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Sylvie Fleury: femminista punk sotto mentite spoglie

La mostra “Turn me on” di Sylvie Fleury alla Pinacoteca Agnelli di Torino, la più completa dell’artista svizzera proposta in Italia finora, introduce lo spettatore a un percorso espositivo pervaso dalla decostruzione dei simboli e delle immagini riguardanti il ruolo della donna nella nostra società. A uno sguardo superficiale l’allure pop che si respira fin dalla prima sala potrebbe fuorviare e, così come accadde a uno sprovveduto spettatore di una delle prime mostre di Fleury, far pensare: “Please, no more of that kind of stuff” (“Per favore basta con questo genere di cose”)! Questo fu il messaggio lasciato dall’ingenuo visitatore nel libro degli ospiti posto all’uscita della mostra in questione, poi interpretato in maniera creativa in una delle sale di questa esposizione, dove vengono mostrati una serie di oggetti inusuali e curiosi.

Sylvie Fleury, Tour me on – Please, no more of that kind of stuff, courtesy Pinacoteca Agnelli

All’interno di teche trasparenti, utilizzate solitamente per gli oggetti di grande valore o per le opere d’arte del medesimo livello, sono invece presenti stravaganti scarpe color argento vagamente fetish, un asciugacapelli dorato e un paio di manette, anch’esse dorate, marchiate Gucci, tutti oggetti di standardizzazione dell’ideale classico della femminilità e del consumo. Concetti già sottolineati dal titolo della mostra “Turn me on” che ci introduce immediatamente nel dicotomico incedere “donne e motori”, con il duplice e sottinteso riferimento all’accensione dell’auto da un lato e all’erotismo dal lato opposto. Sylvie Fleury con i suoi messaggi allusivi crea una sorta di cadavres exquis, un filo conduttore che percorre tutta la sua semantica artistica, sempre rivolta allo stesso scopo: eludere i luoghi comuni e gli stereotipi in cui la società vuol imbrigliare la donna.

Sylvie Fleury, Tour me on – Please, no more of that kind of stuff, courtesy Pinacoteca Agnelli

L’artista, nel perseguire la sua finalità attraverso l’appropriazionismo come linguaggio primario oltre che elemento distintivo della Pop Art a cui si ispira, è predittiva nel suo ruolo decostruttivista, aprendo la via a una nuova immagine femminista della donna, già indicata dall’esordio della sua carriera, ma recepita dal pubblico solo da pochi anni. Attraverso lo street fashion e il vintage, infatti, si costruisce una narrazione completamente differente dei pezzi iconici delle marche più à la page, che spesso vengono interpretati con ironia da chi li indossa, demolendo l’allure sacra che tali beni avevano in passato. Evidentemente il riferimento a tali prodotti di consumo, al valore da essi rappresentato per le donne e a quello che la società attribuisce loro è un altro dei topics della poetica dell’artista, maturata durante i suoi esordi nel campo della moda, anche come assistente di Richard Avedon.

Sylvie Fleury, Tour me on – Be good, be bad, just be!, courtesy Pinacoteca Agnelli

L’enfatizzazione di tali simboli femminili, come la decolletè con il tacco a spillo, iconografico simbolo di femminilità di tutti i tempi, viene quindi figurativamente brandita dall’artista nel video “Walking on Carl Andre”, trasmesso in una delle sale, in cui si vedono alcune donne camminare sugli Squares, le opere da pavimento che resero celebre lo scultore. Un gesto semplice quanto distruttivo, tanto che i video vennero girati da Fleury in collezioni private, dopo che un museo in Germania le aveva vietato l’autorizzazione di filmarli nella mostra in corso, creando così opere d’arte di proprietà di privati, assolutamente fuori dal controllo dell’artista stessa. Le sue installazioni, caratterizzate dall’apparente semplicità e dai colori accattivanti, celano sempre una profonda dicotomia tra il divenire donna (come diceva Simone De Beauvoir “non si nasce donna, si diventa”) attraverso un percorso spirituale e l’immagine distorta che a società invece sovrappone alla figura femminile. In quest’ottica si delinea l’installazione “Be good, Be bad, Just be!”, la riproduzione di una grotta il cui passaggio all’interno forgia la personalità di colei che la percorre, con un messaggio, quello del titolo, che spinge alla consapevolezza del sé, indipendente da come si è.

Sylvie Fleury, Tour me on – Please, no more of that kind of stuff, courtesy Pinacoteca Agnelli

La critica dell’artista, tuttavia, non è solo rivolta verso la decostruzione dei simboli che la società attribuisce alla donna, ma anche e soprattutto alla demolizione della figura del maschio bianco, che ricopre un ruolo standardizzato con il suo pensiero dominante. Da qui deriva l’installazione “The eternal wow” dove un pattern a righe particolarmente accattivante, elemento di decorazione di una parte della stanza, che richiama esplicitamente l’opera dell’artista concettuale Daniel Buren, viene reinterpretato rompendo la geometrica verticalità, come simbolo di ribellione all’opera d’arte di riferimento. Si configura così un gesto di scherno palese verso un’arte, quella minimalista, primario appannaggio degli uomini, in cui la donna assume ora un ruolo attivo, e non più delegato, tale da reinterpretare essa stessa i canoni di comunicazione da loro stabiliti.

Sylvie Fleury, Tour me on – Please, no more of that kind of stuff, courtesy Pinacoteca Agnelli

In definitiva le opere di Fleury orientate alla decostruzione e demolizione di una serie di simboli (come le auto, le opere d’arte appartenenti a correnti prevalentemente appannaggio maschile e i beni di consumo afferenti alla sfera femminile) più bramati dal pubblico di massa, introducono un messaggio intrinseco nella narrazione artistica che spinge lo spettatore ad andare oltre i messaggi espliciti e a  riflettere su ciò che essi rappresentano, anche come elemento per combattere la manipolazione della figura della donna nell’immaginario comune.

Info:

Sylvie Fleury. Tour me on
Pinacoteca Agnelli
Via Nizza, 230 Torino
fino al 15/01/2022


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