READING

Works for a Cosmic Feeling. La patafisica fotograf...

Works for a Cosmic Feeling. La patafisica fotografica di Fabio Barile da Matèria

Nel 1915 il poeta Guillaume Apollinaire avanzò domanda di fidanzamento, che fu ben accettata, all’amata Madeleine Pagès con una poesia intitolata Fotografia dove, celebrando la sua bellezza, considerava tale tecnica come un’ombra proiettata sul mondo.[1] In questo modo, la poesia, chiamando in causa la fotografia, diventa veicolo di sentimenti ed emozioni, sì da limare la distanza tra le impressioni umane e l’aspetto puramente scientifico e tecnico di tale medium.

Una simile percorso, volto ad avvicinare poli apparentemente opposti, si ravvisa nella mostra Works for a Cosmic Feeling, a cura di Alessandro Dandini de Sylva – anche ideatore dell’allestimento disegnato da Etaoin Shrdlu Studio -, e in programmazione, fino al 10 luglio 2021, presso la galleria Matèria di Roma. La rassegna è costruita con una raccolta di duecentoventinove fotografie, eseguite da Fabio Barile (1980, Barletta) a partire dal 2018, che vengono proiettate alternativamente su dei pannelli supportati da una struttura lignea. I lavori si presentano come un itinerario fotografico da fruire liberamente nello spazio oscurato della galleria, che esalta l’icastica individualità dello scatto, generando un momento di intima riflessione nello spettatore, rivelando al contempo un armonioso e strutturato percorso che stimola ad addentrarci nei territori interiori della mente.

Dalle fotografie emerge un atteggiamento di Barile che incide apertamente nel campo della realtà, dimodoché l’apparecchio fotografico diventa portatore di una visione propria, che ben si rifà alla concezione di Susan Sontag, secondo cui il fotografare è un’espressione solipsistica dell’io.[2] L’espressività di Barile, capace com’è di raccogliere tracce dal mondo, è caratterizzata da due inseparabili forze complementari: l’approccio scientifico e una vena poetica. Secondo un equilibrato bilanciamento, negli scatti, queste forze tensionali risultano sempre equilibrate, così i paesaggi naturali si presentano in tutta la loro complessa stratificazione assumendo un aspetto meditativo di auto-osservazione e auto-narrazione. L’apparente dicotomia emerge anche nelle bizzarre sculture volute dall’artista, il cui aspetto lirico si integra assieme a quello volto a sperimentare lo stato fisico della materia; infine, nelle fotografie, che ritraggono porzioni di corpo umano la trazione tra la sfera intima e l’approccio metodologico si assottiglia sempre di più, rimanendo, al contempo, sempre apprezzabile. Il fotografo, nonostante i soggetti siano disparati, esegue le foto per dilatazione, dimostrando una capacità di saper estrarre l’aspetto patafisico[3] dei soggetti ritratti.

L’allestimento espositivo, in altri termini, trasforma lo spazio della galleria in un terminale sperimentale, con l’invito alla partecipazione dello spettatore, giacché le fotografie proiettate lanciano diverse coordinate spaziali in cui egli è libero di orientarsi. In questo modo, rinunciando alla solita pedanteria espositiva della tradizionale mostra allestita a parete e surrogata da didascalie, le fotografie di Barile escono dagli accademici confini espositivi diventando un’opera installativa. Un tale spirito è sintomo di un’ampia riflessione sul medium, che qui si confronta con l’aspetto pittorico e installativo, volendo considerare gli scheletri lignei come la trasposizione delle pagine di un volume che vengono sfogliate in maniera meccanica e casuale da un proiettore.

