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Flavio De Marco Philippe Hurteau. Schermorama

Flavio De Marco Philippe Hurteau. Schermorama

L’onnipresenza dei dispositivi di visualizzazione di immagini telematiche e l’instabilità dei dati visivi veicolati dai pixel hanno radicalmente cambiato negli ultimi vent’anni i nostri parametri di percezione della realtà. Se la finestra albertiana sembra essersi definitivamente convertita in schermo e monitor, trasformando l’oggetto della visione in un mutevole orizzonte mentale in cui vagare senza meta, anche molti artisti hanno rinegoziato il proprio rapporto con la pittura alla luce di questi radicali cambiamenti dello statuto dell’immagine.

La mostra Schermorama attualmente in corso alla Galleria Studio G7 si interroga su queste problematiche mettendo a confronto l’opera di Philippe Hurteau e Flavio De Marco, due artisti di età e background differenti, accomunati dall’interesse per l’estetica dello schermo digitale interpretato come nuova matrice di stilemi pittorici. L’obiettivo di entrambi è creare un cortocircuito semantico tra i codici standardizzati dell’interfaccia informatica (che nelle loro infinite combinazioni possono arrivare a generare il caos) e il vocabolario segnico e cromatico della pittura, nato per decantare sulla tela un’immagine immobile ma aperta a innumerevoli letture soggettive. La loro ricerca, come sottolinea il testo critico di Francesco Poli, “istituisce un’analogia di fondo fra il quadro-finestra di cui parla Leon Battista Alberti (che aveva definito le condizioni di una nuova visione prospettica del mondo) con lo schermo rettangolare del computer” per riconsiderare criticamente l’ingerenza dei nuovi simboli dell’iconografia digitale nel nostro immaginario collettivo. Per questo entrambi inseriscono nei loro dipinti schemi grafici, effetti cromatici, icone, barre di comando ed altri ricorrenti elementi iconici prelevati dallo spazio virtuale telematico per riassorbirli e risemantizzarli attraverso il processo pittorico. A questo modo la superficie dipinta si trasforma in uno spazio di riflessione estetica e critica che enfatizza la difformità tra l’immagine virtuale e gli algoritmi che ne consentono la visualizzazione per sottolinearne la natura convenzionale dichiarando al tempo stesso la loro imprescindibilità nella cultura visiva odierna.

I quadri di Hurteau, appartenenti alla serie Abscreen che l’artista porta avanti dagli anni ’90, presentano astratte campiture di colore che trattengono l’impronta del gesto che le ha generate e delle setole del pennello che talvolta sembrano quasi inciderne la superficie. La densa profondità materica del colore e la sua umorale varietà di stesure e andamenti viene messa in discussione dall’emergere di porzioni regolari del supporto pittorico lasciato a vista che individuano le sagome ingigantite dei tipici simboli che compaiono sugli schermi dei computer, come barre di comando, finestre o freccette di avvio dei file multimediali. Queste silhouettes geometriche, che condividono il piano pittorico con il colore senza essere intaccate dal suo tempo e dal suo spazio, svelano il fondo specchiante dei dipinti e riflettono le imprevedibili immagini della vita reale che si svolge di fronte ad essi. Il contrasto tra questi due sistemi visivi e concettuali apparentemente irrelati mette in scena una sfida tra le potenzialità immaginifiche della pittura (intrinsecamente legate alla fisicità dei suoi materiali e dei gesti che li plasmano) e la neutralità emozionale delle fascinazioni digitali per riaffermare l’orgogliosa resistenza dei valori umanistici contro l’automatizzazione dello sguardo. Il gioco si fa ancora più esplicito nella serie Refresh Window che propone una sequenza di tele rovesciate con il telaio rivolto verso l’esterno su cui si sovrappongono con varie sfasature dimensionali e di posizione dipinti astratti che rimandano allo schermo digitale. Il lavoro, ideale continuazione della riflessione analitica sull’autoreferenzialità della pittura innescata da Duchamp all’inizio del Novecento, sembra postulare (o auspicare) la definitiva incorporazione e sottomissione dell’immagine virtuale nella sfera d’azione dell’arte umana vanificando le supposte velleità di autodeterminazione del digitale.

De Marco affronta invece il problema del rapporto uomo/natura in relazione ai radicali mutamenti percettivi innescati dalla multimedialità, indagando lo sguardo storicizzato dell’uomo occidentale contemporaneo che si approccia al mondo esterno anche attraverso il filtro mentale dei suoi stereotipi stratificati. I suoi Paesaggi riproducono videate informatiche defunzionalizzate, vedute tratte da immagini pubblicitarie di viaggi o da celebri quadri di differenti epoche e stili che trasformano il luogo dell’artificio nello spazio mentale entro il quale l’artista sceglie di abitare e progettare il suo linguaggio. I panorami che l’artista ritrae non vengono rappresentati in modo diretto ma sono pretesti di sperimentazione linguistica attraverso i quali verifica le possibilità del suo alfabeto di segni di accrescere il repertorio iconografico della pittura inteso come archivio-software da cui attingere. L’intento non è esibire le diverse declinazioni della pittura come processualità, ma interrogarsi sul significato del nostro vedere e sulla frammentazione del nostro immaginario sempre più plasmato dai canoni della simultaneità e della parzialità. Il paradosso della contraddizione tra la libertà della finzione e lo sguardo spersonalizzato che produce emerge come inevitabile interferenza della casualità che in pittura riesce a penetrare anche nella composizione più rigorosa. Così nei Paesaggi il montaggio di tipologie sembra voler accogliere l’imponderabile dei mezzi pittorici, invitando segretamente l’osservatore soffermarsi sul percorso delle pennellate e sull’irripetibilità dei tratti che compongono l’immagine.

Info:

Flavio De Marco Philippe Hurteau. Schermorama.
6 ottobre – 8 dicembre 2018
Studio G7
Via Val D’Aposa 4/A

Philippe Hurteau, Abscreen 89 (Vague), 2014, olio e alchidi su specchio acrilico, cm 50×80

Philippe Hurteau, Refresh Window 6, 2018, olio su Dibond , telaio, tela, cm 37×60

Flavio De Marco, Paesaggio, 2016, acrilico su tela, cm 50×70

Flavio De Marco, Paesaggio, 2018, acrilico e spray su tela, cm 30×40


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