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Giovanni De Gara. Uno, nessuno … centomila

Giovanni De Gara. Uno, nessuno … centomila

In occasione della Serata d’Autore per Artelibro 2014 la Galleria Spazio Testoni di Bologna ha inaugurato Uno, nessuno … centomila, personale dell’artista fiorentino Giovanni de Gara che presenta una selezione di progetti artistici realizzati negli ultimi anni. Irriverente, drammatico, cinico, ammiccante e disperatamente critico, il suo lavoro è assimilabile a una sorta di architettura metonimica e additiva che invita lo spettatore ad avventurarsi in un labirinto di ragionamenti dove incredibilmente l’uscita coincide sempre con un nuovo possibile punto di partenza.

Ogni stanza della mostra è un laboratorio in cui le conseguenze di un’idea si dilatano nello spazio assecondando gli imprevedibili sviluppi di un’iperbolica catena consequenziale che allinea paradossi e metafore con ferrea logica induttiva. La vertigine di senso che ne deriva è eclatante come certi aspetti dell’espansione economica, sociale e culturale dell’uomo globalizzato che de Gara finge di accogliere con entusiasmo nel suo universo creativo. Pittura, installazione, video e performance contribuiscono a creare una realtà giocosa e assurda ma profondamente inquietante per la sotterranea identità di funzionamento con la nostra quotidianità amplificata dall’informazione massmediatica. Nel video Ri-usciremo a vedere le stelle, ad esempio, l’artista mette in scena se stesso come presentatore nella surreale asta televisiva del capolavoro dell’immaginario pittore Remo Castello, nato negli anni ’30 da padre futurista con amante dadaista. Un anonimo dipinto raffigurante un ciliegio in fiore al centro di un cortile circondato da case diventa pretesto per un metafisico fraseggio che attraversa gli stereotipi della storia dell’arte più recente fino ad affrontare le eterne domande della civiltà occidentale: L’Uomo c’è sempre stato? È nato prima l’uovo o la gallina? Chi ha veramente costruito le piramidi in Egitto? Gli alberi dell’Ikea sono fatti dall’uomo o crescono da soli? “Le risposte attendono le nostre domande” afferma l’alter ego dell’artista interrogandosi sulle sorti del mondo postatomico e presentando al tempo stesso l’essenza del procedimento creativo di Giovanni de Gara: le ragioni dell’arte sono profonde se connesse con la vita e ogni sua manifestazione è lecita se le aporie del mondo reale provocano disorientamenti di gran lunga più radicali.

Così il disastro ambientale causato dall’esplosione di una piattaforma petrolifera della British Petroleum nel Golfo del Messico fa nascere il ciclo Looking for the Pope, viaggio escatologico di una geisha in cerca del Papa che finirà per trovare nel petrolio della BP il Black Pope profeticamente destinato a precedere con il suo regno la fine del mondo. Pochi tratti in punta di pennello evocano la delicata figurina in kimono che passeggia sui desolati scenari dell’estinzione dell’Occidente: campi da calcio ribaltati in assonometria dove l’area di rigore diventa tempio e solitari paesaggi di maniera acquistati ai mercatini antiquari in cui l’artista ha asfaltato ogni sentiero. Con caustica innocenza de Gara individua così i segni della nostra civiltà in una visionaria apocalissi che eterna monumenti di banalità culturale, lasciando eloquentemente sospeso ogni giudizio. Il confine tra l’arte e la sua mistificazione può essere molto sottile: l’asfaltatura di un quadro altrui lo proietta ostentatamente nella contemporaneità e la linea tracciata con il gesso che delimita le due corsie si carica metaforicamente della precarietà dell’esistenza perché è letteralmente destinata a scomparire.

Un consesso di scimmioni si ritrova su un campo da calcio dove è caduto un cocomero e quando casualmente verrà usato come pallone si riattiverà il processo evolutivo interrotto dall’autodistruzione umana. In attesa di questo l’artista si può concedere una lunga pausa verde per dipingere riquadri modulari componibili come se fossero tappezzerie in cui la decorazione floreale diventa morbosamente lussureggiante. Ambigua e piacevole la figurazione sembra risorgere dal proprio azzeramento per avvolgere un’ossessione: il campo da calcio abbandonato-teatro di morte idealmente celato dai virgulti che l’interruzione della civiltà ha permesso di crescere. Le idee nell’immaginario di Giovanni de Gara lavorano come tarli che scavando nelle pieghe dell’evidenza costruiscono architetture di pensiero in delicato equilibrio tra poesia e disillusione: La vera storia di un albero diventa quindi una serie di libri di legno tradotti in più lingue che ambiscono ad una tiratura da best seller, mentre la vendita di Sassi al kilo in contenitori di vetro firmati è legittimata dal fatto che la società consumistica ha trasformato lo zen in un bene di lusso.

Dalla moltiplicazione del modulo alla libera proliferazione, la mostra si conclude con una stanza dedicata al progetto Let Me Write, un’intricata narrazione di segni in bianco e nero che dopo aver rivestito le pareti si espandono nello spazio virtuale di una videoproiezione. Attraverso la lucidità della sua scrittura automatica che alterna il vuoto all’horror vacui, l’artista crea un immenso palinsesto animato da sciami di personaggi in continua metamorfosi. Mappa utopica dei luoghi comuni e della follia dell’essere al mondo e forse trasposizione analogica dell’informazione globalizzata che pervade la nostra epoca, l’epopea del segno che de Gara porta avanti dal 2008 beffardamente non disdegna i suoi inevitabili esiti decorativi. Senza soluzione di continuità il disegno trapassa infatti dalla parete alle lampade a sfera posate a terra dichiarandosi disponibile ad adattarsi a qualsiasi superficie e, in ultima istanza, anche ad essere venduto a metro.

Giovanni de Gara

Giovanni de Gara, Uno, nessuno … centomila, installation view

Giovanni de Gara, Uno, nessuno … centomila, installation view

Giovanni de Gara, Uno, nessuno … centomila, installation view


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