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Massimo Barzagli: dialogo a distanza

Massimo Barzagli: dialogo a distanza

Massimo Barzagli è nato a Marradi (FI) nel 1960 e si afferma nel 1990, con la personale alla mitica Galleria L’Attico di Roma, presentata da Maurizio Calvesi. Poi le cose vanno veloci: le sue opere iniziano a viaggiare per musei e gallerie private: Kunstmuseum Bochum, Centro Luigi Pecci di Prato, Museo Civico di Reggio Emilia, Villa delle Rose a Bologna, Ludwig forum Aachen. Il suo lavoro è caratterizzato dall’impronta, cioè da un’imprimitura che a prima vista può richiamare il lavoro delle “Anthropométrie de l’époque bleue” di Yves Klein, su cui sicuramente l’autore ha ragionato e tratto considerazioni di natura linguistica e materica, ma dalle quali se ne distacca per la varietà dei soggetti e dei supporti, oltre che per quel senso di approccio site specific che lascia cadere per strada qualsiasi tentativo di provocazione o di schiaffo al pensiero pigro della buona borghesia. Del suo lavoro e del suo percorso ne parliamo con l’autore, proprio ora che la sua installazione sul ciclo dei fiori (“Impronte di fiori su lastre di vetro / Fiorile” 1993) ha trovato un gioco di sponda con i “Flowers” di Andy Warhol (blog di Leo Castelli Gallery, New York) e ospitalità definitiva al Centro Luigi Pecci di Prato, grazie al comodato a lungo termine offerto da Fabio Sargentini.

Caro Massimo, se tu non dovessi vivere a Torino dove ti piacerebbe abitare?

Firenze e New York sono le città che conosco meglio. Torino mi piace senz’altro, ma ci vivo solo da due anni e non la conosco ancora benissimo.

In quale modo ti concentri sulle immagini da cui parti per produrre questo tuo mondo di sovrimpressioni e riflessioni sulla caducità e sulla precarietà?
Credo di seguire un procedimento evolutivo: talvolta sono guidato dalle immagini altre volte semplicemente dal modo, dalla fluidità, dall’impatto. Variano molto i procedimenti; quando dipingo figure umane adotto la strategia veloce della pittura a fresco, perché la pittura ad acqua asciuga presto e sui corpi vestiti accelera ancora di più l’essiccamento. Quando ho dipinto le piogge (ciclo Rain Paintings) ho adottato procedimenti espressionisti astratti: i monocromi sono molto radicali, molto opachi e assorbenti, adatti a ricevere le scariche dei cordini intrisi di olio (Philadelphia rain).

Hai trattato fiori, corpi di animali, sagome di oggetti e di persone… molte volte cambia il supporto e talvolta questo tuo mondo diventa un allestimento globale e site specific… come dire: sei flessibile e sei disposto a regolarti in base allo spazio che ti viene messo a disposizione?
Mi sembra che lo spazio mi sia concesso dalla storia dell’arte, quello fisico è poi consequenziale. Comunque sì, sono sufficientemente flessibile. Ho fatto mostre in Acquari Marini, a Genova all’Orto Botanico, a Reggio Emilia al Museo Antropologico, e quando ebbi la residenza al Kunst Museum di Bonn chiesi ospitalità al Museo di Storia Naturale. Mi è anche capitato di portare il lavoro di pittura nei teatri o nei festival di danza contemporanea, alla Biennale del Mediterraneo a San Paolo ho esposto Fiorile, al Seoul Institute of the Arts mi hanno chiamato per una stazione di Save Our Flowers, altre stazioni sono state partecipate anche in unità sanitarie come Dynamo Camp o all’Ospedale di Sant’Anna a Torino, fino all’audio installazione all’Arsenale di Venezia in occasione di “Mondo Italia”, padiglione curato da Rem Koolhaas durante la sua Biennale di Architettura. (Muratori – 2014/2018 – Massimo Barzagli -ciao- Galleria Alessandro Bagnai)

Ci puoi indicare un autore o più autori che ritieni importanti per la tua formazione artistica?
Ritengo che per la mia formazione artistica sia stato fondamentale studiare e rimanga fondamentale continuare a studiare. Ho iniziato la mia formazione all’Istituto Statale d’Arte per la ceramica di Faenza, sono entrato nei laboratori di Restauro delle Soprintendenze, per specializzarmi, durante i miei studi all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel frattempo frequentavo assiduamente i musei europei; poi l’ingresso in Galleria all’Attico è stato il passo successivo.

