Michel Blazy a Le Portique

Michel Blazy, fin dagli anni Novanta, quando stava compiendo la sua formazione nella prestigiosa Scuola d’Arte di Villa Arson, a Nizza, si è interessato alla rielaborazione di un’estetica che comprendesse una fusione tra materiale organici e inorganico. Il senso della vita e della morte, come ciclo naturale delle cose, era quindi già presente nella sua poetica. Tra le varie stranezze di materiali impiegati fino a oggi, ricordiamo: un grande fungo realizzato con spaghetti di soia; dipinti realizzati con purea di patate e barbabietola; sculture di pasta e una grotta/scultura su cui sono germogliati i fagioli mungo (ovvero il fagiolo indiano verde, meglio noto come soia verde, alimento ipocalorico e ideale per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo “cattivo”), tanto che possiamo parlare della vita vegetale trasportata di sana pianta nello spazio espositivo. A tutti gli effetti, questo è un passo successivo a quello che compì Anselmo quando mise la lattuga ancorata alla pietra o a Mario Merz che disponeva melanzane e frutta sui suoi tavoli a spirale: lì una vita che era destinata a morire e che era ostentata nella sua pura fisicità, qui, per Blazy, una vita che può continuare e trasformarsi. Il concetto di deperibilità, il contatto fisico, le esperienze multisensoriali, invece, rimangono in tutti questi casi dei valori posti alla base dell’esperienza estetica. Certo è che progettare a partire da materiali deperibili o destinato all’ammuffimento o all’essicamento sottolinea non solo la precarietà della vita ma costringe anche a confrontarsi con sculture o installazioni che si trasformano per tutta la durata della mostra e ci interrogano sul nostro mondo, sul rapporto che abbiamo instaurato tra naturale e artificiale, tra i prodotti biodegradabili e quelli destinati a contaminare il pianeta.

L’artista sovverte il modello dell’hortus conclusus a favore di spazi indecisi, ossia di territori privi di ordine e pertanto rappresentativi di un’evoluzione naturale. Un’evoluzione che riesce a inglobare anche pezzi di attrezzature domestiche o della vita quotidiana, come pullover di uso quotidiano o scarpe da ginnastica che divengono ricoveri per erbe e muffe.

Ora, Le Portique, dopo aver ospitato nel 2016 “Pull Over Time”, ripropone il lavoro di Blazy con la mostra “Six pieds sur terre”. Sebbene il titolo richiami alla mente la serie televisiva “Six Feet Under” (rete HBO, 63 episodi, 2001-2005, incentrati sulle vicende familiari di un’impresa di pompe funebri a Los Angeles), nell’idea dell’artista il titolo “racchiude in modo sintetico l’idea della morte e della vita” ovvero un ciclo completo dove il dare e l’avere raggiungono sempre la loro logica conclusione. Tuttavia la mostra non propone di scomparire o sprofondare nell’humus, ma di tirarlo fuori, di prenderlo in esame, per farne il soggetto principale della nostra quotidianità, fino a calpestare il suolo per connettersi con la materia vivente. In questo senso il tappeto vivente di Blazy, qui presentato come quarto esempio di un ciclo iniziato anni addietro, è di certo debitore non solo dei tappeti orientali (peraltro “pavimento” delle abitazioni dei nomadi), ma anche del concetto di “Tappeto natura” di Piero Gilardi (detto per inciso, Blazy realizzò proprio per il PAV di Torino una delle sue più incredibili installazioni: “Forêt de balais”, 2013-2018, realizzata con scope di saggina, terra e acqua).

Il tappeto, in Blazy, passa dal simbolico al tangibile, dalla metafora alla consustanzialità delle cose: se le decorazioni con motivi floreali rinvia al giardino o all’eden, qui, portando le piante in un luogo chiuso e addomesticato dall’uomo, l’artista trasforma l’interno in esterno e lo reinserisce nel circuito della vita. In questo modo lo spazio espositivo si trasforma in un vasto giardino, dove si mescolano piante di specie diverse: “La vegetazione spontanea del mio giardino accoglie le graminacee della pampa, l’impatiens himalayano, ma anche i cactus comprati dai fiorai: l’irrigazione quotidiana di questa copertura vegetale assicura lo sviluppo delle piante e permette di seguirne l’evoluzione. In questo modo la mostra può essere visitata in più momenti per comprendere in situ i cambiamenti a cui è sottoposta”. Così “Six pieds sur terre” porta il mondo vegetale in uno spazio addomesticato e organizzato, provocando un incontro tra il manufatto e la natura, tra l’esterno e l’interno. Dal tappeto e dai suoi motivi inerti emergono poi nuove forme di vita. In maniera decisa questa mostra a Le Portique (una specie di work in progress) celebra la natura rivendicandone i diritti, svelandone misteri e regole segrete. In definitiva l’ambiguità dell’opera viene messa in primo piano assieme alla caducità dell’esistenza, ritornando, in altro modo, al tema della “vanitas” di antica memoria.

Le opere di Michel Blazy sono state acquistate da numerose collezioni pubbliche tra cui il Museo Nazionale d’Arte Moderna – Centre Pompidou; il Museum of Old and New Art (MONA), Tasmania; il Museo d’Arte Moderna della Città di Parigi, Francia; il Nuovo Museo di Monaco e diversi fondi regionali per l’arte contemporanea (FRAC). Ricordiamo anche che l’autore era stato invitato alla 57. Biennale di Venezia, sezione “Viva Arte Viva”, curata da Christine Macel.

Roberto Grisancich

Info:

Michel Blazy, Six pieds sur terre
01/10/2022 – 18/12/2022
Le Portique
Centre régional d’art contemporain du Havre
30, rue Gabriel Péri
www.leportique.org
Michel Blazy è rappresentato dalla galerie Art Concept, Paris
www.galerieartconcept.com

Michel Blazy, Sans titre, 2016, vista parziale della mostra Pull Over Time. Courtesy Le Portique centre régional d’art contemporain du Havre

Michel Blazy, Pull Over Time: Running, 2018, dettaglio. Cinque paia di scarpe sportive, piante, terra, acqua, tecniche miste, 284 × 22 × 20 cm. Courtesy Galerie Art Concept (Parigi)

Michel Blazy, We Were the Robots, installation view, Moody Center for the Arts, Houston/TX (US), 2019. Ph. Nash Baker Photography, courtesy Galerie Art Concept (Parigi)


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