Piero Gilardi: siamo natura

Non si può parlare del lavoro di Piero Gilardi senza partire dai suoi “tappeti-natura”, lavori dal forte accento cromatico e nei quali venivano declinate le infinite possibilità di un mondo artificiale nel segno del poliuretano espanso. In seguito la modalità della tecnologia interattiva si affiancherà all’uso di questo materiale palesemente antitradizionale (il passo dalla scultura scavata nella pietra a quella sagomata da un materiale di sintesi è senz’altro epocale e corrisponde a quella sperimentazione inesauribile di sempre nuove ricerche espressive, propria degli anni Settanta) senza per questo scendere a patti con un processo di  smaterializzazione. In tal modo l’oggetto estetico, nel lavoro di Piero, non ha mai perso di pregnanza, anzi ha sempre acquistato forza, permettendo al corpo plastico di far scaturire tutte le sue energie interiori; pensiamo al Banano danzante (esposto alla Galleria Toselli, a Milano, nel 1989, e ancora composto da sole parti meccanico/elettroniche), fino ad arrivare a Inverosimile (proposto nel 1990 a Volpaia e nel 1991 da Sperone-Westwater, a New York), vigna interattiva e profumata, corredata da effetti sono/visivi. La definizione di tappeto-natura viene usata dall’autore, per la prima volta, nel 1966, in una scheda di presentazione per la mostra da Sperone, a Torino, che così  scriveva: “Spero di poter riunire, un giorno, tutti i tappeti che sto realizzando, in un luogo largo e piano, racchiuso da una cupola informe e opalescente: in quell’ambiente rarefatto l’immagine di ogni tappeto comincerà a dilatarsi e deformarsi secondo un ritmo organico incomprensibile ma accettabile… L’effetto è di una natura artificiale in cui le sorprese e i misteri della natura vera stimolano il cervello ma si flettono elementarmente sotto i piedi”.

Vivi ancora questa speranza?
Ettore Sottsass diceva che i tappeti-natura erano un esorcismo contro la morte della natura causata dallo sfrenato sviluppo industrialista del dopoguerra. L’ossimoro di queste opere è che sono realizzate con un materiale industriale – il poliuretano espanso – che per me fu necessario per offrire al nostro corpo e al nostro tatto quella sensazione della natura immersiva. In sostanza i tappeti-natura sono delle opere interattive che accolgono il corpo. In seguito ho realizzato installazioni interattive utilizzando le tecnologie digitali, come ad esempio la vigna interattiva Inverosimile. Ho ancora la speranza che le tecnoscienze, usate nel modo appropriato, ci possono aiutare a salvare l’umanità dall’ecocidio incipiente.

Come vorresti, invece, definire la tua collocazione nell’attuale panorama artistico internazionale?
Mi sento parte delle arti ecologiche. Come sottolinea Paul Ardenne, le arti ambientaliste ci offrono oggi una galassia di pratiche artistiche differenti: da quelle di denuncia critica a quelle che delineano socialmente pratiche e stili di vita ecosostenibili.

Ritengo di poterti definire il motore primo del PAV di Torino. Mi puoi fare una breve nota di come e perché è stato fondato e di quali obiettivi oggi si pone?
Il PAV (Parco Arte Vivente, centro d’arte contemporanea Torino) è stato costruito e ora viene gestito da un gruppo di operatori culturali molto impegnati. Anche se mi consideri il “motorino” dell’equipe, va reso merito a chi come Enrico Bonanate, Orietta Brombin, Valentina Bonomonte e Giuliana Ponti si sono prodigati fin dall’inizio a far funzionare il PAV come museo pubblico all’aperto.

È indubbia la tua grande passione per l’impegno civile: direi che è una costante che ha accompagnato tutto il tuo lavoro di sperimentazione. Oggi, come coniughi tutto ciò all’interno del tuo lavoro artistico?
Oggi, l’obbiettivo del PAV è quello di sviluppare una coscienza ecologica allargata cogliendo tutta l’energia per il cambiamento che il movimento Friday for the future esprimerà. Oggi, la mia biopolitica consiste nel collaborare a tutti i movimenti della cittadinanza attiva, come il Comitato Acqua pubblica ed Extinction Rebellion per rendere più incisiva la comunicazione degli obbiettivi politici come la salvaguardia dell’ambiente e la democrazia di base.

Un politico ti invita a pensare a uno slogan per il futuro, che cosa ti senti di proporre?
Proporrei: “Il pianeta brucia. Salviamolo tutti insieme”.

A fine marzo del 2020 tu avrai una personale a Parigi. Ci puoi dare una breve nota di come pensi di portare avanti questo progetto?
La mostra che aprirò alla Galerie Michel Rein di Parigi, il prossimo 28 marzo 2020, sarà curata dalla critica francese Valérie Da Costa, profonda conoscitrice dell’arte italiana, che ha impostato questa mostra antologica (1966-2019) sia sulla mia ricerca nell’ambito del rapporto tra arte e natura, sia sul mio impegno attivistico nel contesto della creazione di una società alternativa a quella del neoliberismo globalizzato odierno.

Info:

www.fondazionecentrostudipierogilardi.org

Piero Gilardi, Manifestazione davanti alla  FIAT, Torino, 12/1/2011 (l’autore è al centro che sorregge la testa di pescecane), Archivio Fondazione Centro Studi Piero Gilardi, Torino

Piero Gilardi, Igloo, 1967, cm 200 x 200 x 130.  Ph François Fernandez, collezione Fondazione GilardiPiero Gilardi, Igloo, 1967, cm 200 x 200 x 130.  Ph François Fernandez, collezione Fondazione Gilardi

Piero Gilardi, Greto di torrente, 1967, poliuretano espanso,  cm 150 x 150 x 18, ph courtesy Galleria Michel Rein, Parigi

Piero Gilardi, O.G.M., 2014, intervento in occasione della mostra “Vegetation as a political agent”, ph Valentina Bonomonte, courtesy PAV, Torino

Piero Gilardi, teatralizzazione con danzatrice in occasione del vernissage della sua retrospettiva al Van Abbemuseum, Eindhoven, 8/9/2012, ph Peter Cox, courtesy Van AbbemuseumPiero Gilardi, teatralizzazione con danzatrice in occasione del vernissage della sua retrospettiva al Van Abbemuseum, Eindhoven, 8/9/2012, ph Peter Cox, courtesy Van Abbemuseum

Piero Gilardi, Manifestazione emergenza climatica, Torino 27/9/2019 (l’autore è il primo da sx), ph Pietro Perotti


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