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Thesauros. La pittura preziosa di Agostino Arrivab...

Thesauros. La pittura preziosa di Agostino Arrivabene a Palazzo dei Diamanti

Concrezioni perlifere, polvere d’oro e di diamanti; olio, smalto, tempera e financo insetti si incrostano sulle tele e sulle tavole o su fette di legno fossile pietrificato, pregiati supporti delle opere di Agostino Arrivabene, in cui preziosi ricami di colore si inerpicano solidificandosi in loriche adamantine.

Agostino Arrivabene, La grande opera, 2016, olio su lino, 250 x 150 cm, Collezione Agostino Arrivabene

E alla sfera belligerante è proprio il caso di far riferimento per questa mostra personale a Palazzo dei Diamanti, il cui allestimento, in principio, ci immerge in medias res nelle spire voluttuose e dannate dei lussuriosi di Erotomachia infera (2023), dal cui coacervo di corpi ignudi e serpentiformi diavoli alati, dai volti vegliardi o scheletrici, si distacca la coppia di Paolo e Francesca, intrecciati nell’eterno e luminoso abbraccio infernale. Una lotta retroavanguardistica, quella di Arrivabene, in difesa della Pittura antica, del Mito e della Bellezza, che fa tesoro – Thesauros è il caso di dire dei doni ereditati dai Grandi Maestri, attraverso una pratica artistica veicolo di preziose rinascenze, che si fa a sua volta dono, trovando in quella Ferrara rinascimentale d’eccellenza il luogo perfetto per essere esposta.

Agostino Arrivabene, Le mosche d’oro, 2014, olio, insetti e polvere d’oro su lino trasportato su tavola, 40,5 x 44,2 cm, collezione privata, courtesy Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Ne è chiaro omaggio il corrusco paesaggio de La Grande Opera (2016), gigantografica alchemica ispirata (come pure la veduta de Il sogno di Asclepio) allo scenario naturalistico visibile tra le colonnine a sostegno del trono della Vergine della Pala Portuense (1479-81) di Ercole de’ Roberti, terzo rappresentante in ordine cronologico dell’Officina ferrarese di coniazione longhiana, cui è dedicata la targa affissa nel Palazzo. Una filosofia, quella dell’Alchimia, che scorre sotterranea in tutti i lavori di Arrivabene, frutto di una tribolazione della materia, Magnum Opus che riflette la gioia catartica del dolore silente e lacerante, fattosi Pittura. Un processo di sedimentazione, lavorazione e purificazione che, a proposito del luogo che ospita la mostra, ricorda proprio quello subito dall’umile Carbonio per essere trasformato nel più duro e prezioso dei materiali, qual è il diamante, trasparente e penetrabile solo dalla luce, proprio come una vergine.

Agostino Arrivabene, Ctesia Panax, 2012, olio su lino, 56 x 73 cm, Collezione Sergio Montoli, courtesy dell’artista

Questa, nel corso dell’esposizione, si trova tanto nella declinazione cristiana, in Vergine fossile (2020, la più recente del ciclo su legno fossile, nato nel 2013-14 e rappresentato in mostra dai primi lavori), quanto in quella pagana di Persefone. Costei è ritratta ora sotto una nube dalle luminescenze e dalle direttrici dinamiche post William Blake, in Ea – exit (2016), ora sotto il velo nuziale, in una veste tetra e melmosa, nel dittico dei Coniugi infernali (2013); o ancora reggente un chimerico bicefalo unicorno policromo, attributo iconografico delle giovani illibate sin dal Medioevo, in Ctesia Panax (2012, anch’essa parte di un dittico). Un sodalizio, quello vergine/unicorno, presente anche nella produzione di Gustave Moreau, altro nume tutelare della poetica di Arrivabene, insieme ai nostrani Leonardo e Michelangelo, cui guardava in specie Edward Burne Jones tra i Preraffaelliti.

Agostino Arrivabene, Lucifero, 1997, olio su lino, 50 x 60 cm, Collezione Agostino Arrivabene

La loro attenzione al Simbolo, come a temi danteschi o biblici, permea la produzione del Nostro che tocca anche punte prettamente religiose in Sacro Sangue (2016), Ecce Homo su tavola seicentesca, dagli insanguinati riccioli düreriani che occultano il volto e dalle stimmate zampillanti di corallo, abbinato (come per Angelo del versamento III) alle diramazioni appunto coralline del cardiomorfo Reliquiario per un mirabilia (2017). Questo, insieme con Scultura gioiello (2023), riporta esplicitamente all’estetica collezionistica da Wunderkammer, cui in realtà l’esposizione tutta è improntata nella sua logica onnirappresentativa della produzione dell’artista. E il ricchissimo horror vacui da camera delle meraviglie era già presente nell’Atena conquistata da gorgonici serpenti che le suggono i capezzoli e ne I sette giorni di Orfeo, entrambi del 1996.

Agostino Arrivabene, Du mal II, 2011, olio su tela, 55 x 73 cm, Collezione Michele Serini, courtesy dell’artista

Si tratta, a ben vedere, dei lavori più datati tra i quaranta in mostra, dopo La custode dei destini (1985), esplosivi di un giubilo cromatico/decorativo sui toni del verde, oro, magenta e cobalto, descrittivi dei più minuti dettagli, siano essi floreali, di piumaggio od ornamentali dello scudo e della lira, gemme di un elenco che, per dirla con l’Eco di Vertigine della lista, “si conclude idealmente in un eccetera.” Alla medesima impronta stilistica è ascrivibile il quasi coevo Lucifero (1997) che, come poi l’Ade di Du mal II (2011) recante un piccolo Cerbero, ha il volto trasfigurato da un nero vuoto. Una “Gioconda moderna” nelle parole di Vittorio Sgarbi, curatore della mostra, dal volto sostituito da un buco nero che risucchia gli spettatori a conclusione dell’elegante allestimento su fondo rosso. Un buco nero per rappresentare il Principe della Luce, un vuoto in mezzo a un florilegio coronato da una composizione a mo’ di cauda pavonis, un voraginoso ossimoro che consente la coincidentia oppositorum di Nigredo e Albedo, chiudendo il cerchio alchemico con sigillo antifrastico.

Eliana Urbano Raimondi

Info:

Agostino Arrivabene. Thesauros
16/07/2023 – 1/10/2023
Palazzo dei Diamanti
Corso Ercole I d’Este 21, Ferrara


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