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Turner Prize 2019. Un Gesto Simbolico di Coesione

Turner Prize 2019. Un Gesto Simbolico di Coesione

Sono gli ultimi giorni della mostra dedicata al Turner Prize 2019 che quest’anno ha scelto la galleria Turner Contemporary di Margate ad opera di David Chipperfield, affacciata al Mare del Nord, pensata come omaggio al celebre Turner che proprio a Margate si è formato, tornandovi più volte in visita nel corso della sua carriera artistica.  Da sempre fiore all’occhiello del panorama britannico contemporaneo, il Turner Prize presenta in quest’edizione, i lavori dei finalisti Lawrence Abu Hamdan (1985, Amman), Helen Cammock (1970, Inghilterra), Oscar Murillo (1986, La Paila), e Tai Shani (1976, Londra) che da tempo hanno scelto il Regno Unito quale patria adottiva per la loro pratica artistica, in seguito a studi presso istituzioni quali la Goldsmith e il Royal College of Arts di Londra. È già questo un indizio degno di nota per capire la presa di posizione politica che la mostra assume quest’anno, vedendo gli artisti schierati in prima linea per quella che è una riflessione sull’arte in relazione al sociale.

Al Turner Contemporary, la mostra si delinea come un panorama eterogeneo che vuole ripensare l’arte quale sintomo di un’urgenza, restituendoci una rappresentazione di realtà invisibili, ma vere nella loro essenza specifica. In particolare, Lawrence Abu Hamdan, presenta il video Walled Unwalled, 2018, pensando alle strategie del panottico con riferimento all prigione siriana di Saydnaya, a cui l’artista si è interessato con il supporto di Amnesty International nel corso delle sue ricerche. L’opera, nelle sue parole, vuole offrire ‘un orecchio privato’ di una realtà tenuta volutamente invisibile, per cui l’artista si posiziona suggerendo una retorica differente che possa tenere conto di temi quali le torture e i diritti umani, da lui pensati attraverso la configurazione meticolosa di componenti visive, sonore, performative e architettoniche.

Non diversamente, l’inglese Helen Cammock presenta il progetto The Long Note, 2018, composto da un documentario di 99 minuti, che riflette sul ruolo che il femminismo ha giocato nell’Irlanda del Nord nel corso della recente storia politica. Secondo una sapiente ricerca archivistica, il documentario si accompagna a un’installazione concettuale che vuole porre l’accento sull’importanza della parola e dell’azione quali motivo di preoccupazione femminista. Della stessa linea di pensiero è la pratica di Oscar Murillo che ripensa la tradizione pittorica di genere secondo la sperimentazione performativa e dei materiali. In questo senso, con Violent Amnesia, 2018, l’artista riflette sulle migrazioni storiche, con particolare riferimento alla Colombia, Paese d’origine, interrogandosi su come poter comunicare l’importanza delle specificità locali in un contemporaneo globale. A conclusione della mostra, l’installazione performativa DC Semiramis, 2018, di Tai Shani rivisita in chiave performativa quello che è considerato il libro proto-femminista, The Book of the City of Ladies, 1405, ad opera di Christine de Pizan, mettendo in scena una città governata da donne in cui incontrare figure fantasmagoriche e della fiction. Intrecciando tempi, storie, e luoghi dell’immaginario, la città ideale dell’artista invita a una partecipazione attiva e interattiva, ponendoci nella condizione di rivisitare il passato per ripensare il futuro.

Accade che l’assegnazione del Turner Prize 2019 conferma esemplarmente la presa di posizione politica degli artisti finalisti, come ribadito dalla decisione unanime della giuria, di conferire il premio, per la prima volta nei 35 anni di storia del Turner Prize, a tutti gli artisti selezionati, riflettendo “un gesto simbolico di coesione” con l’obiettivo di “estendere il significato di quello che voglia dire essere Britannico oggi”. Come riporta il giornalista del The Guardian, Mark Brown, che ha seguito l’atteso evento di premiazione tenutosi il 3 dicembre alla presenza di Alex Farquharson, direttore della TATE Britain e di Edward Enninful, editore di British Vogue, tale richiesta è stata sollevata dagli artisti stessi che, prima di ogni valutazione, hanno sottoposto alla giuria uno statement condiviso in cui si delinea il volere di mettere da parte l’individualità per ripensare l’arte in relazione alle urgenze politiche.

Mai come quest’anno, infatti, il Turner Prize ha affrontato temi legati alla guerra, alle migrazioni e ai diritti umani, come leggiamo nelle parole degli artisti: “Le politiche che trattiamo sono notevolmente differenti, e sarebbe problematico per noi, se venisse scelto un unico tema, il che vorrebbe dire che un tema è più importante o significativo di un altro… In questo momento di crisi politica… quando ci sono molti fattori che vogliono dividere ed isolare le persone e le comunità, abbiamo fortemente sentito il bisogno di utilizzare l’occasione del premio per creare uno statement collettivo in nome della comunalità, molteplicità e solidarietà”. Certamente l’edizione del Turner Prize 2019, segna un momento storico in cui l’arte è saputa ancora intervenire nel reale con la complessità del suo linguaggio, lontano dalle convenzioni e dalle forme canoniche della rappresentazione, per conferire un nuovo ruolo all’artista immerso attivamente nelle istanze del suo tempo.

Info:

Turner Contemporary
28 September 2019 – 12 January 2020
Margate

Turner Prize 2019Turner Contemporary, photo Richard Bryant

2. Helen Cammock, video still from The Long Note 2018. Courtesy the artistHelen Cammock, video still from The Long Note Courtesy the artist

Lawrence Abu Hamdan, installation view of Walled Unwalled in The Tanks, Tate Modern London 2018. Photo by Tate Photography

Tai Shani, installation view of DC: Semiramis, Glasgow International 2018. © Keith Hunter. Courtesy the artist

Oscar Murillo, installation view of Collective Conscience 2018 at the 10th Berlin Biennale, 9th June – 9th September 2018. Photograph by Timo Ohler © Oscar Murillo. Courtesy the artist and David Zwirner


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