Angiola Gatti. You touched me

Nel 1946 Lucio Fontana fu il primo a usare la penna a sfera come materiale artistico mentre si trovava a Buenos Aires, dove pochi anni prima l’ungherese László József Bíró, fuggito dalle persecuzioni naziste in Europa, aveva brevettato il prototipo definitivo della propria invenzione. Negli anni ’50 e ’60 artisti del calibro di Alberto Giacometti, Jean Dubuffet, Agnes Martin, Andy Warhol, Nam June Paik, Yayoi Kusama, John Cage,  Cy Twombly e Louise Bourgeois sperimentarono nei loro lavori le potenzialità di questo strumento modernista che, nei decenni successivi, venne definitivamente assorbito dal mondo dell’arte anche per la realizzazione di opere in grande scala. Nel 1973 Alighiero Boetti impiegò decine di aiutanti per riempire fogli di carta con campi solidi di inchiostro blu negli 11 pannelli che compongono la serie Ononimo, mentre Jan Fabre nel 1990 culminò una serie di lavori a penna bic intitolati L’Heure Bleue trasferendo i suoi disegni sulla facciata del castello di Tivoli vicino a Mechelen fino a ricoprirla completamente trasformandola in un’immensa superficie disegnata.

Questa breve digressione storica contestualizza la ricerca artistica di Angiola Gatti (Torino 1960), che sin dagli esordi individua il suo ambito d’azione privilegiato in una zona liminare tra il disegno e la pittura, due modalità espressive correlate ma solitamente distinte. La sua sperimentazione pittorica e segnica, nata all’inizio degli anni ’90 su fogli del comune formato A4, nel corso del tempo si è espansa fino ad abbracciare superfici molto grandi, che trovano il loro massimo comune denominatore dimensionale nel suo corpo  e nell’estensione del suo braccio, materializzando l’inscindibile unità di gesto, spazio e tempo che ne costituisce la più profonda ragione d’esistenza. Alternando fasi di rigorosi monocromi a biro nera a periodi in cui la necessità di colore la spinge ad ampliare la gamma dei suoi mezzi fino a includere anche matite e oil stick, l’artista imbastisce sulla superficie nuda una fitta trama di segni che attraversano il piano pittorico per depositarsi in un altrove mentale di cui l’opera è intermediaria e varco esistenziale. La realtà è fluida, varia in ogni momento, e le instabili percezioni generate dall’incontro tra il mondo esterno e l’intimità dell’artista formano un complesso vocabolario emozionale che diversifica ogni segno dall’altro stravolgendo dall’interno l’inattaccabile imparzialità e uniformità degli scarni strumenti utilizzati.

Il ritmo del lavoro di Angiola Gatti asseconda l’insorgere di pensieri e stati d’animo, è sensibile alle condizioni ambientali e luminose, cambia in base alle sue esperienze personali e a qualunque frangente della vita quotidiana. C’è un’idea di partenza che si precisa nel suo farsi materia fino a essere quasi scolpita o incisa dalla forte pressione della penna sulla carta, ma talvolta i tempi lunghi di esecuzione fanno sì che la suggestione iniziale sia sommersa dal subentrare di altre impressioni più urgenti e diventa un retro pensiero che continua dal fondo a emettere la sua flebile ma persistente frequenza emotiva. L’andamento del gesto grafico è armonioso nella discontinuità: ci sono arresti e riprese, pause meditative e improvvise fioriture, ripensamenti che si amalgamano nella densità della sostanza cromatica, tentazioni che diventano coaguli di segni appassionati e altre solamente sottintese in uno spazio lasciato libero. Ci sono sempre nuovi indizi e inaspettate aperture di senso, in costante tensione tra nitidezza e rumore del mondo, tra calma contemplazione e istintività, tra pieno e vuoto, tra la luminosità endogena dell’inchiostro chimico e il bianco compatto della carta. Ogni opera impegna l’autrice e lo spettatore nello stesso movimento pendolare che nasce dalla necessità di allontanarsi dalla tela per cogliere la panoramica compositiva e dal contemporaneo e contrastante desiderio di avvicinarsi il più possibile per provare a districare la sedimentazione delle linee e inseguire il percorso di un singolo segno.

