altri, quest’ultimo offre un’esperienza di disegno più rumorosa, caotica e corporea. Per me è pura catarsi.

Caroline Wong, Midnight Supper, 2023, pastels on paper, 93 x 70 cm, courtesy the artist and Castello San Basilio

Molto spesso quando si parla delle residenze d’arte si presta più attenzione ai parametri di selezione dei direttori rispetto a quelli degli artisti. Quali sono i criteri che portano ad accettare o rifiutare un invito a partecipare? Cosa cerchi in una residenza?
Suppongono che sia necessario avere un buon presentimento sul direttore della residenza artistica, con cui deve essere facile lavorare. Questi devono essere trasparenti sia in quello che mi offrono sia in quello che si aspettano da me. Inoltre presto attenzione al numero di opere che mi vengono chieste, per evitare di trovarmi sotto pressione per sfornare una marea di lavori oppure che mi venga detto come devono essere fatti. Per quanto riguarda il posto, mi piace pensare di essere una persona flessibile sul luogo in cui una residenza si svolge.  Infine, deve esserci sintonia con gli obiettivi della mia pratica. Per me l’Italia è il luogo ideale per una residenza perché sento che le persone qui siano veramente in grado di godersi la vita.

Info:

www.carolinewongart.com


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