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Camminando nel «pensiero visivo» di Medialismi 2.0...

Camminando nel «pensiero visivo» di Medialismi 2.0’2.0’

Si è da poco conclusa la mostra Medialismi 2.0’2.0’ curata da Gabriele Perretta che a Corciano ha ideato un progetto al di fuori di confini e schemi prestabiliti. La rassegna espositiva (13 agosto-13 settembre) ha compreso varie sezioni: Mediazioni & Co-rispondenze, Metessie Opera-Pensiero, Impronte, Stendali, Manifesti, Pro.Segni. Una pluralità di linguaggi, espressivamente liberi, che veicolano un sentire proprio dell’artista, il suo pensare, il suo «fare» arte. Opere, installazioni, performance, libri storici, frutto di una riflessione che ha radici in un passato prossimo, gli anni ’70-’80-’90-2000. Certo è che la manifestazione si lega a concetti pregressi, oggi attuali come ieri. Una riflessione sull’arte che da quegli anni scorre e fluisce approdando in un piccolo comune dell’Umbria, pronto ad accoglierla con tutte le sue energie; un Borgo medievale che diviene fucina di arte. La mostra s’innesta all’interno di un Festival storico e riesce a unire tradizioni e contemporaneità.

Percorrendo vie, stradine e piazze incontriamo «stendali» lungo le mura del centro, opere che accolgono i visitatori già prima di entrare e che poi li accompagnano lungo il cammino. Il termine “Stendale” richiama alla mente gli stendardi processionali dei tempi antichi (presente alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia un prezioso esempio di tale espressione artistica legata al culto). Una mostra quindi in cui l’azione del camminare lentamente e sostare diviene pratica per cogliere, assimilare, scorgere opere significanti. Si è trattato di carpire le molteplici suggestioni che questa città ha saputo offrire grazie alla regia dell’ideatore e curatore Gabriele Perretta e agli artisti di differenti generazioni. Uno spazio urbano che, nella sua bellezza, si è mostrato consono a una ricerca artistica continua e che ha dato l’opportunità a persone di girovagare tra «progetti-idee-pensieri».

Opere dall’estrema delicatezza che ci parlano sussurrando, come lo stendale di Caterina Notte, una giovane donna di una spiazzante semplicità che ci osserva attentamente mentre tiene in mano una tazza e un piattino; lo sguardo indecifrabile di una porzione del volto di una ragazza costellato da mosche in una scala di grigi di Antonello Matarazzo, o i toni più accesi degli stendali di Maurizio Arcangeli, Miltos Manetas, Virginia Ryan, Nello Teodori, nei quali bianchi e neri o cromie decise, oggetti o parole, diventano i mezzi di un sentire diretto, profondo, che pone interrogativi. Entrando nella Chiesa di S. Francesco si nota immediatamente il rispetto del luogo, l’atmosfera intima esaltata da teche, poste al centro dei due vani, contenenti libri come Codice Ovvio di Bruno Munari, Soglie di Sandro De Alexandris, Fotografia e Inconscio tecnologico di Franco Vaccari, Trattato di musica di Giuseppe Chiari; edizioni segnate dal tempo che le rende ancora più preziose, e ancora un libro a “fisarmonica”, partitura singolare usata da Demetrio Stratos per le sue sperimentazioni vocali. Attorno opere, la poesia di Enrico Castellani, Emilio Isgrò, al lato opposto Pierpaolo Lista con un dittico di fotografie dalle misteriose cromie, sedute che tra sfumature e ombre ci proiettano in ambienti sospesi in accordo con l’opera di grande formato, che se in entrata aveva incuriosito, all’uscita “obbliga” a fermarsi di fronte ad essa. Tra le due un incisivo riflettere sullo spostamento e sull’[…] umanità, quella troppo spesso dimenticata, violata dalla bruttezza di vita incolta […] (di Marco La Gala, con testo di Rita Alessandra Fusco).