La mostra You touched me presenta un eloquente concentrato della produzione artistica di Angiola Gatti che comprende tre grandi tele interamente ricoperte di tratti a penna, disegni su carta di dimensioni più contenute in cui il segno si rapprende in intensi grovigli tridimensionali e una serie di opere fotografiche di recente concezione e realizzazione che ritraggono composizioni effimere di frammenti di vetro, metallo e creta assemblati senza collante. Particolarmente suggestivo il dittico composto dalle due opere che aprono idealmente la rassegna, due Untitled affiancati che creano uno spazio aperto e luminoso elettrizzato da nugoli di pulsazioni lineari che risultano compatte da lontano, al punto da individuare sfumature, gradazioni di piani e misteriose emersioni di forme, e complesse da vicino, dove l’indipendenza e l’unicità di ogni tratto sembra voler competere con i suoi simili per affermare la propria irripetibile esistenza. L’effetto è di essere immersi in un avvolgente giardino di segni in cui fermenta una moltitudine di possibilità tanto evanescenti quanto indelebili. La stratificazione delle linee crea una plasticità irregolare come le mutevoli intuizioni della mente umana, determina profondità e spazialità che trovano un elusivo punto di raccordo prospettico al di là della superficie dipinta, descrive la consistenza del reale rilevandone le sotterranee cariche energetiche, manifesta la bellezza del mondo e la sua innata aspirazione alla trascendenza. Il colore dominante in entrambe infatti è il blu, la tonalità che compare quando la notte finisce e il giorno comincia a risorgere, da sempre in arte un ponte percettivo tra ciò che è materiale e lo spirituale e l’immaginario, un simbolo di rinascita e rinnovamento.

Difficile a prima vista comprendere l’intersezione concettuale tra questa tipologia di lavori e le immagini fotografiche collocate alla parete opposta, ma a uno sguardo prolungato cominciano a emergere sottili analogie tra gli spigoli traslucidi dei pezzi di vetro accostati, le loro proiezioni sul muro retrostante sotto forma di ombre assimilabili a segmenti di segno e l’oscurità trasparente delle insistite sovrapposizioni di tratti a penna che, per quanto si sforzino di acquietare un ansioso horror vacui, riescono sempre a emanare spazio e luce. Ciò che l’artista sembra sperimentare, in questo caso da due punti di vista opposti e complementari, è la possibilità di generare piani spaziali dal vuoto e tridimensionalità infinitamente espandibili da uno spazio apparentemente saturo, esplorando così le potenzialità evocative e scultoree della visione e la sua capacità di trasformare il puro dato ottico in ambiente mentale.

Info:

Angiola Gatti. You touched me.
23 settembre – 11 novembre 2017
CAR drde
Via Azzo Gardino 14/a Bologna

Angiola Gatti, You touched me, “Untitled (Senza titolo)” 2013/2017, ballpoint pen, pencil, oilstick, rapidograph on unstretched canvas cm 247×210 (left) “Untitled (Senza titolo)” 2014/2017, ballpoint pen, pencil on unstretched canvas cm 240×157 (right) courtesy CAR DRDE Bologna, Photo by Carlo Favero

Angiola Gatti, You touched me, exhibition view at CAR DRDE 2017 courtesy CAR DRDE Bologna, Photo by Carlo Favero

Angiola Gatti, You touched me, exhibition view at CAR DRDE 2017 courtesy CAR DRDE Bologna, Photo by Carlo Favero

Angiola Gatti, You touched me, “Untitled (Senza titolo)” 2014/2017, ballpoint pen, pencil on unstretched canvas cm 243×157 courtesy CAR DRDE Bologna, Photo by Carlo Favero

Angiola Gatti, You touched me, “Untitled (Glass sculpture) #1” 2017, lambda print, frame, cm 54×72 courtesy CAR DRDE Bologna, Photo by Carlo Favero


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.