Dire il tempo: Roman Opałka

«É il filo della vita che io trascino, è sul filo della vita che io procedo». In queste poche parole Roman Opałka condensava un programma monolitico e rigoroso, nato nel lontano 1965 e conclusosi quarantacinque anni dopo, a Chieti, il 6 agosto 2011, giorno della sua morte.

Milano e Venezia hanno deciso di omaggiare il grande artista polacco attraverso la duplice mostra Dire il tempo, a cura di Chiara Bertola, ospitata rispettivamente da Building e dalla Fondazione Querini Stampalia, con l’ambizione di fornire al pubblico una retrospettiva della sua intera produzione, da quella più nota e celebrata dei Détails ai primi lavori inediti, influenzati dal Costruttivismo polacco.

La milanese Building, articolata su quattro piani espositivi, presenta fino al 20 luglio 2019 un allestimento caratterizzato da una selezione delle tele della serie dei Détails, alcune Cartes des voyages e 35 autoritratti fotografici accompagnati dalla registrazione del suono della voce dell’artista: l’intero programma Opałka 1965 / 1-∞ è così restituito con coerenza e completezza.

«Sono passati più di quarant’anni dal momento in cui, in piedi davanti a una tela che avevo uniformemente coperto di nero, ho preso con la mano sinistra un piccolo vasetto di colore bianco pronto a ricevere il pennello che tenevo fra le dita nella mano destra, in un gesto ancora sospeso, ma con la mente già completamente immersa nella decisione presa e nelle ragioni alla base di essa. (…) Tremando per la tensione davanti alla follia di una simile impresa, immergevo il pennello nel vasetto e, sollevando lentamente il braccio, lasciavo il primo segno, 1, in alto a sinistra, all’estremità della tela, perché non rimanesse alcuno spazio fuori dall’unica struttura logiche che mi ero dato».

Nasceva così, nel 1965, il primo Détail, generato dal numero 1 e non dallo 0 perché Opałka non voleva creare un’opera proveniente dal non-esistere. La successiva azione di sussurrare “uno”, in sincronia con il contare e lo scrivere sulla tela, fece comprendere all’artista che si trattava di una qualità di tempo sempre esistente e sempre individuale, in rapporto concettuale con l’infinito. Gli stessi Greci consideravano l’uno come presenza, non divisibile e dunque sostanza.

Strumento di lavoro, indispensabile compagno di una vita, il pennello n. 0 – corrispondente al diametro più piccolo di una serie di pennelli – iniziava a tracciare i numeri successivi rispettando una certa dimensione e una determinata distanza tra un numero e l’altro, in modo che ogni riga, sulla tela, compresi gli spazi tra un numero e l’altro, comprendesse fra le 380 e le 450 unità.

Fissa anche la dimensione delle tele dei  Détails, 195 x 135 cm, equivalenti sì alla grandezza della porta del primo studio di Opałka a Varsavia, ma soprattutto caratterizzate da un rapporto antropometrico per cui un uomo medio possa agevolmente trasportarne una a braccia aperte: questioni di ergonomia, insomma.

Nel 1972, terminato il  Détail del primo milione, Opałka decise di schiarire progressivamente il grigio scuro del fondo delle tele, fino ad allora rimasto identico, schiarendolo dell’1% per ogni opera successiva. Obiettivo finale dell’artista era quello di giungere a una fusione tra il bianco delle cifre e il bianco della tela, in un percorso proiettato verso l’infinito: «A quel punto, durante un istante brevissimo (quello che la pittura acrilica impiega per seccarsi) il numero scritto che accompagnerà la registrazione sarà visibile, durante questo solo istante in cui la pittura brillante è ancora umida, su un fondo opaco, prima di scomparire totalmente nel biancore uguale al suo».

La sola testimonianza dell’azione pittorica di Opałka e della materiale esecuzione del Détail è dunque il nastro magnetico, che registra ogni numero scandito dalla sua voce nell’istante in cui il pennello lo imprime sul supporto.

L’intento di fornire una forma visiva allo scorrere del tempo è il fulcro di un programma estremanente ambizioso e disciplinato, che fa di Opałka un “funambolo”, come scrive Chiara Bertola nel testo critico che accompagna la mostra Dire il tempo: «la linea dei numeri che dipinge è come un cavo teso sul nulla, su cui egli stesso procede in equilibrio, senza poter tornare indietro, passo dopo passo, lasciando impronte indelebili nel suo tragitto».

Questo unicum si è interrotto nel 2011, con il numero 5607249 dipinto in bianco titanio sull’ultima tela in fieri dal fondo altrettanto bianco. A Venezia, il Museo della Fondazione Querini Stampalia ospiterà fino al prossimo 24 novembre il primo e l’ultimo Détail riuniti: l’inizio e la fine di un viaggio nel tempo si specchiano, creando un ponte invisibile verso la luce. Così lo sguardo di Roman Opałka, immortalato dal 1992 nei suoi quotidiani autoscatti, si rispecchierà indelebile in quello del tanto amato Auriga di Delfi, «dimensione eterna dell’effimero, ciò che per me è l’arte».

Info:

Galleria Building

Fondazione Querini Stampalia

Roman Opałka

Per tutte le immagini: Dire il tempo. Roman Opałka, una retrospettiva. Installation view at Building, Milano 2019. Photo © Roberto Marossi, courtesy Building


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