Continuando il proprio percorso si scorgono i Manifesti, stampati in pannelli e affissi in strutture metalliche a gruppi o allineati nelle mura del borgo. Si osservano immagini ben note come la Venere degli Stracci o la scrittura incisiva della Galindo, manifesti con pensieri concisi come Spazio non utilizzabile di Meri Tancredi, spazi, appunto, occupati da tematiche diverse come i paesaggi in bianco e nero solo in apparenza desolati, animati invece dalle parole del poeta Franco Arminio: […] L’umano se vuole restare umano deve allargare i suoi margini, anzi deve perderli. Ogni essere umano, dovunque si trovi, è un nostro compagno di banco. […] Arte che parla del presente, del complesso periodo storico che stiamo vivendo, arte non indifferente all’attualità e che suggerisce qualcosa per il domani. In una stanza le opere di Davide Coltro e Nello Teodori ci fanno immergere in mondi altri, il primo con dipinti digitali come fossero finestre: un cielo sembra immobile ma, se visto da vicino e non frontalmente, ci si accorge che quel pezzetto di cielo non è un’immagine ferma ma è un azzurro che impercettibilmente si muove e che incanta. Nello Teodori pone uno striscione a terra con la frase L’arte non è uguale per tutti e una fotografia storica in bianco e nero in cui persone, in una strada bianca di campagna, tengono in mano l’oggetto che ci troviamo a guardare dal vivo. Le parole diventano immagine che offre spunti di riflessione sull’arte stessa, ponendosi in perfetta sintonia con la frase Artista sarai tu presente sullo stendale firmato dallo stesso artista.

Con Medialismi 2.0’2.0’ c’è stata una concentrazione di pensieri, ricerche personali, storicizzate, emergenti, un accentramento di artisti che hanno manifestato differenti concetti, contenuti usando fotografia, scrittura, pittura, suono, video, performance; artisti che trasformando emozioni, vissuti, ricordi, racconti, visioni, slogan hanno mutato in qualche modo il passante, il turista, l’abitante del luogo, lo spazio stesso. Le diversità di stili e tecniche unite in sintesi hanno fatto respirare un’aria nuova. Medialismi è stato un progetto che è riuscito a integrarsi in modo simbiotico allo spazio urbano umbro, lasciando sicuramente un segno.

Sono tornata una seconda volta a visitare le mostre, ho incontrato il curatore casualmente che accompagnava una persona durante la visita e mi sono a tratti unita al dialogo innescatosi tra i due. L’evento mi ha permesso di camminare in un luogo, sostare di fronte alle opere, assistere ad alcuni eventi in programma durante il Festival che quest’anno si è concentrato in quattro giorni (13-16 agosto). Ho sentito il desiderio di tornare per approfondire, la mia attenzione a un certo punto si è soffermata sulle panchine e il mio pensiero si è spostato ad un passo di un libro letto tempo fa: […] La panchina serve, certo, a sedersi. Il suo senso non si limita tuttavia a quest’uso primario. È ben più di un attrezzo, ben più di una “cosa” incontrata da qualche parte. In quanto sosta materializzata, la panchina contiene, concentra e concretizza il tragitto che ci ha portato “qui”, accanto o su di essa. La sua aria solipsistica non dovrebbe però occultarne il carattere principalmente relazionale, il fatto che essa si presenti sempre all’interno di un sistema spaziale (Michael Jakob). Medialismi 2.0’2.0’. Impronte, corrispondenze, stendali, metessi & altre storie… ha portato gli stessi artisti, organizzatori, abitanti, visitatori ad assumere un po’ le sembianze del flâneur: un camminare, un fermarsi davanti alle opere in un percorso individuale e al tempo stesso relazionale che ci ha portato qui.

Margherita Gemma

Davide Coltro, particolare dell'istallazione a Corciano in Medialismi 2.0'2.0 ....jDavide Coltro, particolare dell’istallazione a Corciano in Medialismi 2.0’2.0

Demetrio Stratos, foto di Silvia Lelli, Lelli e Masotti archivio

Marco La Gala, Transiberiana in Corciano Medialismi 2.0’2.0

Nello Teodori, striscione e fotografia, 1991


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