In conversazione con Boris Brollo

Dal brodo primordiale alla provincia veneta: anche questo è un percorso possibile. Ma il Veneto non è solo Venezia, con la Biennale (un’istituzione che dopo gli anni bui seguiti al 1968 è diventata una vera dogaressa di livello internazionale), o con Punta della Dogana (il potere di estasiare con opere di dimensioni incredibili esposte in spazi adeguati, spesso di autori che appartengono ai margini del mondo occidentale): il Veneto è fatto anche da gallerie private che agiscono in sinergia con il mercato (si veda Studio La Città di Verona e Michela Rizzo, a Venezia, giusto per fare due esempi) e da una miriade di associazioni culturali e di uomini di buona volontà che agiscono nei rivoli di una diffusione microscopica e magmatica.

Con Boris Brollo, di precise origini venete, parliamo della sua vicenda personale e del suo stare nel sistema dell’arte, oggi, nel periodo dell’epidemia di Covid-19.

Il tuo percorso nel mondo dell’arte inizia negli anni ‘80, con la Crossing. In quello spazio, nel centro storico della città di Portogruaro e a pochi passi dall’Osteria “I 3 scalini”, hai fatto mostre di autori come Claudio Massini, Pierluigi Pusole, Ernesto Jannini, Piero Gilardi, Bartolomeo Migliore, Joan Descarga, Ferruccio D’Angelo… Ci dici qualcosa di quegli anni?
La mia esperienza artistica si ricollega alla mia formazione socio-politica: prima studente dai preti poi giovane comunista immigrato a Milano nel 1961. Studi serali di arte e poi un diploma conseguito all’Accademia di Venezia con i maestri Bruno Saetti e Carmelo Zotti. Pertanto niente di più logico che aprire una cooperativa Lab/Arte. Da lì dopo una decina d’anni sono passato alla Crossing di Portogruaro: un gruppo di sostenitori con Antonio D’Alisa in veste di Presidente e io nel ruolo di direttore artistico. Primi viaggi a Barcellona, dove conobbi Brossa, Barcelò, Descarga e portai la mostra Barcelona Artificial Pintore a Malo, alla Casabianca di Giobatta Meneguzzo, nel 1986. Già avevo  fatto Kaos, dall’Alfa all’Omega con Grazia Terribile (1985). Poi i tedeschi della D.D.R. a Montagnana (PD), grazie alla Galleria Piccinini di Cortina con I Prolegomeni, occhieggiando a Goethe, e con un testo di Günter Grass (1987). Nel 1988, ad Auronzo, feci, con la collaborazione di Flaminio Da Deppo, Koinè a Nordest con Giardini, Massini, Jannini, Astore, Ragalzi e lo storico Federico Chiecchi. Poi, Grenzgänger: un ciclo di mostre scambio con Aldemar Schiffkorn responsabile per il Governo dell’Alta Austria (1990). Queste esperienze erano alla base di Crossing, associazione con cui mi tuffai a fare il talent scout di molti giovani artisti come Walter Bortolossi, Carmine Calvanese, Silvano Tessarollo, Vinicio Momoli, Reinhold Rebhandl, Harald Gsaller, giusto per fare alcuni nomi. Importante per la mia formazione sul campo dell’arte fu l’amicizia con Berto Morucchio critico veneziano di Guidi e Arturo Martini, amico di Tancredi, e che dal 1962 al 1966 fu segretario del Premio Marzotto, sotto la presidenza di Pierre Restany. Allo scadere del 151° anno dalla fondazione della Marzotto il conte Paolo mi dette l’opportunità di seguire e curare assieme all’architetto Flavio Albanese e alla critica Virginia Baradel una mostra storica di quel Premio che fu una immersione nella pittura Belga, Francese, ed Europea degli anni Cinquanta e Sessanta.

Molto affascinante fu il fascicolo “Amazonas” da te concepito nel 1989 e uscito nel 1990, con le foto degli indios Guaranì del missionario Don Grossa, messe in relazione con autori del calibro di Baselitz, Paladino, Beuys… Nello stesso fascicolo facesti ripubblicare il manifesto sull’Integralismo Naturale (1979) di Pierre Restany.  Un’operazione che di certo anticipò una certa fenomenologia antropologica, dato che la Cina era ancora lontana dal pensiero centralizzato del collezionista europeo e Magiciens de la Terre (1989) era appena stata concepita.
Come soleva dire Warhol l’idea è nell’aria. Jean-Hubert Martin era da tre anni che girava il mondo per mettere insieme gli artisti di Magiciens de la Terre, ma Restany aveva già posto il problema con lo Shock Amazzonico facendo quaranta giorni in barca senza strumenti tecnologici e andando da Manaus sino a Rio Grande, uscendone sconvolto e riproponendo un nuovo rapporto con la Natura Naturale e non plasmata dalla rivoluzione industriale. Così si avviava un pensiero nuovo, pre-ecologico, che guardava alla mente e al mutamento dello spirito artistico. Un mutamento di pensiero porta a un rispetto della Natura, e su questo l’arte poteva benissimo dare una mano. Quindi, quando feci Amazonas, non poteva mancare Restany che era stato contattato dal compianto amico Tiziano Santi. In seguito, con Tiziano Santi si produsse, a ridosso della Biennale del 1993 di Achille Bonito Oliva, un opuscolo che raccoglieva una selezione delle opinioni della critica internazionale sulla mostra e questo per sconfessare gli attacchi di “Flash Art” ai contenuti della mostra.

