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Ma la moda è una cosa seria. Fabula di Charles Fré...

Ma la moda è una cosa seria. Fabula di Charles Fréger all’Armani/Silos

Prendo in prestito il titolo di un saggio di Gillo Dorfles per scrivere di una mostra che, considerando il tema, può evocare giudizi superficiali e reazioni epidermiche, come accade ogni volta in cui si voglia parlare di codici di abbigliamento non relegandoli al superficiale, con una buona dose di ostentazione moralistica, come fossero qualcosa di accessorio, ma come una questione caratteristicamente umana.

Sin dalle epoche più antiche l’uomo mira naturalmente ad un’esperienza di vita che sia intensificata, perfezionata, consummatoria per dirla con Dewey: più che preoccuparsi della mera sopravvivenza sembra fare affidamento sul rafforzamento delle relazioni tra i propri simili e sulla possibilità di godere esteticamente di ciò che fa. L’antropologia e la filosofia, che in certi casi non rinuncia alla propria sfera di responsabilità, si sono adoperate in questo senso introducendo, per esempio, il concetto di “comportamento artificante” (Dissanayake), bisogno umano per eccellenza. Termine olistico entro cui trova posto senza fatica anche la moda, anche se definito come anomalia sconcertante nell’ambito della cornice dell’evoluzionismo, il comportamento artificante sarebbe un fatto innato, relativo alla necessità di impregnare qualitativamente e artisticamente, quindi tramite rielaborazione formale – si pensi anche alle deformazioni vocali che hanno luogo nella comunicazione tra madre e neonato – le interazioni con il gruppo sociale di appartenenza. La moda è sia strumentale che finale, dunque, e il recupero della complessità antropologica del fare arte sarebbe tutt’altro che uno sconfinamento improprio.

È precisamente volta alla sottolineatura di questi aspetti la retrospettiva Fabula, ospitata all’Armani/Silos e dedicata al lavoro del fotografo Charles Fréger, con oltre duecentocinquanta immagini che esplorano il senso di appartenenza degli individui al proprio gruppo sociale, come base di un’identità che si struttura attraverso un linguaggio comune, quello di abiti, divise, maschere. Si inizi dalla serie dei nuotatori di pallanuoto (Water Polo), dell’anno 2000, alla più recente Mardi Gras Indians (2016), per poi passare attraverso i ritratti della squadra di pattinaggio sul ghiaccio finlandese (Steps), dei giovani lottatori di sumo (Rikishi), degli eserciti europei e delle loro uniformi di rappresentanza (Empire), dei soldati Sik (Sik Regiment of India) e degli elefanti di Jaipur (Painted Elephants), fino alla serie Wilder Mann e Yokainoshima, dedicate alle maschere tradizionali inserite in un contesto rurale.
Attraverso una serie di convenzioni gestuali immediatamente leggibili e una fissità espressiva e posturale quasi ipnotica, i soggetti ritratti da Frèger ricordano quel concentrato di energia e azione veicolato dai tableaux vivants, “quadri viventi” di lunga tradizione e particolarmente importanti durante il corso del Settecento. I colori bold danno ugualmente l’idea di un movimento congelato ma estremamente coreografico, in cui ciò che si vuole esprimere è sia particolare che universale: un indice antropologico, la maniera peculiare con cui l’uomo accede al proprio contesto sociale.

Ma che i codici vestamentari non rispondano solo ad un bisogno di conformità e invece abbiano a che fare con il desiderio contrario, relativo alla necessità di differenziarsi ed emanciparsi da condizioni troppo uniformanti, con relativa declinazione del discorso in senso (quasi) politico, lo sapeva bene Georg Simmel e lo sa bene Giorgio Armani, che ospita la mostra: la sua storia di stile inizia con una giacca da donna modellata su quella maschile, che diventa la divisa delle nuove donne in carriera bisognose di praticità. Come Coco Chanel prima, con l’invenzione del jersey e la predilezione per uno stile femminile confortevole e funzionale e Yves Saint Laurent poi, che trasforma il tailleur pantalone nel primo completo smoking da donna, ecco che la moda diventa rivoluzione, intima fusione, come più specificamente l’arte, di libertà e necessità, forma e sostanza, mezzo e fine.

Info:

Fabula di Charles Fréger
Armani/Silos
via Bergognone 40
Dal 12 gennaio 2019 al 24 marzo 2019 Da martedì a domenica 10 – 18.

Fabula

Per tutte le immagini: Veduta delle installazioni di “Fabula” di Charles Fréger. Armani/Silos, Milano 2019. Courtesy of Giorgio Armani.


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