Il tuo percorso più significativo inizia nel 1990 con una grande mostra a Roma, proprio presso la mitica Galleria L’Attico di Fabio Sargentini: che cosa ami ricordare di quegli anni e come li rapporti con il presente?
Durante la prima visita di Fabio Sargentini al mio studio ovviamente ero molto nervoso: si aggirò silenzioso tra le opere per molto tempo, poi si sedette e mi chiese una penna, fu allora che ruppe il silenzio e mi disse: “Puoi dire ufficialmente di avere un rapporto di esclusiva con la Galleria L’Attico di Fabio Sargentini”. Ricordo bene a New York la reazione nel sistema dell’Arte quando dicevo di lavorare con Sargentini. Per esempio, Trisha Brown, nel Building di Michail Baryšnikov, mi parlò con nostalgia di Fabio e del Garage, e mi disse che erano stati anni indimenticabili quelli di via Beccaria. Ancora un ricordo: ero in campagna da Fabio, in Umbria, stavamo progettando L’erba Voglio; Fabio sedeva su un muretto a secco, io di fronte a lui ero sdraiato nell’erba rosicchiando qualche stelo come facevo nelle praterie da bambino, mi guardò e mi disse che in quel momento aveva capito che ero un “pittore sincero”, altre volte ripeteva spesso che ero un “pittore stagionale”perché non potevo dipingere rami in inverno. Alla Biennale del 1990 Leo Castelli e Fabio si incontrarono e si abbracciarono. Fabio, con modalità forte disse “Leo, sei il Papa dell’Arte Moderna”, Castelli rispose: “E tu sei il Cardinale”. Il tempo dell’arte è un tempo in stallo, Quando dipingevo prati negli anni Novanta Fabio mi disse che avrei dipinto sempre i prati. Oggi nel 2020, a Torino, sto dipingendo prati.

Poi, dal 1992, hai avviato un solido rapporto di lavoro con la Galleria di Alessandro Bagnai, tanto che ci hai fatto sei personali e ancora adesso la tua collaborazione continua, dato che si è da poco conclusa la collettiva alla quale hai preso parte: “Present Perfect”…
Quando ci incontrammo Alessandro era un giovane gallerista, molto stimato da Sperone e da Sargentini. Credo di avere fatto con lui le mie mostre più difficili. Per esempio quando stavo installando la personale “Mai Home” nella sua galleria (Firenze, via Maggio) venne in visita Bruno Bischofberger. Di fronte alle opere – impressioni luminose su carta fotografica – mi chiese il procedimento, gli risposi che era tutto casuale. Dissi la stessa cosa a New York in Galleria da Castelli, allo staff di Gagosian.

Che cosa stai progettando per il 2021?
Spererei dal 2021 di poter tornare a studiare a New York per alcuni mesi.

Massimo Barzagli, Cielo a pecorelle, 1990. Bustine di plastica su tela, cm 200 x 400. Ph. Carlo FeiMassimo Barzagli, Cielo a pecorelle, 1990. Bustine di plastica su tela, cm 200 x 400. Ph. Carlo Fei

Massimo BarzagliMassimo Barzagli, Benvenuto, 2010. Impronta di corpo umano vestito e dipinto e acrilico su tela, cm 200 x 280. La spinta di Marea, 2002. Impronta di pescespada dipinto a smalto su tela plastificata, cm 800 x 800. Ph. Carlo Gianni, courtesy Galleria Bagnai, Firenze. Documentazione fotografica al Centro Pecci Prato

Massimo Barzagli, Philadelphia’s rain, 1990-2010. Olio su acrilico su tela, cm 200 x 300 cad. Collezione privata. Ph. Carlo Gianni, documentazione fotografica al Centro Pecci Prato

Massimo Barzagli, Save Our Flowers Siria, 2010. Performance con bambini siriani e impronte di colore su due tele presso Dynamo Camp, San Marcello Pistoiese. Ph. Andrea Alfieri, courtesy Dinamo Camp

Massimo Barzagli, Impressione di prato, 1990. Impronta di prato dipinto a olio su tela, cm 300 x 600. Ph. Carlo Gianni, courtesy Galleria L’Attico, Roma documentazione fotografica al Centro Pecci, Prato


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