Che cosa rappresentino queste immagini, da cosa scaturiscano, dove spazino, non è del tutto chiaro: certo è il fatto che sono intimamente connesse dall’esercizio delle mani del fotografo, che accetta di buon grado nel processo creativo anche il margine dell’errore, di cui ne celebra la flagranza. Così, in mostra vengono proiettati scatti di sculture sperimentali costruite dall’artista e la cui trasposizione fotografica, per mezzo di linee e forme scolpite con le tonalità del bianco e del nero, ricordano l’approccio empirico e costruttivista di László Moholy-Nagy. La scelta di voler esporre, con purezza di intenti, anche la fase di sperimentazione, sempre utile all’approdo di un lavoro finale, trasforma l’esercizio fotografico in una riflessione sulla condizione umana; è proprio Barile ad affermare come “le fotografie sono uno strumento antropico, strettamente legate all’uomo”.

Tale compresenza fa emergere un linguaggio che dialoga secondo controverse componenti dualistiche, quali la natura e l’uomo, la scienza e lo spirito, la correttezza e l’errore, a dimostrazione che il fotografo è consapevole che alle origini del mondo si trovi l’uomo, tutto ciò che manualmente produce, ma, soprattutto, la natura, che qui non appare mai antropizzata, studiata, invece, per la sua libertà vitale, estratta per mezzo di leggi fisiche, chimiche e geologiche. La chiave di lettura per la comprensione delle duecentoventinove immagini risiede nella presa di coscienza del ritmo con cui vengono proposte, caratterizzato da una ripetizione differente: si potrebbe dire a maglie rade, che sottintende la molteplicità di veduta dell’artista e della sua volontà di misurare il corpo del mondo. Tornando al valore poetico della fotografia emerso dalle parole Apollinare, pare che Barile concepisca lo strumento fotografico allo stesso modo legandolo fatalmente al variare della luce e alla sua proiezione verso la realtà. La fotografia risulta fondamentale al processo di comprensione del mondo per immaginazione, così che Barile sembra eseguire un ingrandimento su un granello dell’esistenza umana, dimostrandoci che all’interno di esso, in realtà succede molto più in quanto potremmo essere in grado di cogliere. Gli scatti ci permettono, infine, di scoprire il fine eudemonico della sua fotografia che scarnifica, decostruisce e ricompatta il soggetto, per farcelo scoprire secondo un aspetto spirituale, alquanto fantasioso e prettamente patafisico.

[1] Guillaume Apollinaire, Poesie, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1994, p. 201

[2] Susan Sontag, Vangeli fotografici, in Sulla fotografia, Realtà e immagine nella nostra società, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino p. 105

[3] La Patafisica è la scienza delle soluzioni figurative immaginarie. Partendo dalla fisica esegue lo stesso processo della metafisica, ovvero si estende astraendosi oltre il visibile. Il termine fu coniato dallo scrittore francese Alfred Jarry Laval (1873-1907) nella pubblicazione del 1911 intitolata Gestes et opinions du docteur Faustroll, pataphysicien.

Info:

Fabio Barile. Works for a Cosmic Feeling
A cura di Alessandro Dandini de Sylva
Allestimento e grafica di Etaoin Shrdlu Studio
15 maggio – 10 luglio 2021
Matèria, Via dei Latini 27, 00185, Roma
Orari di apertura: da martedì a sabato dalle 11:00 alle 19:00
Contatti: contact@materiagallery.com | materiagallery.com
Tel. +39 331 833 6692

Installation view, Fabio Barile – Works for a Cosmic Feeling, 2021, Photo Roberto Apa, Courtesy of the artist and Matèria, Roma

Fabio Barile, Magnetic fields on wire, 2020, Courtesy of the artist and Matèria, Roma

Fabio Barile, Fern undergrowth, 2021, Courtesy of the artist and Matèria, Roma

Fabio Barile, Sulfur dioxide spring, 2019, Courtesy of the artist and Matèria, Roma

Installation view, Fabio Barile - Works for a Cosmic Feeling, 2021, Courtesy of the artist and Matèria, Roma, Photo Roberto ApaInstallation view, Fabio Barile – Works for a Cosmic Feeling, 2021, Photo Roberto Apa, Courtesy of the artist and Matèria, Roma


RELATED POST

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

By using this form you agree with the storage and handling of your data by this website.