In seguito tu hai avviato dei sotterranei duetti con Giancarlo Politi e poi da questi scambi ne hai tratto un libro. Ci dici qualche parola su questo strano progetto?
In quegli anni avevo adottato lo slogan verde: “Pensa globalmente e agisci localmente!” Così rileggevo l’arte. E trovai alcune risposte nella Rubrica delle lettere di Giancarlo Politi in Flash Art. Ovviamente, dapprima volevo misurarmi e quindi inviai le lettere in maniera anonima e con pseudonimo. Alla fine, un giorno, nella sede di Flash Art a Milano nel contrattare una inserzione pubblicitaria mi rivelai e continuai a scrivergli per tutti gli anni Novanta. Giancarlo ha sempre pubblicato e risposto anche in maniera forte. Per me è stata una palestra e ho visto pubblicate venticinque lettere. In seguito le ho raccolte in un libretto e Giancarlo Politi mi onora ancora della sua amicizia.

E dei tuoi rapporti con Achille Bonito Oliva?
Con Tiziano Santi ed Ennio Bianco curai una serie di mostre sul territorio (Malo, San Donà e Castelfranco) che dovevano essere preparatorie a una mostra legata alla Biennale di Achille. Si intitolavano tutte “1 X 1”, cioè un critico presentava un artista, e all’inaugurazione furono tutte onorate dalla presenza di Achille Bonito Oliva. Poi lo chiamai per la 7° Biennale di Sharjah degli Emirati Arabi, curata dal palestinese Jack Persekjan, dove Achille scrisse un testo per il catalogo con me e Kamal Boullata.

Il Triveneto è una realtà territoriale zeppa di collezionisti: ci puoi fare un “ritratto” o dare una definizione di questa realtà?
Nel Triveneto ci sono grandi collezionisti, ma penso pure che si sono stati grandi “motori di ricerca”, come il Premio Marzotto che vide la partecipazione dei più grandi artisti del Gruppo Cobra, dell’Informale Francese e del Nouveau Réalisme. Sempre grazie al Premio Marzotto, gli artisti inglesi, capitanati da Norman Rosenthal, approdarono nel vicentino. Tutto questo dette poi vita alla Casabianca di Malo. Lo stesso vale per la galleria veronese di Enzo Ferrari che propose Manzoni e Yves Klein col contributo di Guido Le Noci di Milano. Dopo, venne Francesco Conz con il Wiener Aktionismus col quale lavorai due anni. Prima ancora negli anni Cinquanta a Venezia vi fu dal 1948 la Peggy Guggenheim, ma accanto il Naviglio di Renato Cardazzo con Sam Francis, Lucio Fontana, Georges Mathieu. Il Circolo fotografico La Gondola degli anni Cinquanta con Ferruccio Leiss fu tra i primi a esporre fotografia. Pertanto, oggi, non c’è dubbio che gallerie come Marina Bastianello di Mestre e Michela Rizzo di Venezia facciano un lavoro per davvero ragguardevole.

Perciò possiamo affermare che le gallerie private del Triveneto sono all’altezza di questa realtà così articolata e diffusa?
Il mondo dell’arte è cambiato e non esiste più un forte legame con il territorio. Tutto si svolge al di sopra di noi e i posti sono già assegnati. In occasione di un suo 25° anniversario la Taschen, nel 2009, pubblicò la lista dei 100 Artisti Contemporanei e gli artisti italiani non arrivavano nemmeno a dieci.

Attualmente sei direttore pro-tempore della Galleria comunale Ai Molini di Portogruaro e del M.A.C.A. di Acri (CS). Ci parli di alcuniprogetti futuri che hai in piedi con l’Ente pubblico?
Difficile parlare del futuro perché a breve ci saranno le elezioni e come ben sai nel nostro Paese tutto torna ai blocchi di partenza. Posso ricordare che, alla maniera dei FRAC francesi, a Portogruaro, per conto del Comune, ho messo da poco in piedi SPACE. La struttura (una scuola dismessa di Lugugnana) si trova sulla strada detta la Triestina Bassa che va da Jesolo verso Trieste, e ospita le opere di circa centocinquanta artisti, e una Galleria Permanente dedicata al concittadino futurista Luigi Russolo.

Nei tempi del Covid hai incontrato difficoltà a gestire questi progetti?
Ho avuto più tempo per pensare alla inutilità di tante cose e alla nostra fragilità. E questo alla luce di una mostra prossima che, assieme ad Alessandro Maganza, firmerò per il Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro dedicata a Fausto Delle Chiaie, un pittore che mette in mostra ogni giorno nei pressi dell’Ara Pacis, a Roma, un proprio museo personale riciclando gli scarti di tutti i tipi.

E con la Biennale di Venezia hai in piedi qualche progetto?
La Biennale di Architettura che si doveva tenere quest’anno è stata rimandata per via dell’epidemia al prossimo anno. Come Evento Collaterale, assieme a Lucia Tomasi, Cesare Serafino e Giancarlo Caneva, si organizzerà Senza Terra/Pomerio la zona sacra del vivere civile, con la partecipazione di quarantacinque artisti. Mi fa piacere anche ricordare il progetto del 2016 quando organizzai il primo Senza Terra all’Isola di San Servolo, dove una panchina e un pallone aerostatico segnavano un punto di raccolta per qualsiasi essere umano avesse avuto bisogno di sostare, parlare, sentirsi comunità. 

Boris Brollo (a dx) con il gallerista francese Patrick BedoutBoris Brollo (a dx) con il gallerista francese Patrick Bedout

Mostra ai Mulini di Portogruaro: Biagio Pancino, Biblioteche 1985-2018, ph courtesy Comune di Portogruaro

Vista esterna di SPACE Mazzini di Lugugnana, con in primo piano la scultura di Andrea Vizzini, ph courtesy Comune di Portogruaro

Senza terra, San Servolo, evento collaterale alla Biennale Architettura del 2016, ph di Mireya

Boris Brollo (a dx) con Artan Shabani, direttore della Galleria nazionale di Tirana (2015)


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